24 novembre 1991 – 24 novembre 2021: trent’anni senza Freddie Mercury

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di Simone Balocco

Ci sono date che nessuno di noi può dimenticare: il primo bacio, il compleanno di un parente, il giorno della laurea, il giorno del matrimonio, il giorno di una promozione lavorativa ma, anche, purtroppo, giorni luttuosi. Si ricordano momenti felici e giorni tristi, indistintamente.

Il 24 novembre per chi ama la musica, è un giorno triste in quanto si celebra il “Freddie Mercury day”. Questa giornata è dedicata all’ex frontman dei Queen morto il 24 novembre 1991: sono passati trent’anni da allora e Mercury ha lasciato un vuoto incolmabile tra i suoi fan e gli amanti della musica perché questo artista era, è e sempre sarà ricordato come un baluardo della musica mondiale.

Nato il 5 settembre 1946 a Zanzibar, oggi un’isola della Tanzania ma allora colonia del Regno d’Inghilterra, come Farrokh Bulsara, l’ex leader dei Queen oggi avrebbe 75 anni e chissà cosa avrebbe regalato ancora al Mondo tra la scrittura di canzoni e performance irripetibili.

Trent’anni fa, il Mondo della musica piangeva uno dei suoi talenti migliori, il Diego Armando Maradona del palco, il Michael Jordan degli acuti, il Joe di Maggio delle performance on stage incredibili. Perché questo è stato Freddie Mercury: il più bravo cantante della storia della musica, anzi “The all time Greatest rock ‘n roll performer” come è stato anche definito. Un mito irraggiungibile.

Figlio di un dipendente del consolato inglese a Zanzibar, i Bulsara erano originari dell’India, erano di religione zoroastriana ed erano di etnia parsi, un popolo di origine persiana devoto a Zaratustra.

Quando Farrokh aveva nove anni, i Bulsara lasciarono l’isola africana al largo dell’omonimo golfo e si stabilirono in India. Il giovane iniziò ad incuriosirsi di musica e di sport, ma per la musica sembrava avere un qualcosa in più rispetto agli altri tanto da spingere i genitori a fargli prendere lezioni aggiuntive di musica.

Nel 1964 i Bulsara si trasferirono in Inghilterra per via della guerra civile a Zanzibar dove erano da poco tornati. Farrokh aveva 18 anni ed un sogno: diventare un cantante. Presero casa a Feltham, nel Middlesex, nei pressi di Heathrow. Per pagarsi gli studi alla scuola di design, Farrokh Bulsara lavorava come facchino proprio nel principale aeroporto della capitale britannica.

Al college conobbe tre ragazzi che cambieranno per sempre la sua vita: Tim Staffell, Brian May e Roger Taylor, rispettivamente cantante-bassista, chitarrista e batterista di una band locale, gli Smile. Bulsara tra il 1969 ed il 1970 divenne anche cantante di due gruppi: gli Ibex ed i Sour Milk Sea. Si capì che rispetto ai suoi compagni aveva una marcia in più, ma il suo modo di fare sul palco e nella gestione del gruppo non piacque, creando tensioni.

Nell’aprile 1970 Bulsara, visto l’addio di Staffel, si unì a May, Taylor e a Mike Grose: nacquero i Queen. Nel mentre, cambiò anche il suo nome, diventando Freddie Mercury: “Freddie” era una sorta di diminutivo di Farrok, “Mercury” era “Mercurio”, il messaggero degli dei.

Nel 1971, dopo gli addii di Grose e dei suoi sostituti Barry Mitchell e Doug Bogie, la band provinò il bassista ventenne John Deacon. Il giovane fu preso nella band e quella sarà la line up dei Queen per sempre.

Da lì ebbe origine la leggenda dei Queen. Una leggenda composta da quindici album pubblicati (di cui uno postumo), 300 milioni di copie vendute e canzoni diventate veri inni: da Bohemian rhapsody a Killer queen, da Under pressure a Crazy little thing call love, da Innuendo a One vision, da Hammer to fall a Love of my life. Passando per We are the champions, We will rock you, Hammer to fall, Tie your mother down e tante altre.

Freddie Mercury ha scritto oltre un terzo delle canzoni dei Queen, aveva una presenza scenica devastante, una tonalità di voce unica ed una genialità fuori dal comune. Unito all’essere stato un personaggio davvero stravagante: sapeva do essere eccentrico e gli piaceva che la gente lo idolatrasse appunto perché eccentrico.

Ma sono stati i concerti la vera anima dei Queen e di Freddie Mercury: sul palco si trasformava, diventava un qualcosa di irripetibile, uno che stimolava le folle e che le folle lo stimolavano. Per intenderci, durante un concerto in Brasile, a Rio, la canzone Love of my life, Mercury l’ha cantata…facendola cantare al pubblico.

Molti si ricorderanno la performance dei Queen al Festival di Sanremo il 4 febbraio 1984: per “ordine” della Rai, Mercury e la band furono obbligati ad esibirsi in playback. Lui accettò e l’esibizione fu esilarante: era palese che i Queen si esibirono in Radio Ga ga non suonando veramente e Mercury fece capire a tutti che non era lui a cantare ma bensì…la sua voce presa dal disco “The works” dove era contenuta la canzone.

