by Simone Balocco
Li hanno definiti “la più grande truffa del rock ‘n roll”. Li hanno definiti “la miglior band della storia della musica”. Li hanno definiti “incapaci di suonare”. Li hanno definiti il gruppo che ha scritto una pietra miliare del punk. Hanno detto che il punk non è mai esistito. Hanno detto che il punk è esistito. Tutte queste affermazioni sono opinabili, ma una cosa è certa: i Sex Pistols hanno stravolto la musica.
Quando si parla (e si scrive) dei Sex Pistols, vengono in mente gli anni Settanta, la Controcultura, i vestiti stracciati e i capelli colorati e pettinati in modo stravagante, i suoni distorti e le voci non proprio da usignolo. I Sex Pistols quarant’anni fa oggi (17 gennaio 1978) si scioglievano ufficialmente lasciando dietro di loro odio e amore allo stesso tempo. Questa band bizzarra è durata tre anni, ma in quel breve periodo ha rivoluzionato la musica e il concetto di essere idoli.
Primi vagiti del punk nel Mondo – “Punk” in inglese non è una bella parola da sentirsi dire: bullo, teppista, piantagrane. Musicalmente, il punk nasce (come idea) negli Stati Uniti d’America tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta. Sono tre le band che hanno sperimentato il punk per prime: i Velvet Underground di Lou Reed, i New York Dolls di David Johansen e Johnny Thunders e la band di Iggy Pop, gli Stooges. Per non parlare dei Ramones, gli alfieri di questo genere e a oggi considerati la band più influente nella storia del punk. Nacquero negli States anche i primi locali dediti a questa sottocultura musicale (il più celebre fu il newyorkese “CBGB” al 315 di Bowery street) che esprimeva un solo grido: rabbia.
Le radice del punk si ritrovano nel rock ‘n roll, ma il punk andava oltre: rabbia, odio verso l’autorità, voglia di emergere, ribellione ed il tutto con un suono diverso, più grezzo. Il punk vuole discostarsi dal rock progressivo in voga in quel tempo, ritenuto troppo sperimentale e “in”.
Ovviamente il punk arrivò anche in Europa e la patria di questo nuovo genere musicale non poteva che essere la Gran Bretagna e in particolar modo Londra, la capitale di ogni moda. E dalla metà degli anni Settanta in avanti (e in qualche caso fino agli inizi degli anni Duemila) nasceranno, si imporranno (e venderanno milioni di dischi) band come Clash, Damned (conosciuti per essere stata la prima punk band inglese, grazie al pezzo “New rose” contenuta nel disco “Damned Damned Damned”), Siouxsie and the Banshees e i New Order (anche se questi possono essere considerati new wave). Ma i promotori di questo nuovo genere musicale nella terra della Regina sono stati i Sex Pistols.
Considerata musica per persone “fuori dagli schemi”, il punk in Inghilterra fu un genere di ribellione e di rabbia in una Paese allora in crisi economica e di valori. Eppure questo “suono” vendeva, piaceva e raccoglieva pareri favorevoli e le case discografiche capirono che sfruttare l’onda avrebbe fatto guadagnare loro tantissimi soldi.
L’importanza del “Sex” e di Malcom McLaren – Al 430 di King’s Road, nel quartiere di Chelsea, c’era un negozio gestito da una coppia di due giovani alternativi. Il negozio si chiamava “Sex” e a gestirlo erano Malcom McClaren e Vivienne Westwood. Cosa si vendeva al “Sex”? Tutto ciò che a Londra non si trovava: “chiodi”, borchie varie, camicie sdrucite e t-shirt rotte, oltre a materiale fetish. Quando si varcava la porta d’ingresso di quel piccolo negozio, le parole “conformismo” ed “etichetta” sparivano per far posto al ruggito di una generazione che non credeva più in niente e che odiava gli ordini. Il “Sex” era una sorta di ritrovo per tanti giovani dove parlare, confrontarsi, ascoltare musica (nessun negozio aveva un juke box all’interno) o passare il tempo.
Ma “Sex” era solo l’ultimo di una serie di nomi precedenti e successivi: il primo nome dello store fu “Let it rock” e fu inaugurato nel 1971. Questo negozio, sempre gestito dalla coppia McLaren-Westwood, era dedicato alla moda dei teddy boys e vendeva dischi del passato a prezzi bassi oltre ad abiti usati. Quando la moda teds non attirò più la clientela, il duo alternativo lo chiamò “Too fast to live, too young to die” e si specializzò in moda per rockettari.
McClaren, che non era un amante della musica contemporanea, era tornato da poco dagli Stati Uniti d’America dove era stato per promuovere la sua merce che non piacque a nessuno a quelle latitudini. In compenso, entrò a 360° nel panorama punk di New York, innamorandosi dei New York Dolls. Il gruppo, capitanato dalla triade Johanssen-Thunders-Sylvain, entrò nelle grazie dell’allora 25enne McLaren e sotto il suo management cambiarono radicalmente: da un’immagine glam ad una più cattiva e truce. Il gruppo però, nonostante la gestione McLaren (novembre 1974-giugno 1975) si sciolse due anni dopo, ma il giovane Malcom capì che la strada della musica sarebbe stata caratterizzata dal punk e dalla cattiveria che esprimeva. E lui voleva entrarci a gamba tesa.
Se McLaren era un patito di musica rock, la compagna Vivienne invece era una fanatica della moda e fu proprio lei a capire che in un mondo che si stava annichilendo (culturalmente) ed era intriso dal conformismo, l’unica soluzione era l’andare oltre la moda. E grazie a lei, il “Sex” si specializzò in cose che gli altri negozi si rifiutavano di vendere. McLaren era la mente, la Westwood il braccio: uno gestiva gli affari, l’altra disegnava personalmente i capi che erano venduti nel negozio, ovvero magliette strappate e con scritte di protesta (hate, anarchy, destroy) e simboli tutt’altro che pacifici (t-shirt rossa con cerchio bianco in mezzo con una svastica nera, l’immagine della Regina Elisabetta con la bocca chiusa con una spilla da balia).
