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Città di Novara

Il Blog dei Cittadini

Due chiacchiere con…Valerio Moggia, giornalista novarese

DiSimone Balocco

Set 16, 2025

di Simone Balocco

 

Valerio, come dobbiamo presentarti: blogger, giornalista, podcaster, opinionista, persona curiosa…o altro ?

Mi accontento di giornalista sportivo. Altre definizioni, come blogger e podcaster, credo siano ormai in buona parte connesse al lavoro del giornalismo online moderno, ne sono inglobate. Quanto all’essere una persona curiosa, spererei che in realtà lo fossimo un po’ tutti: è più che altro una necessità.

 

Sei di Novara. Raccontaci il tuo percorso (scuole superiori, università, post università) e cosa ti ha portato a diventare uno scrittore.

Sì, sono di Novara e ho frequentato le scuole qui in città: ricordo abbastanza bene le elementari alla Fratelli Di Dio, nel mio quartiere, anche perché ancora oggi mi capita di passarci spesso davanti. L’università, però, l’ho fatta alla Statale di Milano: a quei tempi, già avevo iniziato a collaborare con il Corriere di Novara. Poi, dopo la laurea, ho scritto per NovaraOggi, ma ormai da circa dieci anni non mi occupo più di cronaca locale. Curo un sito su calcio e politica, Pallonate in Faccia, e collaboro per testate nazionali, sia online che su carta.

 

Quando hai capito che la scrittura sarebbe stato ciò di cui avevi bisogno?

Bella domanda! In realtà, più che la scrittura è il fatto di comunicare, di informare (e la componente di ricerca e apprendimento che precede questo lavoro). La scrittura è solo uno strumento attraverso cui posso comunicare, quello che trovo più naturale e più comodo. Ma, come anticipavi, curo anche un podcast, a volte intervengo in programmi radiofonici, o partecipo ad incontri dal vivo: le forme di comunicazione possibili sono (fortunatamente) molteplici.

 

“Pallonate in faccia” nasce come sito e poi come podcast: quando nascono e cosa ti ha spinto a farli nascere.

Il sito è nato nel 2017, inizialmente perché volevo scrivere articoli sul calcio e la sua storia: all’epoca scrivevo principalmente online di politica, di cinema e di musica. Da lì, il lavoro calcistico ha preso il sopravvento sul resto, e nel 2021 è nato il podcast. Come molti progetti di questo tipo, ha preso forma durante il lockdown, quando anche io mi sono ritrovato ad ascoltare assiduamente podcast su qualsiasi argomento. L’inizio degli Europei di quell’estate mi diede l’input decisivo per registrare e pubblicare la prima puntata.

 

Come sono nate invece le collaborazioni con Vice, Il Post, Ultimo uomo e Linkiesta?

Questo forse sarebbe più corretto chiederlo ai caporedattori di queste testate, che mi hanno contattato e hanno avuto fiducia in me. Vice è stata la prima testata importante ad avermi proposto una collaborazione, dopo aver letto una mia inchiesta sul sessismo nel giornalismo sportivo online. Da lì ho continuato a scrivere e ampliato il mio lavoro, il pubblico del mio progetto è cresciuto e altre testate mi hanno notato.

 

La tua ultima opera editoriale è “Calcio è politica”. Raccontaci la sua genesi fino alla sua pubblicazione.

Era un tema che prendeva forma nella mia testa da tempo: il rapporto tra il calcio e il nazionalismo, come a volte lo ha purtroppo alimentato e come, altre volte, ha contribuito a limitarlo. Credo sia la risultante sia dell’osservazione del mondo attorno a noi, specialmente di questi ultimi anni, sia dei miei studi sulla storia del calcio e dello sport in generale. Poi, è arrivato l’editore People che mi ha proposto di scrivere un libro, e a quel punto ho avuto la scusa per mettere su carta tutti quei pensieri e quelle riflessioni. Ho dovuto studiare molto, soprattutto su testi che non trattano in alcun modo lo sport: ho provato a usare il calcio come metafora per spiegare questioni più complesse.

 

Prima di allora avevi pubblicato “Storia Popolare del Calcio. Uno sport di esuli, immigrati e lavoratori” e “La Coppa del Morto. Storia di un Mondiale che non dovrebbe esistere”. L’ultimo Mondiale lo hai seguito o hai avuto dei preconcetti?