Sono due i concerti rimasti nell’immaginario collettivo come il top della vita musicale di Freddie Mercury (e dei Queen), entrambi svoltisi a Londra allo stadio di Wembley: il Live Aid (13 luglio 1985) ed i concerti dell’11 e 12 luglio 1986 del “Magic tour”.

Il primo fu un concerto di beneficienza voluto dal musicista Bob Geldolf per aiutare le popolazioni dell’Etiopia sconvolte da una forte carestia e vi presero parte decine di band e cantanti tra Wembley ed il JFK Stadium di Filadelfia, altra sede del concerto.

Vi parteciparono 70mila persone a Londra e 90mila a Filadelfia con una audience di oltre 2 miliardi di persone essendo stato trasmesso in diretta televisiva. I Queen cantarono sei canzoni (Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer to fall, Crazy little thing call love, We will rock you, We are the champions) e la performance di Mercury al pianoforte è ricordata come una delle migliori non solo del cantante, ma della storia della musica. Per non parlare di quando, dopo Radio Ga Ga, Mercury fece una serie di acuti, facendo impazzire gli spettatori che provarono a cantare in quel modo anche loro su suo “invito”.

Il secondo invece vide Wembley sold out e quello fu l’ultimo grande concerto dei Queen: iconico è stato il momento in cui Mercury si presentò sul palco a torso mudo con la corona in testa e il lungo mantello bianco-rosso di pelliccia, quasi ad issarsi a re della musica.

Freddie Mercury non ha solo vissuto solo di pane e…Queen, ma ha anche avuto anche due parentesi solista: la prima, data 1981, quando si trasferì a Monaco di Baviera, la seconda nel 1988. Il suo primo disco è stato “Mr Bad Guy” (che contiene le celebri Made in Heaven, I was made to love you e Living on my own), il secondo è “Barcelona” con il soprano spagnolo Montserrat Caballé.

L’ultimo concerto dei Queen fu il 9 agosto 1986 a Knebworth dopodiché non ne fecero più in quanto Freddie Mercury si ammalò di HIV.

Le malelingue “dissero” che il cantante contrasse la malattia per via della sua vita dissoluta e perché omosessuale: era legato dal 1984 con il parrucchiere James Hutton dopo essere stato legato sentimentalmente fino al 1976 con Mary Austin, una ragazza conosciuta al college e con cui rimase sempre legata. Lo stesso Hutton divenne sieropositivo e morì di cancro nel 2010.

A Mercury l’HIV fu diagnosticato nel 1987 e lo tenne segreto fino al 1989 quando lo comunicò al resto della band e ai suoi amici che non lo dissero mai a nessuno per non violare la sua privacy.

Non tenne più concerti, ma la sua attività non si interruppe, poiché lavorò ad “Innuendo”, ultimo disco dei Queen uscito nel febbraio 1991 e considerato il suo lascito. Barcelona divenne l’inno delle Olimpiadi del 1992 e si pensò ad un duetto tra lui  e la Caballé, ma Mercury era morto sette mesi prima.

Il 23 novembre 1991 uscì il comunicato con cui Mercury disse al Mondo che era malato di HIV ed il giorno dopo morì. Aveva 45 anni e morì per le conseguenze di una polmonite aggrava dall’HIV.

Le esequie si tennero tre giorni dopo al Kensal Green Cemetery davanti a sole trentacinque persone ed il rito fu celebrato in zoroastriano. Le ceneri furono affidate a Mary Austin che due anni dopo le sparse in un luogo segreto scelto dall’ex compagno.

Se Freddie Mercury avesse detto molto tempo prima che era malato, magari si poteva curare e magari oggi, nonostante la sieropositività, sarebbe ancora tra noi. Ma lui era troppo riservato e solo quando la malattia fu conclamata lo disse agli amici più cari ed il giorno prima di morire (tu guarda il destino!) lo comunicò al Mondo. L’HIV, ribattezzata la “malattia degli anni ‘80” perché in quel decennio fece tante vittime, era considerata dall’opinione pubblica a quei tempi una malattia che colpiva solo persone poco accorte sessualmente ed omosessuali. Cosa non vera in quanto molte persone eterosessuali contrassero la malattia negli anni.

La notizia della morte di Freddie Mercury gettò nello sconforto il Mondo: era morto il miglior cantante di sempre, il miglior performer, il miglior autore. Era morto uno di famiglia perché il rapporto tra lui e i fan, in venti anni di attività, fu viscerale.

La morte di Mercury fece da traino, come avviene sempre in quei momenti, ad un ritorno in auge del gruppo che tornò a vendere milioni di copie rimettendo in vendita dischi in versione remastered e dischi postumi del cantante.