Il negozio aveva un altro socio: Bernard Rhodes, altro punkettaro della prima ora che scriverà una pagina importante della storia di un’altra band iconica del movimento, i Clash.
Siamo nel 1975, la band degli Strand si era formata da poco e cercava un cantante.
1975: nascono i Sex Pistols – Nel 1973 si formarono gli Strand, una band composta da ragazzini neanche diciottenni che volevano, come tanti, fare rock. Il gruppo aveva anche un altro nome, Swankers.
A formare il gruppo erano Steve Jones alla voce, Warwick “Willy” Nightingale alla chitarra, il batterista Paul Cook e Jim Mackin all’organo. Il leader di questa band che voleva sfondare era Jones, volto noto alle forze dell’ordine. I quattro erano ragazzi della lower class, erano poveri e non potevano permettersi le strumentazioni e quindi il buon Steve rubava gli strumenti dopo i concerti degli artisti (la vulgata dice che abbia rubato una chitarra anche a David Bowie e a Rod Stewart dopo un concerto). I gruppi di riferimento di Jones e soci erano i soliti della loro generazione: Stooges, Who, Small Faces, MC5. I giovani Strand erano attratti, come tanti loro coetanei, dal negozio di McLaren e della Westwood. Jones si recò una volta in più nel negozio e chiese a McLaren se poteva fare qualcosa per loro, visto che sapeva del successo avuto con i New York Dolls e gli chiese se poteva aiutarli a fare musica.
Poco dopo si unì a loro uno studente di arte, Glenn Matlock, bassista con un background musicale più elevato di loro e commesso del negozio di Kings Road.
Nonostante il padre di Warwick avesse dato al figlio e ai suoi amici “musicisti” una sala prove, quest’ultimo fu mandato via dallo stesso McLaren perché ritenuto non all’altezza. Il titolare del “Sex” capì che Jones non era adatto a fare il cantante e lo “dirottò” verso la chitarra, con il beneplacito dello stesso Jones che era più attratto dallo strumento a sei corde che dal microfono. Il chitarrista c’era, il bassista ed il batterista idem, mancava un cantante. Serviva un tipo particolare, perché per fare il cantante di un gruppo punk bisogna essere per forza…particolari.
Bernie Rhodes suggerì a McLaren e ai tre aspiranti un assiduo frequentatore del “Sex”, un tipo poco raccomandabile con i capelli color verde, il volto bianco, la parlantina poco forbita e tanta rabbia in corpo che poteva essere tirata fuori solo tramite la musica. Quel ragazzo, coetaneo degli altri, si chiamava John Lydon, aveva un passato turbolento, sembrava brutto e cattivo ed aveva il physique du role per essere il frontman della nuova band. Dopo aver cantato “I’m Eighteen” di Alice Cooper davanti al juke box del negozio, fu ingaggiato. Il quid che permise a Lydon di essere assoldato fu la sua t-shirt con un’immagine dei Pink Floyd e la scritta in pennarello “I hate”. Come dire: “voi Pink Floyd siete bravi-belli-simpatici-e-vendete-dischi? Beh, mi fate schifo”.
La band era pronta, ma le mancava un nome e quello usato precedentemente non andava bene. McLaren capì che la sua creatura doveva emergere e gli affibbiò un nome che ricalcasse l’attività del giovane manager: nacquero i Sex Pistols (evoluzione di QT and the Sex Pistols) e John Lydon si “trasformò” in Johnny Rotten, per via del suo aspetto “marcio”. Il gruppo riuscì a “rinsavire” Cook che non credeva molto nel progetto della band perché la riteneva senza speranza poiché nessuno di loro sapeva suonare bene da fare concerti o pubblicare eventuali dischi.
Quando si costruiscono delle cose ex novo, ci sono sempre dei problemi e i problemi furono subito Rotten e Matlock. Il motivo? Erano il diavolo e l’acqua santa: uno scapestrato e semi-delinquente, l’altro non proveniente da una situazione famigliare disagiata; uno incapace di suonare l’altro unico tra tutti a suonare uno strumento davvero bene; uno punk dentro e fuori, l’altro tutt’altro che punk dentro e fuori. McLaren non si espresse mai a riguardo perché capì che il conflitto avrebbe portato solo del bene alla band.
La prima data della band fu al St. Martin’s College Of Art di Londra, nel quartiere di King’s Cross, il 6 novembre 1975 dopo appena due mesi di prove. Il gruppo fece da spalla ai Bazooka Joe. Il concerto fu un disastro, perché la musica dei quattro ragazzotti era così forte tanto che qualcuno staccò la spina degli impianti e il generatore di corrente per impedire loro di continuare a suonare. La band risuonò nel club londinese il giorno dopo. Nel 1975, tra novembre e dicembre, i Sex Pistols suonarono complessivamente sette volte.
1976: prime date serie e l’urlo della rabbia di “Anarchy” – Il 1976 fu molto fruttuoso per il gruppo, con ben sessantacinque date totali.
Nel mese di giugno, una rivista musicale inglese di spessore, “Melody maker”, si occupò di Rotten e soci con una recensione del loro concerto al “Nashville Rooms” di Londra, nella zona di West Kensington, del 3 aprile.
E’ a Manchester, presso la Lesser Hall del “Free Trade Hall”, il 4 giugno 1976, che il punk prese piede nel Paese della Regina Elisabetta: gli spettatori furono (si dice) solo quarantadue nonostante il modico prezzo del ticket d’ingresso (50 pence del tempo), ma da quel concerto nasceranno molte band “di tendenza” in Inghilterra: Smith, Joy Division, Buzzcocks. Quella sala da quattrocento posti era stata utilizzata poche volte se non per concerti di musica jazz: i Pistols la tramutarono nella nursery del punk.
