di Simone Balocco
Il 22 marzo 2017, a Miami, in Florida, è morto Tomas Milian, uno degli attori più celebri della panoramica western e dei “poliziotteschi”, nonché interprete di oltre cento film tra gli anni Sessanta e i Duemila.
Nativo de L’Avana, Milian (all’anagrafe Tomás Quintin Rodriguez-Varona Milian Salinas De La Fé y Alvarez De La Campa) è stato un artista completo che però non è mai stato considerato mainstream. Motivo? Non ha girato pellicole vincitrici di premi, ma i suoi lavori rimarranno iconici nel tempo. O meglio, Milian ha girato tantissimi film degni di nota solo che non questi passano mai nei canali generalisti o, se lo fanno, passano in terza serata o sui canali “alternativi” degli stessi. E questo non rende onore a Tomas Milian, un ragazzo con un’infanzia difficile partito a 24 anni dalla sua Cuba per sfondare nel mondo del cinema, riuscendoci.
Ma chi era Tomas Milian? Vediamolo nel dettaglio.
L’infanzia. La morte del padre. La voglia di cinema
Nato il 3 marzo 1933 a L’Avana, in epoca Machado. Milian abitò a Marianao, nei suoi pressi, figlio di Dolores e Tomas, militare dell’esercito dello stesso Machado, dal 1925 capo di Stato di Cuba. Pochi mesi dopo la nascita di Milian, il governo Machado fu rovesciato da Fulgencio Batista: era l’agosto 1933 e per la famiglia Milian iniziarono diversi problemi, poiché il padre combatté contro Batista venendo prima incarcerato e poi internato in un manicomio. Rimase in questa situazione per cinque anni, tanto che la signora Dolores dovette crescere da sola i sei figli.
Nel 1938 Milian padre fu riabilitato e poté tornare al suo posto di lavoro sotto l’autorità di Batista. Tomas Milian fu mandato, nel frattempo, a scuola dai Salesiani, dove ricevette un’educazione cattolica molto rigida in un ambiente altrettanto duro.
Il padre sognava per il figlio un futuro nell’accademia militare cosicché da grande avrebbe intrapreso la sua stessa strada, ma Tomas aveva un sogno: diventare un attore e questo al padre non piaceva. I rapporti tra padre e figlio furono sempre difficili anche per i problemi di salute che ebbe il genitore con il passare degli anni, uniti alla voglia di ribellione del giovane Tomas.
La vita del piccolo Tomas cambiò radicalmente la sera del 31 dicembre 1945: il padre si suicidò in bagno e per lui fu uno shock terribile. Aveva 12 anni ed il Mondo gli crollò addosso.
In gioventù Milian jr si diede allo sport, ma la sua unica missione era quella di diventare un attore. Milian capì che se fosse rimasto a Cuba non avrebbe fatto l’attore, indi per cui prese armi e bagagli e partì alla volta della Florida, terra ricca di lavoro e di esuli cubani, per avvicinarsi al mondo della recitazione.
Si iscrisse alla Scuola di recitazione di Miami per poi iscriversi all’”università del cinema”, gli Actor’s Studio. Fu il direttore della scuola della Florida ad incitare l’allora poco più che ventenne Milian a partire verso New York e cercare di diventare come il suo idolo, James Dean.
Gli anni americani e le prime interpretazioni
Come detto, la sua voglia di “fare cinema” non piaceva ai suoi famigliari, che volevano che restasse a Cuba o che comunque facesse altro. Ma lui, ribelle e contro i diktat fin da piccolo, decise che da grande avrebbe fatto l’attore.
Nel 1955 il giovane partì alla volta di Miami dove iniziò a studiare l’inglese, la “lingua del cinema mondiale”. Si iscrisse, come detto, all’Università dell’Accademia teatrale di Miami, dove iniziò a far capire che era tagliato per il cinema. A Miami ci arrivò dopo il diploma e rimase poco nella città più famosa della Florida. Il ragazzo aveva talento da vendere e a 25 anni arrivò a frequentare, addirittura, agli Actor’s Studios di New York.
Gli Actor’s studios erano (e sono tuttora) un’eccellenza mondiale del cinema, una sorta di “università del cinema”: chi usciva da lì, avrebbe avuto un futuro cinematografico di sicuro prestigio. Il che significava che i diplomati avrebbero recitato in film clamorosi, diventando icone e firmando ingaggi miliardi ed autografi. Del resto, dagli Actor’s Studios erano usciti attori come Marlon Brando, Al Pacino, Robert Redford, Robert de Niro e Marylin Monroe.