L’ho seguito, un po’ perché il lavoro me lo ha imposto, e un po’ perché la passione me lo ha imposto: è difficile far andare d’accordo passione, morale e necessità di arrivare a fine mese (e non vale solo per i giornalisti, ovviamente). Decidere di boicottare un evento sportivo perché si svolge in un paese che viola i diritti umani è legittimo e anche molto nobile; il rovescio della medaglia è che si rischia di non seguire più nessuno sport. La Formula 1 corre in Azerbaijan e in Bahrain, il calcio si gioca in Qatar e in Arabia Saudita, il ciclismo fa i Mondiali in Ruanda…

 

Sei molto attivo politicamente per quanto riguarda il calcio. Lo ammetto: leggendoti, ho scoperto tante cose che non sapevo e che mi hanno fatto arrabbiare. Questo tuo impegno, ti ha portato sicuramente pareri positivi e negativi, immagino. Noti che c’è poco impegno politico verso il calcio?

Sicuramente può sembrare che sia così, rispetto ad altri sport: il basket NBA è molto più politicizzato, soprattutto sui diritti degli afroamericani. Però da mesi abbiamo, nel calcio, tifoserie in tutto il mondo che chiedono la pace in Palestina: in nessun altro sport si è arrivati a una simile mobilitazione. Diciamo che in generale, in altri sport gli atleti mi paiono più politicamente consapevoli rispetto ai calciatori, ma se guardiamo ai tifosi il discorso è completamente ribaltato. Aggiungerei anche che in Italia è molto più raro trovare calciatori che parlano pubblicamente di politica rispetto a paesi come Spagna, Francia, Germania o Regno Unito. Io noto molte persone interessate a sentire parlare di sport e politica, così come ce ne sono altre che invece dicono che non bisogna politicizzare lo sport (un controsenso storico: lo sport è politico fin dalla sua nascita), ma di solito queste ultime lo fanno perché non condividono determinanti messaggi politici veicolati attraverso lo sport. Faccio un esempio: un politico inglese, Nigel Farage, nel 2021 criticò i calciatori che si inginocchiavano per Black Lives Matter, dicendo che calcio e politica devono restare separati. Il mese scorso ha messo in commercio una maglietta da calcio con lo stemma e gli slogan del suo partito per finanziarsi la campagna elettorale.

 

Su “Pallonate in faccia” c’è una rubrica che, credo, ti stia molto a cuore: The Beautiful Shame. Raccontacela.

Forse la definirei più un progetto parallelo. È una newsletter nata lo scorso dicembre e che si può leggere gratuitamente attraverso la piattaforma Substack. Tratta del rapporto tra calcio, politica e diritti umani in Arabia Saudita, ed è nata per sensibilizzare le persone sui Mondiali che si terranno lì nel 2034. È un progetto a cui tengo molto sia per ovvi motivi umanitari e informativi, ma anche perché ho deciso di realizzarla interamente in inglese, per renderla facilmente accessibile anche a un pubblico straniero.

 

Sei spesso invitato a tenere incontri e conferenze dove si parla di calcio, politica e impegno sociale. Qual è stato l’incontro più bello che hai fatto in questi anni?

Difficile citarne uno solo: ogni incontro che ho fatto mi ha lasciato qualcosa. Uno di quelli che ricordo meglio, però, è paradossalmente quello in cui ho avuto un ruolo marginale: è stato nell’estate 2024 in un paese vicino Ferrara, a una festa in cui ho tenuto un piccolo intervento, in mezzo ad altri sul tema di sport e diritti umani. In quell’occasione, c’erano anche due ragazze afgane molto giovani, rifugiate in Italia dopo il ritorno al potere dei Talebani, che hanno raccontato la loro esperienza di giovani calciatrici nel loro paese e di profughe nel nostro, che attraverso il calcio stanno ricostruendo rapporti e relazioni in una terra straniera.

 

Quali sono i tuoi idoli, anche del passato, dal punto di vista della scrittura, dello sport e del calcio? Italiani e non.