Il 15 maggio, ricorda William Mandel nel suo “Sex Pistols Live Show”, la band registrò le sue prime tre canzoni sotto la guida di Chris Spedding: “Pretty vacant”, “Problems” e “No feelings”. Il 13 luglio, sotto la produzione di Dave Goodman, il gruppo registrerà in via definitiva altre sette canzoni: oltre a quelle con Spedding, dalla sala prove di Denmark Street, Soho, uscirono “I wanna be me”, “Seventeen”, “Satellite”, “Submission” e la canzone vero brand del gruppo, “Anarchy in the UK”.
Grazie a Malcom McLaren, i Sex Pistols iniziarono a parlare di produrre e pubblicare un disco che contenesse tutte le canzoni scritte, ma chi avrebbe creduto in una band di ragazzi musicalmente scarsi che suonavano un genere in voga ma “particolare”? I Sex Pistols il 20 settembre si affidarono alla società di management di McLaren, la Glitterbest, che li avrebbe gestiti tout court e l’8 ottobre il gruppo siglò il primo contratto discografico con la EMI e due giorni dopo la band registrò altre canzoni sempre con Goodman.
Il 3 e 4 settembre, per la prima volta, il gruppo suonò lontano dall’Inghilterra, con due concerti a Parigi presso il “Le Chalet du Lac”: il primo concerto fu difficoltoso perché il gruppo arrivò tardi nel locale per un ritardo dell’aereo, non provò e suonò veramente male, tanto che il titolare voleva bloccarli dopo quattro canzoni ma non ci riuscì.
Ancora più storico fu il primo festival punk organizzato a Londra: la due giorni del “100 Club” di Oxford Street (20-21 settembre 1976) dove si ritrovò sul palco il meglio delle punk band della capitale inglese (Siouxsie and the Banshees, The Clash, The Damned, Buzzcocks e tanti altri) e tutte spalle del gruppo di Rotten. I Pistols erano già fissi al locale di Westminster ogni martedì sera in quel periodo. La strada era in salita, anche se rispetto all’inizio la band suonava un po’ meglio.
La stessa casa discografica riuscì, anche grazie a McLaren, a portare i Sex Pistols in televisione. Non un grande network, ma meglio che suonare davanti a quattro gatti in posti angusti. Il 1° dicembre al programma pomeridiano di Bill Grundy, il “British Today Show”, su Thames Tv, dovevano andarci i Queen, ma il gruppo di Freddy Mercury non poté parteciparvi. Grundy ebbe l’idea di chiamare la band di Johnny Rotten e alcuni membri del “Bromley Contingent”, un gruppo non ufficiale di punk londinesi supporter della band. Per la band sarebbe stato un trampolino di lancio verso la notorietà e dove parlare delle loro idee di musica e del loro primo disco.
Il programma fu un disastro: il conduttore era alterato dall’alcool e provocò la band dall’inizio alla fine dell’intervista, anche con apprezzamenti per nulla carini verso Siouxsie, presente come fan del gruppo. La band rispose per le rime alle provocazioni di Grundy e tenne un comportamento inadeguato ad un programma, dicendo improperi e parolacce.
Il giorno dopo i Sex Pistols furono sulle prime pagine dei media: la loro reputazione fu distrutta, ma la gente iniziò a parlare di loro. Ma, come dice il detto, “bene o male basta che se ne parli”. I media censurarono la band e Grundy fu sospeso per due settimane dall’emittente, chiudendo di fatto la sua carriera di giornalista e conduttore televisivo.
Facciamo un passo indietro: come hanno fatto i Sex Pistols ad andare in tv? C’è da fare un passo indietro al 26 novembre, quando uscì la loro canzone più famosa. Quel giorno fu pubblicata “Anarchy in the UK” e il mondo del punk e della musica subì uno scossone. La canzone iniziava con il celebre “I am an antichrist/I am a anarchist”: non fu presa in oggetto la monarchia, ma il “sistema inglese”, con una politica ed un livello di musica che dovevano essere svecchiati, riformati e scandalizzati. E quella canzone, grezza nelle parole e nella musica sconvolse il Paese ma fece breccia nel cuore (e nelle orecchie) dei giovani. Il singolo (registrato il 17 ottobre precedente sotto l’egida di Chris Thomas ai “Wessex Studios” di Londra) vendette un discreto numero di copie e divise l’opinione pubblica: mancanza di rispetto verso il Paese, dire le cose come stavano. Ovviamente il brano fu boicottato e censurato. In un contesto di rabbia e protesta, l’obiettivo era fare scalpore. E cosa c’è di meglio nel portare scompiglio in una Nazione dove da oltre cinquecento anni c’era una monarchia al potere?
La fama negativa precedeva il gruppo: nessuno locale voleva Rotten e compagni a suonare, pur sapendo che ci sarebbe stato il sold out. Ed infatti il loro tour inglese subì sempre contraccolpi o divieti: in un’intervista Cook disse che ne fecero tre su venticinque programmati perché i titolari dei locali non volevano problemi.
Il 6 dicembre iniziò l’”Anarchy Tour”, il primo vero tour del gruppo dove le spalle furono i Clash Buzzcocks, Heartbreakers. “Melody maker” un mese prima dedicò ampio spazio ai Sex Pistols e al tour, ma la band inizi ad essere ingestibili.
La EMI cavalcò in parte l’onda e capì che aveva tra le mani una vera bomba ad orologeria e organizzò una serie di concerti in Olanda con l’inizio del nuovo anno. Il 1977 fu l’anno della svolta per i Sex Pistols e per il punk.
1977: il primo disco, “God save” e l’ingresso di Sid Vicious – Il 1977 si aprì con l’addio di Glen Matlock dopo l’ultimo dei tre concerti olandesi (oltre ad un’apparizione televisiva in un programma musicale di Amsterdam) il 7 gennaio. Prima di imbarcarsi a Heathrow per i Paesi Bassi, le intemperanze della band furono la goccia che fece traboccare il vaso e la EMI, già arrabbiata per i fatti del programma tv, decise di strappare il contratto, asserendo di non voler più in “scuderia” gente come loro. La band fu risarcita con 50mila sterline, ma la major ritirò le cinquemila copie di “Anarchy in the UK”.
