di Alessio Marrari
Ogni weekend, quando il buio avvolge le strade delle nostre città, i locali della movida si popolano di giovani in cerca di svago e divertimento. Tuttavia, la notte porta con sé anche un lato oscuro che si manifesta in risse, vandalismi e violenze che si consumano nelle vie e nelle piazze adiacenti ai locali notturni. Episodi che spesso degenerano in veri e propri scontri, lasciando dietro di sé non solo danni materiali, ma anche feriti. I gestori dei locali si trovano così intrappolati in una realtà paradossale: estranei a violenze che avvengono al di fuori delle loro pertinenze, vengono tuttavia considerati corresponsabili dalla legge. Pur avendo rispettato tutte le normative sulla sicurezza all’interno dei propri esercizi, si ritrovano chiamati in causa per ciò che accade nei dintorni, in aree pubbliche dove la loro autorità non può e non deve estendersi. Questa situazione crea un clima di costante apprensione tra gli imprenditori del settore, costretti a vivere sotto il peso di una spada di Damocle rappresentata dalla possibilità di vedersi imputare responsabilità per azioni che non hanno commesso e che, spesso, non avrebbero potuto prevenire. Gestire un locale pubblico non significa solo occuparsi di clienti, fornitori e licenze, ma anche affrontare un problema spesso taciuto: la paura. La paura di perdere la propria attività, la paura di trovarsi invischiati in situazioni più grandi di sé e, soprattutto, la paura di subire ritorsioni se si denuncia la presenza di pregiudicati o attività illecite. È una realtà che molti esercenti vivono in silenzio, costretti a un equilibrio precario tra il rispetto della legge e la necessità di tutelare la propria incolumità. Secondo l’articolo 100 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), il questore può sospendere o revocare la licenza di un locale che diventi abituale ritrovo di persone pericolose o pregiudicate. L’intento della norma è chiaro: evitare che questi esercizi diventino centri di attività criminose o compromettano la sicurezza pubblica. Il peso di questa responsabilità però, ricade sui gestori, che spesso non hanno strumenti né autorità per impedire l’accesso a determinate persone. Il rischio è che, pur senza essere complici, i titolari si ritrovino a pagare le conseguenze per situazioni che sfuggono al loro controllo. Di fronte a un locale che diventa un punto di riferimento per criminali o pregiudicati, il gestore ha teoricamente un’unica opzione: avvisare le forze dell’ordine. Ma qui nasce il problema principale. Denunciare significa esporsi, rischiare di essere identificati come informatori e subire minacce, danneggiamenti o persino aggressioni. La paura delle ritorsioni è più che giustificata, specialmente in contesti dove la criminalità organizzata è radicata e ha metodi efficaci per intimorire chi osa opporsi. Molti esercenti scelgono quindi il silenzio, sperando che le cose si risolvano da sole o che le autorità intervengano senza un’azione diretta da parte loro. Ma questo silenzio può essere pericoloso, perché lascia campo libero a chi vuole approfittare della situazione. Se il rischio di ritorsioni è concreto, è fondamentale che il gestore adotti strategie di protezione. Tra queste: segnalazioni anonime, avvisando le autorità senza rivelare la propria identità; richiedere controlli frequenti, in modo che la presenza delle forze dell’ordine possa dissuadere soggetti pericolosi. Cosa accade spesso? I proprietari dei locali sono costretti a proprie spese di avvalersi della sicurezza privata, con personale regolarmente registrato al fine di prevenire situazioni di pericolo. Il problema della paura non può essere ignorato. Le istituzioni devono garantire che chi denuncia non venga lasciato solo e che ci siano strumenti di tutela efficaci. L’aumento dei controlli, la protezione dei testimoni ed il rafforzamento dei canali di segnalazione anonima sono solo alcune delle misure che potrebbero rendere più sicura la scelta di denunciare. Nel frattempo, i diretti interessati si trovano ogni giorno tra incudine e martello, costretti a dover fare una scelta difficile: proteggere sé stessi e la propria attività, o contribuire alla sicurezza collettiva rischiando però di pagarne le conseguenze. È una battaglia che non possono combattere da soli: serve un impegno congiunto di istituzioni, forze dell’ordine e società civile per spezzare il circolo della paura e dell’omertà. Le forze dell’ordine si adoperano a norma di legge, ma sono alcune leggi, probabilmente, che dovrebbero essere riviste, sollevando dalla morsa psicologica i gestori, i quali non sono pubblici ufficiale ed hanno già molte preoccupazioni legate al proprio lavoro. Si rifletta nel merito.