19-21 luglio 2011: vent’anni fa il G8 di Genova, i tre giorni che sconvolsero il Mondo

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di Simone Balocco

Gaetano Alimonda ed Armando Diaz sono due personaggi storici: arcivescovo di Torino tra il 1883 ed il 1891 il primo; capo di stato maggiore dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto il secondo. A questi due personaggi, in Italia, sono intitolate vie, piazze ed edifici.

A Genova, ad esempio, esiste “piazza Gaetano Alimonda”, nel quartiere Foce, mentre il “Diaz” (un plesso scolastico diviso in tre parti intitolate a Pertini e Pascoli) è un liceo del quartiere di Albaro. Proprio nel capoluogo ligure i nomi “piazza Alimonda” e “scuola Diaz” fanno ricordare a tutti il triste week end dal 19 al 21 luglio 2001 quando la città ospitò il XXVII meeting del G8. E a distanza di vent’anni da quella terribile tre giorni, nessuno ha mai dimenticato cosa successe in quei due luoghi: nel primo venne ucciso Carlo Giuliani, nel secondo ci fu la violenza della polizia contro i manifestanti dello stesso G8 che avevano scelto la scuola di via Battistini come luogo per dormire e che le forze dell’ordine pensavano fosse un covo di “Black bloc”.

Per capire cosa successe a Genova venti anni fa, c’è da riavvolgere il nastro non solo al luglio 2001, ma anche specificare cosa erano i summit del G8.

 

Cosa sono i G8. Differenza con i G7 e G20

Più che dal concetto di G8, c’è da partire dal concetto di G7.

Il G7 è un’organizzazione nata nel 1975 che prevede l’incontro ogni anno, in estate, tra i Capi di Stato e di Governo dei sette Paesi più industrializzati del Mondo. Questi sette “giganti” (G7 sta per Giant 7) sono Stati Uniti d’America, Canada, Regno Unito di Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Giappone. Ogni anno, a rotazione, un Paese membro ospita questi incontri dove si discute e si decidono le sorti (economiche, industriali e ambientali) del Mondo.

La prima riunione si tenne in Francia per volontà dell’allora Presidente francese Valéry Giscard d’Estaing a Rambouillet. Il gruppo passò a sette membri l’anno successivo con l’ingresso del Canada. A questi meeting si unisce come osservatore anche l’Unione europea con il Presidente della Commissione ed il presidente di turno del Consiglio europeo,

A partire dal 1998, ai Sette paesi si è unita anche la Russia, trasformando gli incontri in G8. L’invito nei confronti della Russia era rivolto non tanto al fatto che fosse ricca dal punto di vista economico, ma in quanto importante dal punto di vista militare e strategico. La Russia è uscita dal G8 nel 2014 a causa della guerra in Crimea e, a oggi, non ci sono i presupposti affinché ritorni a far parte del meeting (cosa di cui, tra l’altro, non vuole più si tengano).

Considerato un po’ obsoleto il concetto di G7-G8 in quanto negli ultimi decenni il Mondo è cambiato (soprattutto economicamente), si parla ora di G20: ai G7 e all’Unione europea si aggiungono altri tredici che sono la nuova frontiera dell’economia e della ricchezza, più aperta alle nuove esigenze mondiali. Questi Stati sono Brasile, Russia, India, Cina, Repubblica sudafricana, Arabia Saudita, Australia, Argentina, Corea del Sud, Indonesia, Messico e Turchia.

 

Il “popolo di Seattle” e la nuova economia mondiale

Fra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila ci sono stati cambiamenti e consapevolezze: si sapeva che il Mondo sarebbe cambiato e che non sarebbe stato più lo stesso dal punto di vista economico, sociale e climatico. Lo avevano capito i cittadini e le organizzazioni non governative e per questo motivo migliaia di persone avevano iniziato a scendere in piazza durante i vari meeting che si tengono ogni anno nel Mondo cui prendono parte i leader mondiali per protestare contro le loro scelte in merito ad una globalizzazione più vicina alla sostenibilità e alla tutela dei diritti umani che vedevano i Paesi meno ricchi del Mondo sopraffatti rispetto al resto del Mondo.

La prima manifestazione di un certo peso si tenne a Seattle, nello Stato americano di Washington, il 30 novembre 1999 durante la conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). La manifestazione vide in piazza decine di migliaia di persone e ci furono diversi incidenti di ordine pubblico. I partecipanti alla manifestazione sono stati definiti “Il popolo di Seattle”.