Il 1977 fu un anno storico per la Gran Bretagna: la regina Elisabetta II avrebbe festeggiato i 25 anni di regno (il Giubileo d’argento) e nel “Kingdom” l’evento fu celebrato tutto l’anno.
La band era alle prese con l’ingaggio di un nuovo bassista, visto che Matlock era stato cacciato (e lui se ne andò senza protestare) perché inadatto (!) a stare nel gruppo: troppo pop, troppo bravo ragazzo, troppo amante dei Beatles. Effettivamente, il bassista era quello più capace di tutti musicalmente, ero quello più “presentabile” ma non c’entrava nulla con loro perché era tutto fuorché essere punk. Matlock creò dal nulla una nuova band (The Rich Kids) e firmò subito dopo nientemeno che con la EMI. Pesò molto il suo rapporto complicato con Lydon: per Matlock, i Sex Pistols dovevano ragionare e decidere in quattro, mentre il cantante decideva per tutti e quattro e a lui questo non piacque mai.
Chi avrebbe preso il posto di Matlock? Sarebbe stato necessario fare un casting, ma perché fare un casting quando Rotten aveva per le mani la persona giusta? Lydon era amico da anni di John Simon Ritchie che fin dall’inizio si mostrò interessato non solo al punk, ma anche al progetto Sex Pistols, dichiarandosi un fan e partecipante a tutti i concerti tenuti dalla band. Questo John Simon aveva due caratteristiche: era punk e non sapeva suonare il basso. McLaren disse che era fatto apposta per i Sex Pistols e che il basso avrebbe imparato a suonarlo successivamente. Inoltre Ritchie aveva un soprannome curioso: Sid Vicious, perché aveva un criceto di nome “Sid” che una volta morsicò il dito di Rotten e lo stesso Lydon lo ritenne malvagio (Vicious). Sebbene fosse a digiuno di basso, era stato per una data il batterista di Siouxsie and The Banshees. La batteria è una cosa, il basso è un’altra. Sid Vicious debuttò come bassist dei Sex Pistols il 21 marzo 1977 al “Notre Dame Hall” di Londra. Uno degli insegnanti di Sid fu Lemmy Kilmister dei Motorhead, bassista della nota band hard metal, il quale disse al giovane che non era tagliato per il basso.
I Sex Pistols erano allora senza una casa discografica. Difficile trovare qualcuno che potesse gestire una band così turbolenta, ma una accettò: la A&M Record che mise sotto contratto, con un anticipo di 50mila sterline, il gruppo il 9 marzo (il giorno dopo davanti a Buckingham Palace) per poi lasciarlo una settimana dopo per le troppe intemperanze, in particolare da parte di Vicious. La A&M decise di rescindere il contratto in essere il 16 marzo e Rotten e soci incassarono altre 25mila sterline.
Il 13 maggio arrivò la terza etichetta, quella definitiva, la Virgin Records credette in loro e buttò sul piatto altre 45mila sterline. Prima della casa discografica di Richard Branson, la band di McLaren subì i rifiuti di altre label, tra cui Warner e CBS.
I festeggiamenti per il Giubileo andavano a gonfie vele nel Regno unito, ma i Sex Pistols, che quella sovrana e il suo “regime” non amavano troppo, decisero che dovevano scrivere qualcosa contro di lei. E quel “qualcosa” fu una dinamite: il 27 maggio 1977 pubblicarono la celeberrima “God save the Queen”.
Se in “Anarchy in the UK”, Lydon parlava di essere un anarchico, un anticristo e di non sapere cosa volere ma di sapere come ottenerlo, qui il frontman esortò Dio a salvare la Regina e il suo regime fascista che l’ha resa stupida, inumana e che ha interrotto il sogno inglese. Per non parlare del ripetuto “No future” finale: per gli inglesi, sotto la monarchia, non ci sarebbe stato futuro e sarebbero sempre stati sudditi senza nessuna speranza.
Apriti cielo: mai nessuno aveva oltraggiato la sovrana. Eppure il singolo ebbe un successo clamoroso: arrivò al secondo posto tra le canzoni più vendute dell’anno, anche se molti sostennero che molte radio e molti negozi subirono pressioni di non passare e vendere il singolo. Molti invece boicottarono la canzone motu proprio.
Come se non bastasse, il 7 giugno 1977, McLaren noleggiò una barca (la “Queen Elisabeth”, guarda caso) e la fece navigare sul Tamigi con sopra i Sex Pistols. La band, nei pressi di Westminster, iniziò a suonare la canzone, perché nelle vicinanze c’era la 51enne sovrana intenta a festeggiare il suo anniversario istituzionale. Successe un parapiglia: la polizia fece attraccare la barca, ci fu una scazzottata e furono arrestati McLaren, Cook e Jones mentre Rotten e Vicious riuscirono a scappare (Lydon disse che fu McLaren a dire alla polizia di arrestarli durante il parapiglia). I giornali ci andarono pesanti contro i Sex Pistols ed il movimento punk e nel giro di pochi giorni furono coinvolti in risse (e furono feriti) Rotten, Cook e il loro grafico Jamie Reid.
Tra il 13 ed il 29 luglio, i Sex Pistols fecero il loro secondo tour all’estero: Danimarca, Svezia e Norvegia furono le tappe di una serie di date molto impegnative, soprattutto dal punto di vista dell’ordine pubblico. Ma in Inghilterra molti club/locali non ne volevano sapere di ospitare i Sex Pistols e molti li boicottarono. La band decise di non far sapere dove suonava. O meglio, per sapere le date bisognava cercare i concerti degli SPOTS (Sex Pistols On Tour Secret): il primo avvenne il 19 agosto e le date furono fatte fino a metà settembre, fino a quando non venne “scoperto”.
Lo scalpore tocco lo zenith il 28 ottobre 1977: quel giorno fu pubblicato il primo, ed unico, disco della band. Dodici tracce, due lati, 56 minuti circa di musica ruvida che diedero una scossa alla musica. Il disco ebbe un forte impatto nella cultura punk e ancora oggi è un caposaldo tra chi ascolta quel genere di musica. Il titolo non poteva che essere in Sex Pistols style: “Never Mind the BollockS. He’s the Sex Pistols”. Il punk esplose nella sua forma più magnificente.