Il giovane cubano aveva talento e si immerse totalmente nello studio della dizione e della recitazione, ma per frequentare gli “Studio’s” c’era da pagare una retta alta e lui per poterla pagare si aggiustò come poteva, facendo molti lavori disparati.
L’anno dopo entrò a far parte del cast di uno spettacolo teatrale dal titolo “The boat without Fishermen”.
La prima parte importante (anche se minore) è del 1958 nella serie tv americana “Una donna poliziotto”, cui seguì “The Millionaire”. In appena tre anni, il cubano entrò nel mondo della spettacolo dalla porta principale.
Il suo nome iniziò a girare e nel 1959 Milian partì alla volta del Paese che, anni dopo, lo consacrerà a stella del cinema: l’Italia. La fermata era Spoleto, cittadina umbra dove si teneva (e si tiene tuttora) il Festival dei Due mondi.
Nato nel 1958, questo Festival, che ha visto in Giancarlo Menotti il suo deus ex machina, è un festival improntato su cinema, danza, poesie, arte e spettacolo. Milian respirò l’aria cinematografica italiana e ne rimase colpito. Del resto, erano gli anni della golden age del nostro cinema e Milian fu il cosiddetto “uomo giusto-al posto giusto-al momento giusto”.
A Spoleto, tra i tanti, conobbe anche Franco Zeffirelli, che lo volle per “Il poeta e la Musa”: il regista fiorentino (morto di recente) era uno dei più famosi e l’opera ebbe successo.
Iniziarono ad arrivare le prime parti in film importanti: Milian iniziò a girare con Mauro Borghini (“La notte brava”, “Il bell’Antonio”) e Luchino Visconti (un episodio di “Boccaccio 70”), con Alberto Lattuada (“L’imprevisto”), Nanni Loy (“Un giorno da leoni”) e Sergio Corbucci (“Il giorno più corto”).
Il primo film di Milian è stato, quindi, “La notte brava” di Bolognini del 1959: sarà il primo di cinquantacinque anni di carriera. Il suo talento era indiscusso e con il suo fascino latino, riuscì a ritagliarsi tante parti. Con il tempo migliorò caratterialmente, imparò in pochissimo tempo la lingua inglese. Arrivò il successo con i primi (tanti) soldi e le donne a riempirgli la vita.
Milian si legò in maniera indissolubile all’Italia e la “storia d’amore” sbocciò quando approdò a Roma. Con Roma fu sempre amore e alla città capitolina Milian regalerà una parte di cuore.
Nel 1960 girò “Il bell’Antonio” (sempre di Bolognini) al fianco di Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale. Firmò un importante contratto con la casa cinematografica “Vides” del produttore Franco Cristaldi: questo legame gli permise di esprimersi al meglio, interpretando personaggi diversi e di spessore.
Nel 1965, chiusa la “parentesi” Vides, Milian girò “Il tormento e l’estasi” di Carol Reed a fianco del Premio Oscar Charlton Heston.
Nei Sessanta recitò ancora in film impegnati, ma i Settanta furono gli anni dove Milian divenne davvero un top player del maxi schermo. Motivo? Fu il decennio degli “spaghetti-western” e dei “poliziotteschi”. La sua carriera iniziò a prendere un’altra piega, più fortunata e remunerativa.
Il primo western che interpretò fu “La resa dei conti” e di quel genere ne girò tantissimi. Fu un successo clamoroso tra uno stile inconfondibile e un physique du rôle inimitabile. E visto che i western erano ambientati in Centroamerica, lui, avendo i lineamenti latini, fu facilitato interpretando personaggi di quella parte di Mondo, in particolare rivoluzionari profondi d’animo e veloci di pistola.
Altre pellicole degne di menzione che videro protagonisti Milian furono “The Bounty Killer” di Eugenio Martin, “I quattro dell’apocalisse” di Lucio Fulci, “Tepepa” di Giulio Petroni, “Il mercenario”, “Vamos a matar compañeros” e “La banda J&S”. Queste ultime tre per la regia di Bruno Corbucci.
L’apice fu il trittico western di Sergio Sollima: “La resa dei conti”, “Faccia a faccia” e “Corri uomo corri”, girati tra il 1966 ed il 1968. e dove nei primi due Milian era Cuchillo Rodriguez, il suo personaggio migliore.
