Niente pace per le donne:  il Comitato europeo dei diritti sociali riscontra violazioni in 14 paesi sulla parità retributiva fra generi

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Niente pace per le donne:  il Comitato europeo dei diritti sociali riscontra violazioni in 14 paesi sulla parità retributiva fra generi

Strasburgo, 29.06.2020 – Il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS), ha riscontrato violazioni del diritto alla parità di retribuzione e del diritto alle pari opportunità sul luogo di lavoro in 14 dei 15 paesi che hanno accettato di applicare la procedura dei reclami collettivi della Carta sociale europea: Oltre all’Italia, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda,Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca e Slovenia. Soltanto la situazione della Svezia è stata riconosciuta conforme alle disposizioni della Carta.

“Il divario retributivo di genere è inaccettabile, eppure continua a rappresentare uno dei principali ostacoli al conseguimento di una reale uguaglianza nelle società moderne. I governi europei devono intensificare urgentemente gli sforzi per garantire le pari opportunità sul posto di lavoro. E un numero maggiore di paesi dovrebbe utilizzare la Carta sociale europea del Consiglio d’Europa in quanto mezzo per raggiungere tale obiettivo”, ha dichiarato Marija Pejčinović Burić, Segretaria generale del Consiglio d’Europa. I reclami presentati al CEDS, l’organismo incaricato di monitorare l’applicazione delle disposizioni della Carta, sono stati introdotti dalla ONG internazionale University Women Europe (UWE).

Il CEDS, pur avendo concluso che la legislazione di tutti i 15 paesi interessati risulta soddisfacente per assicurare il riconoscimento del diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro, ha riscontrato un certo numero di violazioni (ad eccezione del reclamo nei confronti della Svezia), dovute innanzitutto ai progressi insufficienti registrati nella riduzione del divario retributivo di genere, ma in alcuni casi motivate ugualmente dalla mancata trasparenza salariale nel mercato del lavoro, dall’assenza di vie di ricorso efficaci e dall’insufficienza dei poteri e mezzi conferiti agli organismi nazionali per la promozione della parità di genere. Inoltre, malgrado gli accordi sull’applicazione di sistemi di quote e l’adozione di altre misure, le donne continuano ad essere sottorappresentate nelle posizioni decisionali all’interno delle aziende private. Il CEDS ha constatato che il divario retributivo di genere si è ridotto in alcuni paesi, ma che i progressi sono ancora insufficienti.

Il CEDS verifica il rispetto degli impegni assunti dagli Stati per garantire l’applicazione dei diritti riconosciuti dalla Carta sociale europea tramite due meccanismi complementari: i reclami collettivi, che possono essere presentati da associazioni sindacali e datoriali, nonché da altre organizzazioni non governative (procedura dei reclami collettivi), e i rapporti nazionali periodici sottoposti dai Governi delle Parti contraenti (procedura dei rapporti).

Ai sensi della Carta, il diritto alla parità di retribuzione deve essere garantito per legge. In particolare, il CEDS ha individuato i seguenti obblighi spettanti agli Stati contraenti:

  • Riconoscere nella loro legislazione il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore;
  • Garantire l’accesso a vie di ricorso efficaci per le vittime di discriminazione salariale;
  • Assicurare la trasparenza salariale e rendere possibile un confronto delle retribuzioni;
  • Mantenere attivi organismi efficaci per la promozione della parità e istituzioni competenti per garantire nella pratica la parità di retribuzione.

Il CEDS riconosce che il divario retributivo di genere non è più unicamente né principalmente il risultato di una vera e propria discriminazione. Deriva essenzialmente dalle differenze nelle cosiddette “caratteristiche medie” delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro. Tali differenze sono dovute a numerosi fattori, quali la segregazione orizzontale, quando un sesso si trova concentrato in determinate attività economiche (segregazione settoriale di genere) o in determinate occupazioni (segregazione professionale di genere), come pure la segregazione verticale, in particolare il fatto che sono troppo poche le donne che occupano le posizioni dirigenziali e decisionali meglio retribuite all’interno delle aziende. Gli Stati dovrebbero pertanto valutare l’impatto delle misure politiche adottate per affrontare la segregazione di genere nel mercato del lavoro, migliorando la partecipazione delle donne a una gamma più vasta di posti di lavoro e di professioni.

Per quanto riguarda più particolarmente la segregazione verticale, le decisioni adottate dal CEDS sottolineano gli obblighi positivi dello Stato di affrontare questo fenomeno nel mercato del lavoro, grazie, tra l’altro, alla promozione di una maggiore presenza femminile negli incarichi decisionali all’interno delle imprese private. Tale obbligo può comportare l’introduzione di misure legislative vincolanti per garantire la parità di accesso ai consigli di amministrazione delle imprese, anche applicando un sistema di quote o fissando obiettivi specifici nel settore pubblico e in quello privato, destinati a promuovere la parità. È tuttavia possibile adottare ugualmente un approccio di tipo più flessibile, che incoraggi il cambiamento, se è in grado di permettere il conseguimento di progressi misurabili. Le misure volte a favorire le pari opportunità per le donne e gli uomini nel mercato del lavoro devono includere la promozione di un’effettiva equa rappresentanza di entrambi i sessi in posizioni decisionali sia nel settore pubblico che in quello privato.

Al riguardo, il CEDS ha rilevato che la percentuale di donne che siedono nei consigli di amministrazione delle più importanti società quotate in borsa nei paesi in cui vigono disposizioni legislative vincolanti è passata da una media del 9,8% nel 2010 al 37,5% nel 2018. Nei paesi che hanno intrapreso interventi positivi per promuovere l’equilibrio di genere, senza tuttavia adottare misure vincolanti, le percentuali sono state del 12,8% nel 2010 e del 25,6% nel 2018, mentre nei paesi in cui non è stato realizzato nessun intervento particolare (oltre all’autoregolazione da parte delle aziende) la situazione è rimasta praticamente invariata, con una media del 12,8% di donne presenti nei consigli di amministrazione nel 2010, che è passata al 14,3% nel 2018. Il CEDS ha inoltre ricordato che è essenziale tenere presente la Risoluzione dell’APCE 1715 (2010), che raccomanda che la percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società sia almeno del 40%.

 Fonte: Comunicato Ufficio Stampa CoE