Nel 2000, un anno prima dell’apertura dei lavori del G8 di Genova, nacque il Genoa Social Forum, un gruppo organizzato di sigle di partiti, movimenti, centri sociali ed associazioni no global guidato da Vittorio Agnoletto composto da 1.187 sigle che volevano cambiare (in meglio) il Mondo.

Il tema fondante del Genoa Social Forum fu combattere la globalizzazione, o meglio: globalizzazione sì, ma non in quel modo perché sbilanciata verso i Paesi ricchi rispetto a quelli più poveri che sarebbero stati “travolti”. Il loro motto era “voi siete otto, noi sei miliardi”.

I no global combattevano lo strapotere delle multinazionali, volevano la necessità di una fiscalità più equa e la cancellazione dei paradisi fiscali (Stati che permetto un prelievo fiscale molto basso capace di attirare capitali provenienti dall’estero), il rispetto e la tutela dell’ambiente, la lotta alle disuguaglianze nel Mondo, la cancellazione del debito dei Paesi del Terzo mondo nei confronti degli Stati più ricchi, aiutare gli Stati poveri in difficoltà.

Il 27 gennaio 2001 a Davos, in Svizzera, durante i giorni del Forum mondiale economico (il WEF, un’organizzazione privata cui prendono parte politici, esperti ed economisti che si battono per migliore il Mondo sotto tutti i punti di vista) si tennero manifestazioni e scontri. Gli scontri furono molto duri e, visto che mancavano, cinque mesi al G8 di Genova, si temette, anche negli ambienti dei servizi segreti italiani, che durante la tre giorni ligure le manifestazioni sarebbero potuto essere più cruente di Seattle e Davos. Altri scontri molto violenti si ebbero a Napoli in occasione del Global forum (marzo 2001) e a Goteborg in occasione in un summit organizzato in Svezia durante i sei mesi di presidenza del Paese scandinavo (15 giugno 2001). E se tutto ciò si fosse replicato a Genova con centinaia di migliaia di persone in più.

 

Genova scelta come sede del G8. Perplessità.

Nel 2001, l’Italia avrebbe ospitato il meeting del G8 e nel dicembre 1999, durante il governo d’Alema, si decise che la sede sarebbe stata Genova: il capoluogo ligure succedeva a Napoli (8-10 giugno 1994) e Venezia, sede di due meeting (22-23 giugno 1980; 8-10 giugno 1987). L’ultimo G7 organizzato a Napoli aveva dato alla città campana grande successo e visibilità.

Al G8 di Genova parteciparono, ovviamente, l’Italia che ebbe in Silvio Berlusconi (allora Presidente del Consiglio) l’organizzatore, il Primo ministro canadese Jean Chrétien, il Presidente francese Jacques Chirac, il Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, il Primo ministro giapponese Junichiro Koizumi, il Premier inglese Tony Blair, il Presidente americano George W. Bush ed il Presidente russo Vladimir Putin. Per l’Unione europea parteciparono Romano Prodi e Guy Verhofstadt, ovvero il Presidente della Commissione ed il Presidente di turno del Consiglio europeo (e Primo ministro del Belgio).

Tutto era pronto: gli occhi del Mondo sarebbero stati rivolti sull’Italia e sul capoluogo ligure.

Ma la scelta di Genova destava molte perplessità perché la città sarebbe stata problematica visto, come detto, il vento di protesta che soffiava sul Mondo da parte delle manifestazioni anti globalizzazione e la città non era “fatta” per ospitare l’evento: dispersiva, in salita, stretta tra i mare e le montagne con tante vie e viette che avrebbero potuto creare problemi di controllo dell’ordine pubblico. Sarebbero arrivate centinaia di migliaia  di persone, tra cui (sicuramente) molti facinorosi e si temeva che l’ordine pubblico avrebbe avuto grossi problemi.

Anche il governo Berlusconi, insediatosi l’11 giugno 2001, era stato informato che la città avrebbe potuto avere dei problemi ed aveva manifestato anche lui dubbi sulla scelta di Genova. Ma si decise che la città della Lanterna avrebbe ospitato il summit dal 19 al 21 luglio 2001.

Tutto era pronto: Silvio Berlusconi avrebbe atteso l’arrivo sette colleghi presso Palazzo Ducale, sede dei lavori. Ministro dell’Interno allora in carica, Claudio Scajola, originario di Savona.