Il regista che credette più in lui fu Sergio Corbucci, fratello di Bruno, che con Milian girò quattro pellicole (“Il giorno più lungo”; “Vamos a matar, compañeros”; “La banda J. e S. cronaca criminale del Far West”; “Il bianco, il giallo, il nero”) tra il 1963 ed il 1975. Per non parlare della saga di Provvidenza ed “I quattro dell’Apocalisse”, del 1975, che chiuse l’esperienza western di Milian.
A cavallo tra gli anni Sessanta e i primi Settanta, Milian fu anche il protagonista di “Banditi a Milano”, “I cannibali”, “Beatrice Cenci” e “Non si sevizia un Paperino” per la regia di Carlo Lizzani, Liliana Cavani e Lucio Fulci.
Non appena gli “spaghetti” andarono in declino, ecco arrivare in tackle i loro eredi metropolitani, i “poliziotteschi” e la carriera di Tomas Milian prese un’altra via.
Il poliziottesco “romano”. Il doppiaggio di Ferruccio Amendola
La storia del cinema insegna: il successo dei film dipende dal decennio. E se fino agli anni Quaranta erano in voga i “telefoni bianchi”, nei Cinquanta i film sugli eroi greci (i vari Maciste, Ercole, Sansone e Ursus) e nei Sessanta i film western, i Settanta sono stati la decade di un nuovo tipo di film impegnato che può essere considerato come la versione moderna dei western: i film polizieschi.
Improntati su fatti di cronaca allora esistenti (o comunque liberamente tratti), i polizieschi erano film in cui un commissario di polizia doveva stanare la banda malavitosa di turno attraverso delatori, colleghi stupidi e o infiltrati, inseguimenti, scazzottate e sparatorie. Tutto in presa diretta.
Questi film risentivano molto anche dei fatti italiani di quel periodo: violenza, lotte di classe, terroristi, rapine e le varie “Giulia” e “Alfetta” a sirene spiegate nei centri cittadini guidate da poliziotti baffuti o con i pantaloni “a zampa di elefante”.
Ebbero successo in tutto il Mondo perché furono girati anche negli Stati uniti, ma in Italia il successo non fu da meno e ci fu la “febbre” per questo genere di film. E Tomas Milian, con la sua faccia da duro “di natura”, sguazzò con piacere in questo filone cinematografico.
I film più famosi che videro Milian tra i protagonisti furono “Milano odia: la polizia non può sparare”, “Il giustiziere sfida la città”, il già citato “Banditi a Milano”, “Roma a mano armata”, “La polizia accusa: il Servizio segreto uccide” e “Il cinico, l’infame, il violento”.
I registi che ebbero Milian come attore furono i maestri del genere: da Sollima a de Martino, da Lenzi a Lizzani. ma la fama di Milian è dovuta al fatto di avere avuto dei doppiatori eccellenti (Locchi, Colizzi, Pani e Ferrari). L’attore cubano deve il suo successo anche al suo doppiatore per eccellenza, Ferruccio Amendola (voce anche di Al Pacino, Sylvester Stallone, Robert de Niro e Dustin Hoffmann, tra i tanti).
Un ruolo importante di Milian nei “poliziotteschi” fu in “Squadra volante” (dove impersonificò il poliziotto Ravelli) e “Milano odia: la polizia non può sparare “(dove con Lenzi diventò Giulio Sacchi). Con Lenzi, Milian girò anche “Il giustiziere sfida la città” nel 1975.
Può un solo film generare la nascita di due filoni che videro Tomas Milian essere il classico “uomo giusto al posto giusto al momento giusto”? Certo se si parla di “Roma a mano armata” (del 1976) da cui nacquero i due personaggi iconici di Tomas Milian, Sergio Marazzi detto “Monnezza” e Nico Giraldi detto “er pirata”.
“Roma a mano armata” vide Milian interpretare un malvivente che parlava in gergo romanesco e che faceva della battuta veloce il suo punto di forza: Vincenzo Moretto detto “il gobbo” che si opponeva al commissario Sarti (interpretato da Pino Colizzi), spietato come pochi e violento altrettanto. Il doppiatore era, ovviamente, Ferruccio Amendola.