Il disco fu registrato tra il marzo e il giugno 1977 presso i “Wessex Studios” sotto la produzione di Chris Thomas. Nonostante Sid Viciuos apparve come membro della band, il bassista suonò solo due canzone mentre le altre furono interpretate da Matlock, richiamato nella band per suonare al posto dell’incapace Sid visto che si presentò (e non si presentò) alle registrazioni per motivi di salute. Il titolo, raccontò Jones, era una frase che dicevano due ragazzi che vendevano hot dog a Piccadilly Circus e che lui spesso utilizzava: “Non rompete le scatole” (ovviamente il termine usato fu una parolaccia). Il disco, la cui copertina fu pensata dal grafico “alternativo” Jamie Ried, visto il titolo, fu censurato da molti negozi mentre altri orgogliosamente lo esponevano in vetrina.
Tra il 5 ed il 14 dicembre i Sex Pistols tornarono nei Paesi Bassi per un tour in diverse città (Maastricht, Arnhem, Groningen e Rotterdam tra le altre). Nella tourné suonarono anche “Bergen was a gas”: al ritorno in Patria, il gruppo fu contestato dalla comunità ebraica per questa canzone che offendeva le vittime del campo di concentramento liberato dagli inglesi il 15 aprile 1945.
Il 25 dicembre 1977 ci fu l’ultimo concerto inglese dei Sex Pistols prima della partenza per il tour americano: teatro dell’ultimo concerto, l’”Ivanhoe’s” di Huddersfield, nel West Yorkshire, con due date lo stesso giorno.
I concerti erano il luogo dove l’anima pura dei Sex Pistols veniva fuori: rabbia, urla, sputi, risse e un rapporto di amore odio con il palco sotto lo stage.
Ma gli States, patria del punk, furono la pietra tombale della stramba band di Johnny Rotten e compagni.
1978: è tutto finito – Il 1978 iniziò, come detto, con la band impegnata nel suo primo tour lontano dall’Europa. Tra il 5 ed il 14 gennaio, i Sex Pistols suonarono ad Atlanta, Memphis, San Antonio, Baton Rouge, Dallas, Tusla e San Francisco.
Il punk americano era diverso da quello espresso dai Sex Pistols e la loro nomea di nasty group li precedette. Le date furono disorganizzate e fu un vero disastro. Lydon non sopportava più McLaren e tutta quella situazione, tanto da non trovarsi più a suo agio neanche con i suoi compagni.
In più anche Sid Vicious ci mise del proprio, comportandosi troppo sopra le linee: oramai tossico e alcolizzato cronico, in alcune date compì gesti poco propensi alla buona educazione (a San Antonio lanciò il basso contro il pubblico; a Dallas prese un pugno in faccia da una groupie ed il sangue che gli uscì dal naso se lo spalmò su viso e corpo). Tutto andava in direzione ostinata e contraria, parafrasando de André.
Il 14 gennaio 1978 il gruppo tenne un concerto a San Francisco, alla “Winterland Arena”. Sarà l’ultimo della band, perché Rotten, al termine della cover di “No fun” degli Stooges (ultimo pezzo in scaletta) annunciò che si sentì imbrogliato, non fece nessun bis, buttò a terra il microfono e se ne tornò in camerino.
I Sex Pistols si sciolsero definitivamente tre giorni dopo. Era finito il sogno della band che voleva cambiare il Mondo. Ci riuscì, in parte, con un solo disco, dodici canzoni, risse, improperi e rabbia. Ma per un Lydon che salutava la band, ecco un Vicious che si preparava a salutare la vita terrena.
Nancy Spungen e i fatti del “Chelsea Hotel”. La morte Sid Vicious – Per parlare di Sid Vicious bisognerebbe scrivere una storia a parte. Il bassista (o presunto tale) dei Sex Pistols è il membro del gruppo che ancora oggi è, nell’immaginario collettivo, considerato come un’icona non solo del punk ma della musica nel suo complesso. E come non poteva esserlo? Una vita veloce, bruciata tra eccessi di alcool, droghe e musica rumorosa. Classe 1957, era figlio di una coppia disagiata dove il padre lasciò la famiglia quando John Simon era piccolo e visse con la madre, eroinomane. Dopo un’adolescenza difficile, arrivarono anche per lui le prime droghe (in particolare lo speed) ed iniziò ad avvicinarsi alla musica rock e poi al punk. Era amico fraterno di Lydon che lo portò al “Sex” dove entrò nelle grazie di Vivienne Westwood.
Si innamorò della musica dei Sex Pistols, partecipò ai concerti e aveva un sogno: diventare un Sex Pistols un giorno. In pratica, il sogno di tutti: suonare con la band del cuore. E il sogno si avverò, visto che l’allontanamento di Matlock gli aprì le porte del palco. Ma Ritche era un po’ compromesso: tempo prima, durante una rissa, aveva ferito un ragazzo durante una lite e fu mandato in una specie di carcere di transito dove la madre Anne disse che ne uscì cambiato. In peggio.
Musicalmente fu un disastro, ma come personaggio era ciò che voleva McLaren: alto, magro, belloccio, “sporco brutto e cattivo”. La leggenda dice che la Westwood volesse lui come cantante della band e non Lydon, ma McLaren scambiò John Ritche con John Lydon. Chissà come sarebbe la storia della musica se Sid Viciuous fosse diventato il cantante dei Sex Pistols? Non lo sapremo mai, ma sappiamo cosa è diventato Sid Viciuos per la musica. Il bad boy con i capelli a spuntoni trovò la sua fauna, il tassello mancante della sua pazza vita.
