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Città di Novara

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Il mistero della morte di Papa Luciani: inchiesta irrisolta tra fede, potere e silenzi. La ricostruzione di Alessio Marrari

DiAlessio Marrari

Apr 22, 2025

La recente scomparsa di Papa Francesco ha ricoperto il mondo cattolico di un velo di incertezza. Mentre le campane di San Pietro risuonano in lutto e i cardinali si preparano al conclave, un’ombra del passato riemerge inevitabilmente tra le pieghe della storia vaticana. Un’ombra che, dopo quasi mezzo secolo, continua a proiettarsi inquietante sulle sacre mura: la morte improvvisa di Papa Giovanni Paolo I, Albino Luciani, il “Papa del sorriso”, spirato misteriosamente dopo appena 33 giorni di pontificato nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978. Le similitudini tra quel momento storico e l’attuale transizione sono sottili ma palpabili. Gli osservatori più attenti percepiscono oggi, come allora, quel respiro trattenuto che accompagna i momenti di vuoto di potere nelle stanze vaticane. Dietro i solenni rituali e le maestose cerimonie che si preparano, si muovono le complesse dinamiche di un’istituzione millenaria dove spiritualità e potere terreno si intrecciano in una danza tanto affascinante quanto, a volte, inquietante. La morte di Papa Luciani rappresenta ancora oggi uno dei più grandi misteri della storia contemporanea della Chiesa Cattolica. Un enigma che, nonostante il trascorrere degli anni, continua ad alimentare dubbi, sospetti e teorie spesso contrastanti tra loro. La versione ufficiale, che attribuisce il decesso a un infarto miocardico acuto, si scontra con una serie di anomalie procedurali e comunicative che richiedono un’analisi meticolosa e priva di pregiudizi. Il cuore di questo mistero risiede non tanto nella possibilità di una morte naturale, quanto nelle circostanze che l’hanno circondata. Ufficialmente, Albino Luciani è morto nel suo letto, stroncato da un attacco cardiaco. Soffriva effettivamente di ipotensione e problemi cardiovascolari documentati. Le fatiche dell’elezione, lo stress del nuovo ruolo pontificio e le responsabilità improvvisamente riversate sulle sue spalle potrebbero aver aggravato un quadro clinico già fragile. Ma è proprio qui che iniziano le incongruenze. Una domanda essenziale si impone immediatamente: perché un uomo di tale importanza, trovato morto in circostanze così repentine, non fu mai sottoposto ad autopsia? Perché il suo corpo venne rapidamente imbalsamato, precludendo ogni possibilità di verifica indipendente? Le prime comunicazioni vaticane sul ritrovamento del corpo furono, inoltre, contraddittorie in modi che destano legittime perplessità. La mattina del 29 settembre, il mondo apprese che Suor Vincenza Taffarel aveva trovato il Papa senza vita nel suo letto intorno alle 5 del mattino. Questa versione fu però successivamente smentita dal segretario personale don Diego Lorenzi, che affermò di essere stato lui a ricevere per primo la notizia del decesso. L’orario stesso della morte non è mai stato stabilito con certezza, collocato in un vago intervallo tra le 23:00 e le 5:00. Sono discrepanze che, in un contesto ordinario, verrebbero immediatamente chiarite da un’indagine forense; nel caso di Luciani, invece, hanno generato un vuoto informativo mai colmato. Il contesto storico in cui questa morte si colloca non può essere ignorato nell’analisi dei fatti. Gli anni Settanta rappresentarono un periodo di profonda crisi morale e finanziaria per la Santa Sede. L’Istituto per le Opere di Religione (IOR), la cosiddetta “banca vaticana”, era al centro di operazioni finanziarie opache sotto la direzione di Monsignor Paul Marcinkus. Le connessioni con figure come Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano poi trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra nel 1982, e Michele Sindona, il banchiere avvelenato durante la sua detenzione nel 1986, disegnavano una rete di interessi e potere che oltrepassava i confini della spiritualità per addentrarsi nei meandri più oscuri della finanza internazionale. È in questo scenario che emerge la teoria più controversa e drammatica sulla morte di Luciani: quella dell’omicidio. David Yallop, nel suo celebre libro “In God’s Name”, ha articolato un’ipotesi che, per quanto scottante, trova riscontro in numerosi elementi contestuali. Secondo questa ricostruzione, Papa Giovanni Paolo I stava per intraprendere una radicale opera di riforma interna alla Chiesa, con l’intenzione di rimuovere figure di alto profilo legate a corruzione e massoneria. I nomi che emergono da questa ricostruzione sono pesanti: Monsignor Paul Marcinkus, Jean Villot e Sebastiano Baggio. Tre figure chiave che, secondo alcune fonti, comparivano in una presunta lista di epurazioni trovata accanto al letto del pontefice defunto. Una lista che il Vaticano non ha mai confermato ufficialmente, ma che si inserisce coerentemente nel panorama torbido di quegli