Vista la bravura di Milian (e l’eccellente doppiaggio di Amendola), i suoi personaggi “negativi” lo resero il protagonista al contrario del poliziotto di turno visto come il “cattivo”.
Tomas Milian tra Nico Giraldi e Sergio Marazzi. Il rapporto con “Bombolo”
Si possono unire i generi “polizieschi” e “commedia”? No di primo acchito, perché sono genere completamente diversi, ma grazie a registi come Bruno Corbucci, Stelvio Massi e, sopratutto, lo stesso Tomas Milian come protagonista, questo fu possibile con la nascita di una serie di film che videro come protagonisti due personaggi cinematografici diventati iconici nel nostro Paese: il maresciallo Nico Giraldi della Polizia di Stato e il pregiudicato Sergio Marazzi. Tomas Milian fu l’interprete di questi due personaggi che hanno fatto la storia del cinema italiano nella seconda metà degli anni Settanta.
Il regista romano voleva un poliziotto un po’ sui generis rispetto a quelli che si vedevano in televisione: lo voleva meno duro e macho e pensò a Milian, il quale all’inizio fu dubbioso perché non era abituato a parti di quel tipo. Per di più in un parlato romanesco, la vera novità rispetto agli altri film di quel genere cinematografico. Milian si innamorò della parlata romana e sposò in pieno l’idea di Corbucci grazie anche anche al doppiaggio di Amendola.
Nico Giraldi era un ex ladro di borgata proletario e spiccio nei modi che ad un certo punto saltò dalla “parte opposta” e divenne un poliziotto, mentre Sergio Marazzi era il fratello gemello del terribile Vincenzo, uno spietato killer chiamato “Il gobbo” che seminò il panico nella Roma di quegli anni (al cinema, ovviamente). Anche “Monnezza” era un proletario di borgata.
I due personaggi, molto particolari, diedero vita ad una serie di film che videro come protagonisti due personaggi vestiti pressoché in modo identico (barba, capello lungo e riccio, tuta da ginnastica) e caratterizzati dall’uso smodato di dialetto romanesco e parolacce in rima.
Giraldi era stato in gioventù un ladro rispettato dalla mala che poi crescendo ha saltato la “barricata” ed è diventato una persona onesta che grazie al suo passato riesce ad immedesimarsi nei malavitosi e ad arrestarli; Marazzi è un ladro comune che però riesce a rendersi amico della “madama” : non un “infame”, ma un collaboratore “distaccato”.
Nico Giraldi era un poliziotto mai in divisa ma con indosso una tuta blu da meccanico, le scarpe da ginnastica (anche in Questura), lo “zuccotto” in testa, la catena al collo, la cicca in bocca ed usava mezzi spicci per combattere il crimini, avendo sempre la meglio sui ladri/banditi perché lui arrivava dalla strada e dalla criminalità e gli era pressoché facile avere la meglio su di loro.
Monnezza aveva una sorta di trattoria romana (“La pernacchia”) e viveva a metà tra il crimine ed il comportamento retto, al contrario del fratello Vincenzo (detto “il Gobbo”), un killer vendicativo ed efferato che creò scompiglio nella vita della città di Roma, uccidendo i suoi ex soci. Aveva il sogno di realizzazione il sogno di conquistare la città e renderla sua nonostante la menomazione fisica. Il fratello di “Monnezza” apparve solo nell’ultimo film, mentre negli altri due film le vicende di Marazzi ruotarono intorno ai commissari Sarti, Ghini ed alcuni poliziotti della Questura di Roma.
Il successo fu clamoroso: i botteghini segnarono il tutto esaurito per una serie di film dove violenza e comicità erano il sale di tutta la saga dell’ex ladro di borgata che era passato dalla parte delle “guardie”.
L’inventore di “Monnezza” fu Dardano Sacchetti, uno dei principali sceneggiatori italiani del periodo.
Nico Giraldi (chiamato nell’ambito della mala “er pirata” quando lui stesso era un ladro) è stato il protagonista di cinque Squadre (Squadra antiscippo, Squadra antifurto, Squadra antitruffa, Squadra antimafia, Squadra antigangsters) girate tra il 1976 ed il 1979, un Assassinio (Assassinio sul Tevere del 1979) e cinque Delitti (Delitto a Porta Romana, Delitto al ristorante cinese, Delitto sull’autostrada, Delitto in Formula Uno, Delitto al Blue Gay), girati tra il 1980 ed il 1984, mentre Sergio Marazzi è stato protagonista di tre film, girati tra il 1976 ed il 1977: Il trucido e lo sbirro, La banda del trucido, La banda del gobbo.