La vita di Vicious prese una brutta piega poco dopo il suo ingresso nella band, quando nel marzo 1977 conobbe Nancy Spungen, arrivata in Inghilterra verso la fine del 1976 dall’America. Nancy è stata la donna che cambiò in peggio la vita già borderline di Ritchie. Aveva 20 anni, era una nota groupie ed era tossica dichiarata. Oltre tutto gli era stata diagnosticata una forma di schizofrenia, aveva un’intelligenza fuori dal comune ma era molto violenta, sin da piccola. Una pazza per un pazzo: fu amore a prima vista. Ed entrambi si equilibrarono, visto che lei amava la musica e lui amava lo stile di vita del punk. Per Sid, Nancy fu quella che lo iniziò al sesso e alla droga.
Alla band però la Spungen non piacque e intimò Viciuos di lasciarla, ma lui le fu sempre accanto e insieme si bruceranno in vero stile punk.
Dopo lo scioglimento del gruppo, Sid e Nancy scapparono a New York e trovarono rifugio al celebre “Chelsea Hotel” di Manhattan, un hotel che anni prima era il ritrovo di intellettuali e artisti di calibro, ma che negli ultimi anni era diventato ricettacolo di sbandati e drogati. Era il posto ideale per la coppia punk.
La notte tra l’11 e il 12 ottobre 1978 successe qualcosa di terribile: Nancy fu rinvenuta morta nel bagno della loro camera (la 100) con diverse coltellate allo stomaco. Vicious fu trovato in camera in stato confusionale a causa dell’uso eccessivo di stupefacenti, non ricordandosi quello che era successo. La polizia lo arrestò anche perché venne ritrovata l’arma del delitto con le sue impronte. Venne rilasciato su cauzione grazie a McLaren, ma l’ex bassista, in crisi per il fatto di non aver assunto droghe, era irascibile e tornò “dentro” dopo pochi giorni dopo una violenta rissa scoppiata a New York con il fratello di Patti Smith, Todd. Ritornò in carcere il 9 dicembre 1978 e fu mandato a Riker Island. Per lui fu la fine.
Vicious uscì l’1 febbraio dopo il pagamento di un’altra cauzione e cosa si fece per festeggiare il ritorno in libertà dell’ex bassista? Una bella festa a base di droga. La cosa che stupì fu che l’organizzatrice della “festa” fu la madre Anne. La festa si sarebbe tenuta nella casa di Michelle Robinson, la nuova compagna del bassista/cantante, nella zona new yorkese di Greenwich Village, nel distretto di Manhattan. La madre, sempre più tossicomane, incaricò un amico di Sid di fornire la droga al figlio. Il 2 febbraio Sid Vicious morì per un’overdose di droga. Si chiudeva a 21 anni la parabola dell’idolo di generazioni di giovani, lasciando un vuoto tra gli amanti del punk di allora.
Sid aveva espresso volontà di essere sepolto accanto a Nancy vestito da punk, ma le rispettive famiglie lo impedirono. Il 7 febbraio si celebrò un veloce funerale e il corpo di Sid fu cremato. Leggende metropolitane dicono che le ceneri di Vicious furono sparse sulla tomba di Nancy a Filadelfia, mentre McLaren disse che l’urna cineraria cadde per terra perché la madre, tossica cronica, non fu attenta.
“Chiodo”, petto nudo, tagli sul corpo, capelli ingellati e sparati, sguardo poco rassicurante: questo è stato Sid Vicious. Orchestrato nei modi da McLaren e stilisticamente dalla Westwood.
Ma a gestire la vita di Sid, dal 1977 ci pensò la stessa Spungen. Non solo sentimentalmente, ma anche musicalmente visto che organizzò una serie di concerti nei bassifondi di New York con il nuovo gruppo, gli Idols. Nancy conosceva molti cantanti visto il suo passato da groupie e Sid capì che con lei poté svoltare. Ma la musica per lui era una questione di poco conto: per lui ora c’era solo la droga e Nancy, Nancy e la droga.
La storia d’amore tragica e passionale della Spungen e di Sid è stata raccontata nel film del 1986, “Sid&Nancy”, di Alex Cox con Gary Oldman nella parte del bassista e Chloe Webb nella parte della groupie. Il film ricevette numerosi recensioni positive, ma fu bocciato da Lydon. Sempre nel 1986, i Ramones incisero una canzone dedicata all’amore tra Vicious e la Spungen, dal titolo “Love Kills”.
Nel 2016 è uscito un altro documentario sulla vita dei due giovani punk, dal titolo “Sad vacation”, dal titolo di una canzone di Johnny Thunders, icona punk. A dirigerlo, Danny Garcia.
Ancora oggi, Ritchie-Vicious è considerato come il contro-leader del gruppo, quello della fast life, quello del tutto subito e della fama con tanta gloria. Peccato che la droga lo avesse annebbiato sin dal suo ingresso nel gruppo. I media non aspettavano altro che redigere articoli o girare video con tutte le sidviciousate. Ma più punk di lui, non c’è stato forse nessuno.
“La grande truffa”, gli anni successivi e il rifiuto di entrare nella Rock ‘n roll Hall of Fame – L’uscita di Rotten fu presa male dal gruppo che continuò a suonare. I Sex Pistols si sciolsero ufficialmente all’inizio del 1979, prima della morte di Sid Vicious. Il nuovo frontman non fu provinato ma a rotazione cantarono diverse persone, anche se i live non furono organizzati.
Tutti iniziarono progetti paralleli, tra cui i Vicious White Kids che tennero un solo concerto, il 15 agosto 1978 all’”Electric” Ballroom di Londra. I membri di quel gruppo furono Sid Vicious, il giovane chitarrista Steve New, Rat Scabies dei Damned, l’ex Pistols Glen Matlock e Nancy Spungen.