In suo ricordo, il 20 aprile 1992 si tenne a Wembley, il “suo” stadio, un concerto dedicato alla sua memoria cui presero parte diversi cantanti che si esibirono interpretando le canzoni più famose dei Queen con…gli stessi Queen sul palco: il “Freddie Mercury Tribute”. Tra i performer Zucchero, Elton John, Axl Rose, George Michael, Liza Minnelli, David Bowie, Neil Young e l’incasso andò in beneficienza per la costituzione del “Freddie Mercury Phoenix Trust”, un’associazione incentrata sulla prevenzione del virus HIV.

Dopo la morte, i Queen non si sciolsero ma continuarono la loro attività con altri due frontman: Paul Rodgers (2004-2009) e Adam Lambert tra il 2004 ed il 2009 (e dal 2011 a oggi).

Dal 2001 i Queen sono accolti nella “Rock ‘n roll Hall of fame” e We are the champions è, secondo un sondaggio globale, la canzone rock più bella del Mondo.

Ma parlare di Freddie Mercury significa parlare del suo essere stato un’icona.

Iconica è anche la statua di Montreaux che raffigura lo stesso Mercury: la statua è stata realizzata da Irena Sedlecká, è posta davanti al lago Lemano ed è stata inaugurata il 25 novembre 1996 alla presenza della famiglia Bulsara, di Monteserrat Caballé e degli ex colleghi May e Taylor. Va da sé che la statua raffigura un Mercury stilizzato intento a cantare sul palco con le gambe aperte, il giubbotto, i baffi, il pugno destro in alto, la mano sinistra che impugna l’asta del microfono e lo sguardo basso. Montreaux è sempre stato un luogo particolare per Mercury e per i Queen, poiché nella cittadina svizzera il cantante aveva casa ed avevano sede i Mountain Studios, gli studi di registrazione della band e di ogni singolo membro del gruppo rock. La statua del leader del Queen è una delle attrazioni della cittadina sul lago Lemano e luogo di culto laico per ogni fan dei Queen.

In Freddie Mercury tutto è stato iconico: il giubbotto giallo, i baffi in stile “Castro clone”, le sue mise sul palco, l’asta del microfono. E pensare che l’asta del microfono è un errore visto che durante un concerto l’asta si staccò dalla base e lui “se la portò in giro” per il palco.

Non è mancato anche il tributo cinematografico in onore di Freddie Mercury: il film “Bohemian Rhapsody” del regista Bryan Singer con Rami Malek nella parte di Freddie Mercury è oggi l’unico tributo cinematografico, ma ha avuto una valenza enorme. Con questa pellicola, che racconta la vita di Mercury dalla nascita dei Queen al concerto del Live Aid, si parla di quindici anni della vita del cantante e della band. La pellicola nel 2019 ha vinto quattro Premi Oscar (con Malek miglior attore protagonista), due Golden Globe e due BAFTA (British Academy of Film and Television Arts). Malek si era calato in maniera importante nella parte, rendendolo credibile (e quasi uguale) al Freddie Mercury originale. Ad una premiazione, lo stesso Malek disse che il film era stato un omaggio a Freddie Mercury.

Se tutto il Mondo ricorda (o si ricorda) ancora di Freddie Mercury, a Zanzibar nulla lo ricorda, quasi come se fosse stato dimenticato: il fatto è da rintracciarsi nella sua omosessualità e l’islamismo, religione diffusa sull’isola, la rinnega come rinnegato Freddi Mercury i suoi abitanti. Un vero peccato visto che a oggi l’ex leader dei Queen è la persona più famosa nata sull’isola.

Nessuno poi dimentica le sue canzoni. Tra tutte quelle da lui scritte, la più famosa è senza dubbio Bohemian Rhapsody, il pezzo più celebre dei Queen: una canzone un po’ nonsense che allora (era il 1975) aveva spiazzato l’opinione pubblica per la sua lunghezza (oltre 7 minuti), il tono di voce di Mercury, il testo della canzone. Si pensava fosse un flop, divenne una delle canzoni più famose della storia della musica mondiale.

Era uno showman Freddie Mercury ed era bello in maniera particolare: sapeva cosa voleva il pubblico tanto che la performance al Live Aid fu definita perfetta. La dimostrazione di quanto Mercury ce l’avesse fatta a diventare una star della musica. Sul palco era un macho, ma nel privato era timido e riservato.

Freddie Mercury ha ispirato molte persone, soprattutto i musicisti, che hanno cercato di imitarlo sul palco e nella stesura delle canzoni. Non riuscendoci, in quanto Mercury è stato unico ed irripetibile. Anche perché ha unito la teatralità al rock.

Freddie Mercury è ancora oggi un’icona perché aveva talento, era originale, carismatico, eccessivo, aveva doti tecniche innate e fantastiche.

Trent’anni fa lasciava questo Mondo Freddie Mercury nato Farrokh Bulsara: aveva 45 anni e tutta la vita (professionale e non) davanti. Chissà cosa avrebbe ancora regalato al Mondo. A noi comunque basta anche quello che ha fatto nella sua carriera: un vero fenomeno irripetibile della musica.

 

immagine in evidenza tratta da www.consigli.it