A dire il vero il personaggio di “Monnezza” non era propriamente quello principale, ma visto che Milian interpretava sia lui sia il fratello Vincenzo divenne davvero il protagonista, mettendo in secondo piano i veri personaggi positivi della vicenda, i vari commissari Sarti (interpretati da Claudio Cassinelli e Pino Colizzi) e Ghini (interpretato da Luc Merenda) nei tre film.
E la fama di Milian in questi film è dovuta a diverse caratteristiche: i dialoghi, le battute in rima, i modi spicci e poco ortodossi, l’azione, la comicità. Con la saga di Nico Giraldi e di Sergio Marazzi, i cattivi divennero eroi mentre i buoni furono sempre dipinti in maniera ridicola e sempre sbeffeggiati dall’uno e dall’altro.
Nonostante entrambi i personaggi siano simili nell’outfit e nell’estetica, sono totalmente diversi e tantissimi li confondono quando vedono un film con protagonisti i due alter ego di Milian sbagliando gli interpreti (“Stasera danno un film col Monnezza”, quando passa un film con protagonista Nico Giraldi).
Nel 1980 (anno di “Il lupo e l’agnello” e “Delitto a Porta Romana”), Milian vinse il Premio de Curtis ed il Premio Rodolfo Valentino per la commedia ed il personaggio creativo.
Se il successo dei film con protagonisti “er Monnezza” era…non voluto perché il protagonista erano il commissario Sarti e Ghini e i vari delinquenti, nella serie del maresciallo (e poi ispettore) Nico Giraldi il merito del successo fu dovuto a due personaggi che sono stati fondamentali per Milian: Quinto Gambi e Franco Lechner detto “Bombolo”.
Quinto Gambi è stato l’alter ego al cinema di Milian, tanto da essere il suo stuntman nonché la sua copia spiaccicata. Di professione “pesciarolo” (venditore di pesce al mercato), Gambi è stato il punto di riferimento di Milian nonché un suo grande amico, confidente e fratello minore (i due avevano sei anni di differenza).
La vulgata disse che i due si incontrarono al “Piper”, il celebre locale romano nell’estate 1966 e non si lasciarono più, finché morte non li separò (Milian morì il 22 marzo 2017, Gambi il novembre successivo).
Gambi non apparve mai nei film (se non come controfigura dello stesso attore), mentre è stato il faro di Milian nelle notti romane ed è stato lui ad ispirare l’aspetto prima di “Monnezza” e poi di Nicol Giraldi. Gambi era il classico “trucido”: sboccato, non curato, vestito male con colori improbabili, la parlata in solo dialetto romanesco e il suo essere schietto e sincero.
Il successo dei film di Nico Giraldi è dovuto molto in parte al physique du rôle di Milian, all’azione e alle battute, ma non ci sarebbe stato Nico “er Pirata” senza Franco Bertarelli detto “Venticello”. Questo personaggio, molto buffo e dalla parlata romanesca, è stato il personaggio più famoso interpretato dall’attore romano Franco Lechner in arte “Bombolo”.
“Venticello” era un ladro impenitente molto scapestrato e sfortunato che ha fatto da spalla edì informatore di Nico Giraldi con il quale condivide la scena in nove film. Piccolo e grassottello, la mimica di Bombolo è stata la marcia in più nelle pellicole di Bruno Corbucci, il regista di tutti i film (meno uno) con protagonista Nico “er Pirata”. E quando si pensa a “Bertarelli Franco detto Venticello” non si può non pensare alle celebri “pizze” (schiaffi) che Giraldi gli dava quando non diceva la verità o ne combinava una delle sue. Nel suo piccolo, anche lui è stato un grande di questo particolare tipo di film, magari poco considerato e bistrattato dalla critica (anche nei suoi film successivi).
Interprete di quasi quaranta film in dieci anni esclusivamente comici (e molti sboccati), Lechner morì a 56 anni nel 1987. Ogni volta che Milian parlava di “Bombolo”, dopo la sua morte aveva sempre gli occhi lucidi e singhiozzava: segno che tra i due ci fu un bel legame lavorativo ed affettivo.