Lydon lasciò il gruppo, come detto, durante il tour americano e ha continuato a punkeggiare con una banda chiamata Public Image Ltd, insieme gli amici Jah Wobble, Keith Leveneì e Jim Walker. Con questo gruppo, l’ex cantante dei Pistols tornò al suo vero nome abbandonando quello “di battaglia”. Questo gruppo rimase in vita fino al 1993. pubblicò ben nove dischi e nel gruppo suonarono, negli anni, ben undici persone. Lydon cambiò anche atteggiamenti durante gli anni: fece cose tutt’altro che punk come reclamizzare prodotti commerciali o partecipare ad un reality show. Si dice che solo i cretini non cambiano idea: John Lydon negli anni cambiò anche opinione su Elisabetta II e scrisse anche due biografia (“No Irish, No Blacks, No Dogs”; “Anger is an Energy: My Life Uncensored”). Falso personaggio questo Rotten? Figlio dei tempi e del fatto che era cresciuto e che un po’ guardò con distanza ciò che fece nella seconda metà dei Settanta.
Cook e Jones continuarono a fare musica e costruirono progetti (più o meno) interessanti: dagli Sham Pistols ai Greedies fino ai Professionals, che durarono fino al 1982.
Nel 1980 Julien Temple girò il film “The Great Rock & Roll Swindle” (“La più grande truffa del rock & roll”), un documentario di 100 minuti dove si raccontava la vita della band dalla formazione allo scioglimento, mettendo l’accento sui singoli protagonisti della band a mo’ di fiction. Lo scopo della pellicola era quello di far apparire di membri della band come delle marionette al servizio di McLaren e di un gioco più grande di loro: il puro business. E il documentario, un insieme di filmati di repertorio in vari formati (video, super8, 16mm e 35mm), è stato fatto mettendo in luce la figura dello stesso manager che, partendo da un negozio di cose alternative, è riuscito a trasformare quattro ragazzi di periferia scarsi musicalmente e senza futuro in una band famosa in tutto il Mondo. Lydon appare con immagini d’archivio e non prese parte alle registrazioni in quanto aveva lasciato il gruppo all’inizio del 1978, così come Vicious, deceduto l’anno prima.
Mai titolo fu più azzeccato: un film dedicato ad una band durata meno di tre anni, con un solo disco pubblicato, quattro hits che spruzzavano cattiveria e rudezza da ogni poro per celebrare un gruppo musicale che è stato un grande favola finita male, ma fatta ad hoc per provocare. Essendo un film musicale (alla fine), notevole anche la colonna sonora: ventitre tracce, la maggior parte cover con l’eccezione di due canzoni cantate da Sid Vicious quando era in vita, la celebre “My way” e la contestata e dissacrante “Bergen was a gas”.
Nel 1986 i tre sopravvissuti (più Matlock) divennero gli “ereditieri” del marchio Sex Pistols: tutto ciò che era stato venduto e che si sarebbe venduto con il nome della band, gli introiti sarebbero andati a loro.
Dieci anni dopo, per festeggiare i venti anni di attività, la band si ricompose con il ritorno di Glen Matlock al basso e intraprese un tour internazionale (che toccò anche il Giappone) chiamato “The Filthy Lucre live”.
Nel 2000 il regista Julien Temple, che nel 1980 diresse “The Great Rock & Roll Swindle”, fece uscirte un documentary-film sull band dal titolo “The Filth & the Fury” (come il titolo con cui uscì il Daily Mirror il giorno dopo il “caso Grundy”). Questo altro tributo invece si componeva di riprese sempre video del passato del gruppo, ma mettendo l’accento sulla Londra di quei tempi, evidenziando la disoccupazione, le strade sporche, l’IRA sottolineando che il gruppo fu lo specchio della società inglese del tempo. Poco dopo uscì una raccolta di quattro cd live (“Live 1976”) tenuti dai Sex Pistols tra il giugno ed il settembre 1976.
Tra il 2000 e il 2007 i “Sex Pistols 2.0” (diciamo così) fecero delle reunion con concerti tutti sold out, anche per promuovere il trentennale di “Never Mind the Bollocks”. Tutti i concerti non registrarono scontri o violenze come durante i concerti iniziali del gruppo. Nonostante il tutto esaurito, i quattro sopravvissuti non erano più punk, erano invecchiati, quasi ridicoli e forse in cerca di soldi. Una cosa fattibile, visto che non suonavano insieme da tanti anni.
Nel febbraio 2006 i Sex Pistols fecero il gran rifiuto: la band fu inserita nella Rock ‘n roll Hall of Fame, ma rifiutò di essere inserita in un “tempio” che con il loro way of life centrava poco.
I Sex Pistols sono stati una truffa del rock? Può essere, ma i dischi non si vendono da soli.
Cosa rimane oggi dei Sex Pistols – Sono passati quarant’anni dall’addio di Johnny Rotten, trentanove scarsi dalla morte di Vicious. Ha senso parlare ancora di loro? Si, perché come dice il detto, “le leggende non muoiono mai” ed i Sex Pistols saranno sempre ricordati come una qualcosa di immortale: la voce sgraziata di Rotten, la rabbia di Vicious, gli altri Pistols che hanno fatto parte del circus e che li ha resi dei grandi della musica al pari dei più gradi delle “sette note”. Che piaccia o meno.
Cosa hanno contraddistinto questa band nata, praticamente, in un negozio di articoli fetish e alternativi? Il carisma di Lydon, la strafottenza di Vicious, la “saggezza” tecnica di Matlock e aver avuto due discreti interpreti come Jones e Cook. Tutte e quattro senza gli altri non sarebbero stati altro che dei ragazzi diventati grandi negli anni della Controrivoluzione che esprimevano disagio e contro tutto e tutti, ma senza metterlo in musica.
I Sex Pistols sono stati i profeti della protesta e del disagio: i capelli fluo di Rotten, Vicious che (già nella sua parabola discendente) si auto-infliggeva tagli sul corpo, Jones che entrerà anche lui nel giro della tossicodipendenza. Lydon vs Vicious: uno che sapeva cosa voleva il pubblico, l’altro che rimase schiacciato da un gioco più grande di lui.
Rotten e soci erano nati per provocare: mai nessuno aveva parlato di anarchia dove c’era una monarchia e mai nessuno si era spinto fino a cantare una canzone in cui prendeva in giro il sistema inglese e la sua sovrana.