anni, quando la loggia massonica P2 estendeva i suoi tentacoli nel potere politico e finanziario italiano. La domanda sorge spontanea e inquietante: è possibile che Papa Luciani sia stato eliminato preventivamente, prima che potesse intervenire contro questa rete di potere che coinvolgeva la stessa Santa Sede? È una teoria che, pur mancando di prove dirette e testimonianze conclusive, presenta un movente solido, un contesto favorevole e spiegherebbe la fretta nella gestione del corpo e della comunicazione ufficiale. Una terza possibilità, meno drammatica ma non meno preoccupante, è quella dell’errore medico o della negligenza. Diversi biografi riportano che il Papa avesse manifestato malesseri nei giorni precedenti alla morte, sintomi che furono apparentemente sottovalutati o ignorati. Esistono testimonianze secondo cui Luciani assumeva farmaci senza adeguata supervisione medica, e quella notte fatale nessuno era presente per assisterlo in caso di emergenza. L’assenza di un medico di guardia per una figura di tale rilevanza appare, a posteriori, una lacuna incredibile nel protocollo di sicurezza vaticano. Se si aggiungono a questi elementi i ritardi nella comunicazione ufficiale della morte, le discrepanze nei racconti dei testimoni e la mancanza totale di trasparenza nell’accertamento delle cause, emerge un quadro che suggerisce, quantomeno, una gestione approssimativa di un evento di portata storica. Per completezza analitica, va menzionata anche l’ipotesi del suicidio, sebbene sia unanimemente considerata la più debole e priva di fondamento. Nulla nella personalità, negli scritti o nella testimonianza di vita di Albino Luciani, uomo di profonda fede e genuina serenità, suggerisce una simile possibilità. Il suo carattere mite, la sua spiritualità radicata e il suo approccio positivo alla vita e al ministero rendono questa teoria sostanzialmente implausibile, ma in un’indagine esaustiva anche le ipotesi meno probabili meritano di essere esaminate e, eventualmente, scartate con argomenti solidi. Le domande irrisolte continuano ad accumularsi attorno a questa vicenda: chi trovò realmente il corpo del pontefice? Perché le testimonianze divergono su un fatto tanto basilare? Quale motivazione profonda spinse il Vaticano a rinunciare a un’autopsia che avrebbe potuto dissipare ogni ombra di dubbio? La rapidità dell’imbalsamazione nascondeva forse la necessità di occultare prove compromettenti? E soprattutto, perché tanto silenzio si è stratificato attorno a una vicenda che avrebbe richiesto, al contrario, la massima trasparenza? In questo complesso mosaico, la morte naturale rimane l’ipotesi più lineare, ma anche quella più carente di verifiche e trasparenza. La teoria dell’omicidio poggia su indizi contestuali e moventi solidi, pur mancando di prove definitive e inconfutabili. L’ipotesi della negligenza medica spiegherebbe molte anomalie procedurali, ma non chiarisce l’atteggiamento difensivo e reticente delle autorità vaticane negli anni successivi. Quasi mezzo secolo dopo, il mistero della morte di Papa Luciani continua ad abitare quella zona grigia dove fede e potere si incontrano e si scontrano, e dove il silenzio diventa più eloquente – e più inquietante – di qualsiasi dichiarazione ufficiale. La figura di questo pontefice dallo sguardo limpido e dal sorriso genuino continua a stagliarsi come un punto interrogativo nella storia recente della Chiesa, un enigma che richiama l’attenzione ogni qualvolta le porte del conclave si riaprono per un nuovo capitolo della storia vaticana. La realtà più profonda e disturbante che emerge da questa vicenda non è tanto l’impossibilità di stabilire con certezza cosa accadde a Luciani nella notte del 28 settembre 1978. È piuttosto la constatazione che, in un’istituzione che dovrebbe essere faro di verità e trasparenza morale, abbiano invece prevalso logiche di palazzo, silenzi strategici e una gestione dell’informazione che appare più vicina alle dinamiche del potere temporale che alla missione evangelica della Chiesa. Il contrasto stridente tra il messaggio cristiano di verità e il comportamento dell’apparato che lo custodisce rappresenta forse il vero scandalo di questa vicenda. Un paradosso che interroga non solo gli storici e i giornalisti d’inchiesta, ma la coscienza stessa dei credenti. Perché, in definitiva, non sapere con certezza cosa accadde ad Albino Luciani è grave; ma ancor più grave è che, in un luogo dove dovrebbe regnare la chiarezza della coscienza e della fede, siano invece i silenzi, i retroscena e le ambiguità a dominare la scena, gettando un’ombra persistente sulla credibilità morale di un’istituzione millenaria. Mentre il mondo cattolico si prepara ora ad accogliere un nuovo pontefice, il fantasma di quelle 33 giorni del 1978 aleggia ancora tra le navate di San Pietro, ricordando a tutti che la verità, per quanto scomoda o dolorosa, resta l’unico fondamento possibile per una fede autentica e per un’istituzione che voglia essere all’altezza del messaggio che proclama.