Gli anni Ottanta-Novanta, ancora cinema impegnato
Gli anni ’80 videro il tramonto del “poliziottesco” e della saga del maresciallo (poi ispettore) Giraldi, ma Tomas Milian portò l’”anima” dei suoi personaggi in altri film comici divertenti ma troppo identici (e quindi fuori luogo) per l’epoca: da “Il figlio dello sceicco” di Bruno Corbucci del 1978 a “Il diavolo e l’acqua santa” di Bruno Corbucci del 1983, da “Il lupo e l’agnello” del 1980 di Francesco Massaro a “Uno contro l’altro, praticamente amici” di Bruno Corbucci nel 1981 con Renato Pozzetto.
Ma Milian, attore completo, riuscì a scrollarsi di dosso la patina “Giraldi-Monnezza” interpretando una serie di film di spessore come “La luna” di Bertolucci e “Identificazione di una donna “ di Antonioni, girati tra il 1979 ed il 1982. La sua interpretazione di “La luna” gli valse il Nastro d’Argento (il premio cinematografico assegnato ogni anno dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani) come “Miglior attore non protagonista” nel 1980, primo e finora unico attore straniero a vincere quel premio.
Con la seconda metà degli anni Ottanta, Tomas Milian lasciò l’Italia per cimentarsi in diversi film importanti dove interpretò ruoli di rilievo sotto l’occhio di tanti registi importanti (da Sodeberg a Ferrara, da Stone a Spielberg a Tennant) oppure molti cammei (da “Miami Vice” a “La signora in giallo”). La seconda metà degli anni Ottanta vide un back to the roots per Milian: film impegnati, recitazioni drammatiche. E pensare che allora Milian non era neanche conosciuto Oltreoceano.
Dal 1982 in poi viaggiò molto in India per incontrare Sai Baba per ritrovare se stesso e lasciarsi alle spalle i vizi e nel 1984 tornò definitivamente in USA a New York, ricominciando una nuova carriera fatta di cinema e teatro in produzioni da noi poco note, ma molto apprezzate negli States.
Il clou si ebbe nel 2000 con l’uscita di “Traffic”, con la regia di Steven Soderbergh, con Tomas Milian nella parte di Arturo Salazar, un potente affiliato ad un cartello messicano della droga. Quella di “Traffic” è considerata la miglior interpretazione di Milian sul grande schermo e il film valse al regista il Premio Oscar.
I primi anni Duemila videro una riscoperta italiana verso i film anni Settanta, tanto che iniziarono a vedersi venduti migliaia di DVD con protagonisti i vari Nico Giraldi, Sergio Marazza, Vincenzo Moretto, Giulio Sacchi e Tony Roma. L’Italia riscoprì il talento di Milian e per l’attore cubano ecco arrivare una ventata di popolarità in un Paese che sembrava averlo dimenticato, ma che non volle, ora, dimenticarsi di lui.
E iniziò a pensare ad una propria autobiografia, così da diventare “immortale”.
Gli ultimi anni e la morte
Nel 2002 e nel 2005 Milian girò due importanti film, “Washington Heights” e “La fiesta del Chivo”, per la regia di Alfredo de Villa e Luis Llosa. Nel 2009 Milian tornò nella “sua” Roma per girare “Roma nuda” di Giuseppe Ferrara, una serie di quattro puntate dove fece un ruolo a lui congeniale: il poliziotto.
Milian nella città capitolina ritrovò l’affetto degli anni d’oro di quando era uno dei principali attori, tanto da asserire che quando sarebbe morto avrebbe voluto essere tumulato nel cimitero del Verano accanto all’amico “Bombolo”.
Nel 2014 tornò per l’ultima volta a Roma per ritirare il Premio Marc’Aurelio alla carriera nella serata inaugurale del Festival del cinema di Roma ed uscì la sua autobiografia (“Monnezza amore mio”) scritta con il giornalista romano Manlio Gomarasca.
L’ultima sua opera fu il documentario su se stesso, “The Cuban Hamlet”, girata nella sua Cuba.
Tomas Milian anche se ha abitato in America non si è mai dimenticato dell’Italia e non si è mai dimenticato della città che più di tutte lo ha reso un mito della cinematografia mondiale, Roma. E in molte occasioni è venuto in Italia ospite speciale di molte trasmissioni in cui ha raccontato di sé e dei personaggi che lo hanno reso un immortale del silver screen. E ogni sua ospitata ha segnato picchi di audience importanti. Una pagina malinconica di un uomo invecchiato che è stato un’icona del cinema nostrano nonostante fosse cubano e doppiato in romano.