La città fu divisa in tre zone: una “zona verde” dove si sarebbe potuto manifestare senza particolari restrizioni; una “zona gialla” con molte limitazioni di movimento; una “zona rossa” dove l’accesso delle persone era limitato se non impossibilitato poiché era la zona dove si sarebbe svolto il meeting e quindi erano vietate manifestazioni e la zona era inviolabile dai manifestanti.

 

Giovedì 19 luglio, le prime manifestazioni e i primi scontri. La paura dei “Black bloc”

La prima manifestazione si tenne giovedì 19 luglio e fu dedicata ai migranti. La città ligure si colorò, non ci furono proteste particolari e non si tennero scontri. Molto colorato fu anche il concerto che tennero i napoletani 99 Posse e Manu Chao.

Tutto filò liscio ma si temette che a partire dal giorno dopo il livello di scontro sarebbe stato alto in quanto si vociferava che tra i manifestanti pacifici si sarebbero uniti, di nascosto, gruppi violenti ed organizzati chiamati “Black bloc” dediti alla guerriglia di strada e ad atti di teppismo cittadino. In pratica, la frangia estrema e violenta dei manifestanti. Provenienti dall’Europa centro-settentrionale, erano la nuova “frontiera” della violenza colpendo simboli come banche e agenzie interinali.

I “Blak bloc” non sono una sigla di un gruppo di manifestanti, ma un “blocco” di manifestanti caratterizzati come blocco più violento e dedito a vandalismi, violenze, azioni in gruppo, far deviare i cortei, barricate. I “Black bloc” erano soprattutto anarchico-rivoluzionari ed insurrezionalisti.

La paura di tutti fu che le manifestazioni potessero degenerare e che venisse superata la “zona rossa”, quindi con un livello di scontro con le forze dell’ordine. Per paura, molti genovesi lasciarono la città con l’intento di tornarvi a meeting concluso.

Per tre giorni la città rimase paralizzata: furono chiuse strade, autostrade, porto e aeroporto. Si temette anche attentati via aerea e furono chiusi tutti i tombini. Ovviamente arrivarono anche voci infondate su alcune azioni dimostrative.

La paura era tanta. Molti treni, pullman e navi cariche di manifestanti furono fermate e fatte tornare indietro. Vittorio Agnoletto diceva che le forze dell’ordine avevano instaurato un clima di guerra quando nessuno voleva la guerra.

 

Venerdì 20 luglio, piazza Alimonda, Carlo Giuliani: sangue su Genova

Faceva caldo venerdì 20 luglio. Tutto era pronto sia per gli incontri dei Grandi, sia le manifestazioni. Quel venerdì furono organizzate ben cinque manifestazioni pacifiche, tra cui quella dei lavoratori, delle Rete Lilliput, Cobas, Arci e partiti dell’estrema sinistra. Obiettivo: manifestare ed arrivare il più possibile senza creare problemi alla zona rossa e superarla senza violenze. Ci furono diversi allarme bomba e gli elicotteri che volarono sopra la città cercando di stanare i più facinorosi.

Due gruppi volevano superare la zona rossa: le Tute bianche capeggiate da Luca Casarini e la Globalise Resistance. Le Tute Bianche erano un gruppo di disobbedienza civile composto prevalentemente da persone legate ai centri sociali che protestavano in maniera non violenta, mentre Globalise Resistance era un’associazione francese no global. Le Tute bianche erano comunque preparati ad affrontare eventuali “problemi” con le forze dell’ordine creando scudi e difendendosi in caso di attacco. Le Tute bianche presero sempre le distanze dai più facinorosi in quanto il loro modo di protestare era sbagliato e non c’entravano nulla con loro.

Le buone intenzioni c’erano, ma tra le varie manifestazioni emersero i “Black Bloc” e la città di Genova a partire dal primo pomeriggio del 20 luglio fu messa a ferro e fuoco.

La città vista dall’alto sembrava in guerra: auto rovesciate ed in fiamme, vetrine rotte, cassonetti rovesciati ed una nuvola di fumo formata da lacrimogeni ed incendi.

Poco prima delle ore 16 si violò la zona rossa in piazza Dante, in pieno centro cittadino (a poche centinaia di metri dalla casa di Cristoforo Colombo) con quattro giovani che riuscirono a superare un varco di accesso: questi furono arrestati e la polizia usò gli idranti contro la folla per impedire loro di varcare l’ingresso.

Agnoletto ed il sindaco di Genova di allora, Giuseppe Pericu, invitarono tutti a lasciare le piazze per evitare le violenze. Le Tute bianche tornarono allo stadio Carlini, il loro quartier generale, ma si sentirono ancora i rumori dei lanci di lacrimogeni.