Anche la combo musicale Jones-Matlock è stata importante per il gruppo: Jones scrisse molte canzoni, mentre Matlock scrisse le melodie. La band, nei suoi tre anni effettivi di vita, per “scelta aziendale”, non scrisse mai canzoni d’amore: Lydon, in un’intervista, disse che è stata una scelta comune, in quanto lui odiava l’amore e tutte le sue conseguenze. E del resto, come disse nella stessa intervista lo stesso Rotten, se fosse stata una band da canzoni d’amore non si sarebbe chiamata Sex Pistols.
Dalla musica dei Sex Pistols nasceranno tanti gruppi che scrissero la storia della musica non solo negli anni Settanta, ma anche negli Ottanta e nei Novanta: Buzzcocks e Joy Division, The Smiths e Nirvana e la scena del britpop anni Novanta. Ma sono stati i Nirvana, i profeti del grunge, i veri eredi in stile e musica della band di “Anarchy in the UK”.
Per non parlare del lascito, inconsapevole, di Sid Vicious: se si “poga” è grazie a lui, se oggi pensiamo ad un James Dean della musica pensiamo a lui, se pensiamo al punk pensiamo a Sid Vicious. Il bassista dei Sex Pistols son sapeva né ballare né suonare, indossava sempre un giubbotto di pelle “chiodo”, sul palco suonava a petto nudo ed incarnò lo stile del ragazzo sconsigliato da sposare. Ma grazie allo sgraziato (musicalmente) ragazzo londinese morto a 21 anni pensiamo subito alla band di McLaren, l’uomo che cavalcò l’onda “pistoliana” e che contribuì alla sua nascita e alla sua decadenza.
Un genio o un truffatore questo McLaren? Uno che ci vedeva lungo, uno che capì come fare soldi in maniera veloce. Eppure per la band fece molto ed era in simbiosi con lei, tanto da essere definito “il quinto Pistols”. McLaren il cinico, il furbo, il lestofante. Quello che per capriccio unì la band e la portò allo scioglimento. Quello che disse a Lydon che Matlock non lo stimava (eufemismo) e che disse allo stesso Matlock che Lydon non lo stimava. Quello che voleva creare il caos nella musica inglese, quello che voleva estremizzare tutto. Quello che si sedette sul fiume e vide il “cadavere” della band passare. McLaren morì in Svizzera nel 2010, mentre la Westwood va per i 77 anni ed è tutt’oggi una icona della moda.
I Pistols non hanno inventato il punk, ma gli hanno dato una forma e una sostanza diversa rispetto agli altri gruppi, ancora oggi riconoscibile. Musicalmente scarsi, la loro caratteristica è l’essere stati sopra le righe, cattivi e tipici di un’epoca rivoluzionaria. E già solo il fatto di aver messo una parolaccia nel loro primo (ed unico) disco ha lasciato intendere che “Sex Pistols” fa rima con provocazione. E a parte il fatto che rifiutarono di entrare nella Rock ‘n roll Hall of Fame, non sono tante le band ad esservi presenti con un solo disco e una carriera durata, praticamente, meno di due anni. Un lasso di tempo al top, tra controverse uscite pubbliche, pezzi cantati e suonati in maniera tale da far scordare tutto quello che di buon rock n roll e progressive avevano fatto.
Nel 2018 un complesso come i Sex Pistols vivrebbe nell’ombra di una qualsiasi scena post-punk sparsa nel Mondo, confinata a concerti in locali di basso profilo davanti ad una esigua folla. Nel triennio 1975-1978, i Sex Pistols erano figli dei tempi che furono e li cavalcarono a meraviglia: testi poco impegnati, orecchiabili, riff cattivi e batteria “arrabbiata”, look poco curati, calci e sputi al pubblico. Ora sarebbero dei bohémien, allora erano i cantori di una generazione senza una direzione e senza una strada.
I Sex Pistols sono lontani anni luce dalle boy band anni Novanta e dai prodotti dei talent show di questi primi diciotto anni del XXI secolo: niente di costruito a tavolino, niente social network, niente reality. Solo puro e semplice punk.
I Sex Pistols sono stati l’emblema di una generazione che esprimeva rabbia e violenze, eccessi e che faceva dell’apparire sopra le righe il loro mantra. Del resto, quando si è una band e non si è molto in grado di suonare bene, si punta su altro, tipo il look e i modi di fare. Anche se molti critici musicali hanno sempre detto che “Never Mind the Bollocks” e la musica “pistoliana” erano ben fatti.
Si dicevano che erano brutti, sporchi, cattivi, che avevano un cattivo influsso sui giovani e sulla popolazione. Quella “popolazione” allora ventenne (forse anche più giovane) oggi spazia tra i cinquanta e i sessant’anni e magari i loro figli e nipoti hanno ascoltato almeno una volta “Pretty vacant”, “Holidays in the sun”, “Liar” o “Anarchy in the UK”.
Quei quattro ragazzi scapestrati che si trovavano in un negozio frequentato da gente “alternativa” hanno illuminato il cammino di milioni di persone nel Mondo.
Erano incapaci a suonare? Può essere, ma hanno segnato una generazione. E questo vale più (forse) di una Hall of Fame qualsiasi.
foto in evidenza tratta da theplace2.ru e dentro l’articolo tratta da youtube.com
Bibliografia suggerita
AA.VV., Enciclopedia del rock (1970-1979), vol 2, a cura di Cesare Rizzi, Giunti Editore, Firenze, 1998
AA.VV., Sex Pistols Live Show, a cura di William Mandel, Edizioni Kaos, Milano, 2017
Stefano Gilardino, La storia del punk, Hoepli, Milano, 2017
Daniele Paletta, Stelle deboli: La storia di Sid Vicious e Nancy Spungen, Vololibero, Milano, 2014
Jon Savage, Il (grande) sogno inglese. I Sex Pistols e il Punk…e tutte le interviste, Arcana, Roma, 2010
Fausto Vitaliano, Sex Pistols. La più sincera delle truffe, Laurana Editore, Milano, 2013