Più che di idoli, preferisco parlare di persone che ammiro. Lavorativamente parlando, la lista sarebbe molto lunga, e non voglio fare torto a nessuno. Se guardo al calcio, stimo molto giocatori che hanno saputo in questi anni prendere posizioni su temi dei diritti umani, come Borja Iglesias, Marcus Rashford o Leon Goretzka. Sicuramente, devo citare Gary Lineker: grande calciatore, da anni eccezionale presentatore tv e opinionista sportivo, da sempre impegnato per la difesa dei diritti umani.

 

Sono anni che sei sul web tra articoli, podcast, newsletter…chi ti senti in dovere di ringraziare?

Anche qui, la lista sarebbe lunga. So che a tanti piace rivendicare di essersi “fatti da soli”, e in un certo modo è ovvio che spesso si arriva a un certo punto delle proprie vite per meriti propri. Ma so benissimo che questi meriti sono mattoni che una persona pone su fondamenta costruite da altri: dalla mia famiglia, che mi ha permesso di studiare e mi ha sostenuto economicamente quando questo lavoro era più una scommessa che altro, alle varie persone che mi hanno dato fiducia e mi hanno chiesto di scrivere per una testata che dirigevano, o mi hanno segnalato a qualche altra rivista o sito.

 

Sono curioso: perché una persona nata a Novara tifa Sampdoria? Come giudichi la scorsa stagione dei blucerchiati.

Tasto dolente… Inizio col dire che, da piccolo, volevo tifare una squadra un po’ fuori dagli schemi, per il contesto in cui mi trovavo (come sappiamo tutti, a Novara si tifano soprattutto Juventus, Milan e Inter). Mi sono appellato alle origini liguri della mia famiglia, e mi sono anche lasciato attrarre dalla maglia unica della Samp. La scorsa stagione ovviamente è stata catastrofica, e ho l’impressione che questa possa essere anche peggiore: il tifo è una gioia e una condanna al tempo stesso.

 

Come giudichi la scena della scrittura novarese? Anche quella sportiva.

Non credo di essere un esperto della scena letteraria e giornalistica novarese: personalmente, conosco pochissimi autori locali e ne leggo ancora meno, non per superbia ma perché, banalmente, leggo soprattutto saggistica sullo sport, e prevalentemente di autori stranieri. Ma se parliamo di chi scrive di calcio, anche con un orientamento più politico e culturale, Novara è sorprendentemente molto viva. Penso a due amici come Nicolò Rondinelli e Andrea Vecchio, che hanno scritto libri molto interessanti (e che, contrariamente a quanto ho detto prima, ho pure avuto il piacere di leggere).

 

Ultima domanda: cittadinovara.com è un blog incentrato su questioni novaresi. Segui il Novara FC, lo sport novarese e la vita cittadina?

Confesso di non seguirli particolarmente. Vivo la città di Novara come qualsiasi altra persona, immagino. Lo sport locale mi piacerebbe seguirlo di più, ma spesso, per ragioni di tempo, non mi è possibile. Sono però una di quelle persone che, se è in giro per una passeggiata e capita davanti a un campo dove si sta giocando un match dilettantistico o giovanile, un po’ mi soffermo a guardare. Del Novara FC seguo più che altro i risultati, ma devo dire che, specialmente nei mesi più caldi, mi basta tenere la finestra aperta per sapere come sta andando la partita: abito relativamente vicino allo stadio, e a volte posso sentire esultanze o annunci degli altoparlanti.

 

Ultimissima domanda: progetti per il futuro? Un sogno che vorresti si realizzasse?

Per il momento, nessuno in particolare. Ci sono certamente idee per libri che vorrei scrivere, ma penso che adesso non sia il momento: ne ho da poco pubblicato uno, ne ho un altro in uscita (sulla tifoseria del Pisa, molto attiva nel sociale ma ancora poco conosciuta a livello nazionale), e penso che sia giusto aspettare prima di rimettersi a scrivere. Porto avanti i progetti che ho in corso da tempo, in particolar modo il podcast, che richiede un certo impegno costante e che, secondo le mie previsioni, entro un anno o poco più raggiungerà la sua conclusione.

 

immagini in evidenza e nel corpo dell’intervista fornite da Valerio Moggia