La prima azione si tenne nei pressi della stazione Brignole per poi spostarsi verso il carcere di Marassi. Iniziarono gli scontri con spranghe, lacrimogeni, sassi. Quella zona di Genova era in mano ai “Black bloc” e alla loro violenza di strada.

Il momento più caldo si ebbe nel primo pomeriggio tra via Tolemaide e via Caffa. Il livello di scontro era davvero alto: da una parte un corteo di Tute bianche che aveva avuto il benestare per manifestare fino alla vicina piazza Giusti, dall’altra le forze dell’ordine. Forze dell’ordine e corteo delle Tute bianche non si sarebbero dovuti incontrare, ma i carabinieri, invece di dirigersi verso il carcere di Marassi, scesero dalle camionette in corso Torino e si trovarono di fronte, poche centinaia di metri dopo, i manifestanti che lanciavano oggetti contundenti.

Iniziarono forti scontri: 200 carabinieri contro diecimila manifestanti che erano autorizzati fino a lì, a 350 metri prima del limite stabilito per manifestare. I carabinieri non ricevono l’ordine di indietreggiare e scoppiò una vera guerra contro i manifestanti.

Tra queste due vie c’è una piazza con una chiesa, la chiesa di Nostra Signora del Rimedio. La piazza in questione è piazza Alimonda.

I manifestanti bloccano le vie di fuga della piazza e lanciano di tutto contro i carabinieri. Un Defender (un fuoristrada “attrezzato” in dotazione alle forze dell’ordine) rimase bloccato da un cassonetto dell’immondizia e colpito con spranghe.

Alle 17:27 circa tra tutta la confusione si sentirono due spari. Un ragazzo cadde a terra. Tutti accorsero a soccorrerlo, travolto due volte dal Defender dei carabinieri colpito dai manifestanti.

Non si sapeva chi fosse quel ragazzo (si diceva fosse italiano e poi spagnolo) e in tarda serata si scoprì il suo nome: Carlo Giuliani, romano di 23 anni. A sparare era stato, da dentro il Defender, il carabiniere ausiliario Mario Placanica, di 21 anni. Giuliani era stato immortalato con indosso un passamontagna per non farsi riconoscere mentre era intento a lanciare un estintore contro il Defender. Si disse che Giuliani aveva lanciato l’estintore contro il fuoristrada dei Carabinieri avendo visto che un carabiniere aveva in mano un arma da fuoco puntata contro i manifestanti.

Sul Defender con Placanica ci furo anche Dario Raffone e alla guida Filippo Cavataio. I tre occupanti avevano tra i 20 e i 23 anni, la stessa età di Giuliani.

Si disse che poco dopo la morte di Giuliani era stata ferita mortalmente una donna: si disse che fosse morta, alle 19:30 però la notizia fu smentita.

A Genova ci era scappato il morto. I leader mondiali presenti erano stati informati dei fatti di piazza Alimonda: rimasero sconvolti, ma il meeting non fu annullato, come non furono annullate le manifestazioni il giorno dopo.

 

Sabato 21 luglio, la violenza alla “Diaz” e la violenza della caserma di Bolzaneto

La notizia delle morte di Carlo Giuliani scosse tutti quanti. Come preventivato, la città non era adeguata ad ospitare le manifestazioni e l’ordine pubblico ha avuto molte carenze.

Nonostante i consigli, il giorno dopo si tenne una manifestazione di solidarietà verso Carlo Giuliani cui presero parte oltre 300mila persone: la sola Genova aveva 650mila abitanti.

Nonostante gli inviti a manifestare pacificamente, i disordini ci furono ugualmente e furono ancora una volta i “Black bloc” i protagonisti.

La sera il summit terminò e i capi di Stato e di governo lasciarono la città. Il G8 politicamente ed economicamente era terminato, ma Genova la sera del 21 luglio dovette fare i conti con i fatti della “Diaz”.

Presso la scuola “Diaz” di via Battistini, c’era il “rifugio” di molti manifestanti nonché la sede del Genoa Social Forum e punto media center. La scuola venne usata come luogo adibito al pernottamento dei manifestanti che il giorno dopo sarebbero tornati a casa.

Alle ore 22 successe un evento che rimarrà scolpito nel cuore e nelle menti non solo delle persone presenti dentro la scuola, ma anche delle persone che scoprirono cosa successe: l’irruzione della polizia nella scuola. La cosa grave (dal punto di vista giuridico) fu che le forze dell’ordine fecero irruzione senza avere in mano un mandato di perquisizione quindi entrarono senza autorizzazione.