A Roma, Milian non abitò più fin dalla metà degli anni Ottanta e si trasferì nella città che lo ospitò per la prima volta quando lasciò il suo Paese e che lo vide muovere i primi passi nel campo cinematografico, Miami. E nella città simbolo della Florida, Tomas Milian morì per un ictus il 22 marzo 2017 all’età di 84 anni.
Gli amori e la vita privata
Tomas Milian, come tanti attori latini, ha sempre avuto un fascino irresistibile per molte donne e lui non ha mai nascosto di aver avuto diverse liason. Come non ha mai nascosto di aver avuto molti rapporti con uomini. Ma il suo unico amore è stato Rita Valletti che ha sposato nel 1964 e che gli ha dato il suo unico figlio, Tomas jr. Un amore terminato nel 2012 con la morte di lei. E come tutti gli attori di grido anche Milian non sono mancati i problemi tipici di molti attori: la depressione, l’abuso di alcool e la dipendenza dalla droga. Tutto unito dal suo rapporto con una medium e con un viaggio in India alla ricerca di sé stesso incontrando il santone Sai Baba.
Insomma, una vita avventurosa e maledetta come i grandi del cinema.
Cosa rimane oggi di Tomas Milian
Il 22 marzo 2017 il cinema e gli amanti del genere “spaghetti western”, “poliziottesco” e comico hanno perso un grande interprete. Un interprete posato, mai sopra le righe e protagonista di pellicole divertenti, ben girate e, sopratutto, ben interpretate.
L’uomo che arrivò a Miami con i classici “cinque dollari in tasca” ha fatto tanta strada e si è ritagliato una buona fetta di importanza nel cinema: nessun Oscar o Golden Globe, ma cento film girati ed una fisicità che lo hanno reso un immortale.
Eppure, se negli States per Tomas Milian c’è stato il massimo rispetto, in Italia, la sua seconda casa, tra noi italiani c’è stata molta diffidenza nei suoi confronti perché è considerato un attore di B movies, di interpretazioni volgari e di film che non passano mai nelle tv generaliste ad orari decenti, ma sui vari “RaiMovie” ed “Iris” della situazione ad orari scomodi.
Eppure dopo anni di oblio, grazie anche alle sue ospitate in tv, e dopo lo sdoganamento del genere (grazie al cultore del genere, Quentin Tarantino), Tomas Milian ha avuto un’impennata nel gradimento e molto più spesso di prima, capita di vedere un “trucido”, “un gobbo” e molti “Assassini” o “Delitti” in televisione. Per non parlare di pagine Facebook o siti internet a lui dedicati.
E poi quell’ingiusta “assonanza” nell’identificare Nico Giraldi con “Monnezza”, due personaggi diversi che invece per tanti sono un tutt’uno (come avvenne con i film di Paolo Villaggio dove tanti scambiavano “Fantozzi” con “Fracchia”), quasi facendo un torto allo stesso Milian. Per non parlare del film “Il ritorno del Monnezza” del 2005 di Carlo Vanzina (regista che non girò mai film come quelli di Milian) con Claudio Amendola (figlio di Ferruccio, morto nel 2001) nei panni di Rocky Giraldi, figlio primogenito (nella serie) del poliziotto nato in “Delitto a Porta Romana”. Il film fu un fiasco totale poiché si volle riportare sul maxi schermo un personaggio che non aveva più niente da dire e che fu oggetto di una pellicola “errata” (Nico Giraldi e “Monnezza” sono due personaggi distinti). E non si seppe mai se Milian non vi prese parte anche per una semplice comparsata perché non credeva nel progetto o perché non fu mai interpellato dalla produzione.
Non c’è che dire: Tomas Milian è un cult, senza se e senza ma. E’ stato un attore facile da riconoscere, ma difficile da amare, un mito ed un fenomeno di costume tra sparatorie, inseguimenti, belle donne, “pizze” e battute sconce che fanno ridere ancora oggi milioni di spettatori. E siamo sicuri che suo padre, nonostante fosse un militare ed una persona autoritaria, sicuramente avrebbe apprezzato la carriera che ha avuto il figlio artista e ribelle partito dall’Avana con la volontà di diventare famoso. Riuscendoci.
foto in evidenza tratta da www.mondofox.it