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Città di Novara

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25 Aprile: memoria o conflitto? L’analisi di Alessio Marrari

DiAlessio Marrari

Apr 24, 2025

Il 25 aprile rappresenta una delle date più emblematiche e controverse del calendario italiano. Questa ricorrenza, che commemora la fine dell’occupazione nazista e la caduta del regime fascista nel 1945, si è trasformata nel corso degli anni in un vero e proprio campo di battaglia ideologico, sociale e politico. Quella che dovrebbe essere una celebrazione unificante dell’identità nazionale italiana si rivela, anno dopo anno, una cartina tornasole delle divisioni che attraversano il paese. Facciamo un tuffo nella storia per capire meglio: la suddetta data identifica la vittoria decisiva delle forze partigiane italiane che, coordinate con gli Alleati, liberarono città strategiche come Milano e Torino dal giogo nazifascista. Questo momento cruciale non solo pose fine al ventennio fascista ma gettò le fondamenta per la nascita della Repubblica Italiana, edificata sui valori di libertà, uguaglianza e antifascismo che ancora oggi – almeno formalmente – ispirano la nostra Costituzione. Nell’80º anniversario in programma, il Parlamento ha commemorato l’evento con sessioni speciali dove le divergenze interpretative non sono mancate. Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha espresso un auspicio che risuona come una critica velata alla tradizionale connotazione politica della festa, invocando che il 25 aprile diventi finalmente “una data di tutti” e superando le divisioni ideologiche che ancora persistono. Di contro, il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha preferito sottolineare il valore universale della Liberazione come monito permanente contro ogni forma di sopraffazione. Le pre-celebrazioni dell’80° anniversario si sono svolte in un clima particolarmente teso, complicato dal lutto nazionale proclamato per la morte di Papa Francesco, circostanza che ha spinto il governo a richiedere “sobrietà” negli eventi pubblici – una richiesta immediatamente contestata dall’opposizione e dall’ANPI, che hanno confermato lo svolgimento dei tradizionali cortei in tutta Italia. Gli ultimi due anni hanno visto il 25 aprile trasformarsi in teatro di veri e propri disordini nelle principali città italiane. A Milano, durante il corteo del 2024 in Piazza Duomo, manifestanti filo-palestinesi hanno violentemente contestato la presenza della Brigata Ebraica, arrivando a lanciare bottiglie di vetro e sfondare le transenne di sicurezza. La situazione è degenerata al punto da richiedere l’intervento della polizia con una carica di contenimento che ha portato al fermo di dieci persone. Anche Roma non è stata risparmiata dalla violenza: a Porta San Paolo si sono verificati scontri analoghi, con lanci di sassi e persino bombe carta, con alcuni cronisti che sono rimasti feriti nel tentativo di documentare gli eventi. Questi episodi non rappresentano casi isolati, ma seguono un pattern già osservato nel 2023, quando situazioni simili avevano caratterizzato le celebrazioni in entrambe le metropoli. Questi scontri testimoniano l’inquietante intersezione che si è creata tra la memoria storica della Resistenza italiana e l’attualissimo conflitto israelo-palestinese, che trova nelle piazze un inaspettato campo di battaglia simbolico. La ricorrenza è diventata anche terreno fertile per campagne sociali e sindacali: emblematico il caso della CGIL che ha strategicamente lanciato nel 2025 la sua campagna referendaria per abrogare parti del Jobs Act, creando un collegamento esplicito tra le battaglie contemporanee per i diritti del lavoro e la memoria della lotta partigiana. Non è un dettaglio secondario che siano state raccolte oltre 500.000 firme proprio durante le celebrazioni, sfruttando la carica emotiva della giornata. L’opportunismo politico che circonda la ricorrenza ha radici profonde e motivazioni facilmente identificabili. Innanzitutto, i simboli della Resistenza sono diventati essi stessi elementi divisivi: la destra italiana tende a percepire questa commemorazione come un rito egemonizzato dalla sinistra, mentre le componenti dell’estrema sinistra non esitano a utilizzarla per legittimare istanze contemporanee, dall’antifascismo militante alla solidarietà con la causa palestinese. In secondo luogo, gli strumenti mediatici vengono abilmente sfruttati per ottenere visibilità: politici e partiti utilizzano strategicamente la giornata per lanciare messaggi identitari e attaccare l’opposizione, consapevoli che ogni assenza o dichiarazione sarà amplificata dai media e interpretata come un posizionamento ideologico. Il contesto internazionale contribuisce ad acuire questa strumentalizzazione: il collegamento con tematiche globali, come l’interminabile conflitto in Medio Oriente, non fa che accentuare le divisioni interne. In questo contesto, la figura storica del partigiano viene frequentemente accostata a quella del militante contemporaneo, generando una pericolosa confusione tra memoria storica e attivismo politico contingente. Non possiamo quindi ignorare come la giornata si trasformi spesso in un’occasione per condurre campagne elettorali mascherate: la commemorazione diventa pretesto per mobilitare la base elettorale e fare campagna indiretta, sfruttando l’emotività connessa alla memoria collettiva. Il 25 aprile dovrebbe rappresentare un momento di unità nazionale, un’occasione per riflettere collettivamente sulla libertà conquistata e sui principi democratici che ne sono derivati. Tuttavia, il rischio sempre più concreto che stiamo osservando è che questa ricorrenza si riduca a una vetrina ideologica, dove il passato viene strumentalizzato più che studiato e compreso. Per restituire autenticità e significato a questa fondamentale data, è indispensabile sviluppare la memoria storica le consapevole, che sappia andare oltre le divisioni contingenti. Solo attraverso questo percorso il 25 aprile potrà tornare a essere una festa genuina, capace di parlare a tutta la nazione italiana,  indipendentemente dall’orientamento politico.