Motivo dell’irruzione: le forze dell’ordine furono informate che dentro la “Diaz” c’erano persone ritenute pericolose e indiziate per i tafferugli di strada. Solo che dentro la scuola non c’erano persone sospette e violente. L’irruzione fu violenta e ne scaturì una battaglia “vinta” dalle forze dell’ordine che usarono la forza contro persone inerte e disarmate. I dirigenti dissero di aver trovato bottiglie molotov e coltelli: quello era un covo di facinorosi e li avevano trovati.

Novantatre persone furono arrestate e tante altre furono portate al pronto soccorso. Le persone arrestate furono portate presso la caserma del quartiere Bolzaneto per i riconoscimenti di rito poiché rispetto al carcere di Marassi era un posto più sicuro.

Iniziarono a girare i primi video e le prime immagini da dentro la “Diaz”: poliziotti che ebbero colluttazioni con i manifestanti ed un suo spropositato della violenza contro di loro. Le forze dell’ordine erano imbottiti, con manganelli, caschi, come se dovessero “affrontare” dei facinorosi mentre i ragazzi dentro l’edificio non poterono che subire i colpi o scappare, salvo poi essere trovati ed impossibilitati a lasciare la “Diaz” e ad essere picchiati con violenza inaudita.

Sulla vicenda dei fatti di Genova saranno sempre fisse le parole espresse da Amnesty International in merito ai fatti della “Diaz”: la più grave violazione dei diritti umani dopo la fine della Seconda guerra mondiale in Europa.

Un funzionario di polizia disse che la scena della “Diaz” era degna di una “macelleria messicana”, un’espressione che indica una violenza inaudita, spropositata e senza un fine.

 

22 luglio, Genova si lecca le ferite

Il 22 giugno fu il giorno successivo il termine del summit e, di conseguenza, anche delle violenze dei giorni precedenti. La città ligure dovette fare i conti con il computo dei danni. Furono distrutte sedi di banche, ufficio postali, negozi, distributori benzine, automobili. Il bilancio fu di un morto, cinquecento feriti, 301 persone arrestate e fermate, 50 miliardi di lire di danni, oltre seimila lacrimogeni sparati come riportò il programma di RAI2 “La storia siamo noi” dedicato ai fatti di Genova.

Il capoluogo ligure non ha ospitato più grandi eventi, se non essere stata nominata “città della cultura” nel 2004.

 

Cosa rimane di quel G8 venti anni dopo

Venti anni sono considerati una generazione e ancora oggi, a distanza di allora, quando si pensa a Genova, non si può non pensare ai fatti di quel G8. Quello che doveva essere un fine settimana di proteste pacifiche per manifestare un legittimo dissenso, si era macchiato di violenze e atrocità. Ed è stata la prima volta dove un summit era passato in secondo piano soppiantato dalla violenza.

Tempo dopo si sono aperti i processi per i fatti della “Diaz” e presso la caserma di Bolzaneto: ventinove poliziotti incriminati nel primo processo e 93 parti lesi, 45 imputati nel secondo tra poliziotti, carabinieri e personale medico. Furono sospesi dal loro incarico l’allora vice-capo della polizia, il capo della Criminalpol ed il questore di Genova.

Nel 2011, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha scagionato il governo dalle accuse di aver causato, indirettamente, la morte di Carlo Giuliani.

Sicuramente la gestione della sicurezza e delle forze dell’ordine è stata molto deficitaria: basti pensare che Placanica, un ausiliario dei carabinieri, non doveva neanche essere a Genova ma fu inviato in sostituzione di un collega. Come si è potuto inviare un militare così giovane ed inesperto a presidiare la sicurezza nella città?

La giornalista Concita de Gregorio, nel 2001, ha pubblicato il libro “Non lavate questo sangue. I giorni di Genova”, dove raccontò i fatti che vide in prima persona. E proprio quel “sangue” (quello di Carlo Giuliani a terra, quello della violenza in strada, quello sui muri e sul pavimento della “Diaz”) non devono essere dimenticati per nessun motivo.

Tempo dopo la morte di Carlo Giuliani, qualcuno scrisse sull’indicazione della piazza “piazza Carlo Giuliani, ragazzo” al posto di “piazza Gaetano Alimonda”.

Da Genova si voleva costruire un Mondo nuovo. Ci scapparono violenza, un morto e una “macelleria messicana” senza precedenti.

Si poteva evitare tutto ciò? Assolutamente si.

 

immagine in evidenza tratta da Wikipedia