8 giugno 1990, iniziava Italia ’90: dovevano essere “notti magiche”. Non lo furono, purtroppo

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di Simone Balocco

Notti magiche/inseguendo un gol/sotto il cielo di un’estate italiana/e negli occhi tuoi voglia di vincere/un’estate un’avventura in più”.

Nell’estate 1990, questo ritornello è stato cantato almeno una volta da parte di ogni italiano: era la hit del momento cantata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini. E ancora oggi, che siamo nel 2020, questo ritornello se passa da qualche parte viene ricordato con emozione da parte di ogni italiano. Era “Un’estate italiana” e si classificò al primo posto della classifica dei singoli più venduti quell’anno.

Ma quella canzone non fu solo una canzone estiva, ma fu la canzone dei Campionati del Mondo di calcio del 1990 che furono ospitati dall’Italia.

Era il Mondiale delle, appunto, delle ”notti magiche” della Nazionale di Azeglio Vicini, erano le “notti magiche” di Salvatore Schillaci, erano le “notti magiche” di un evento mediatico clamoroso che andava a chiudere (metaforicamente) il decennio d’oro (sotto tutti i punti di vista) del nostro Paese. Era il Mondiale di “Ciao”, del restyling degli stadi e di nuovi costruiti ad hoc. Era il Mondiale perfetto per diventare per la quarta volta Campioni del Mondo.

Peccato che a vincere la XIV edizione dei Mondiali fu la Germania Ovest (prossima all’unione con la Est) in finale contro l’Argentina, con la nostra Nazionale a chiudere al terzo posto dopo aver battuto nella finalina l’Inghilterra. Era il Mondiale più alla nostra portata di sempre: eravamo una squadra fortissima in ogni reparto e trainata da un giocatore che brillò, in carriera, solo quell’estate, ma che ancora oggi è ricordato come IL giocatore di Italia ’90, Totò Schillaci.

Dopo cinquantasei anni, il nostro Paese tornava organizzatore di un evento sportivo di importanza planetaria come appeal e business. A vincere furono altri e ai tifosi azzurri non rimase altro che leccarsi le ferite: ad alzare la Coppa sotto il cielo di Roma non fu capitan Giuseppe Bergomi, già vincitore del Mondiale di Spagna 1982, ma Lothar Matthäus, capitano della Germania Ovest che con quella vittoria raggiunse nell’albo d’oro della manifestazione, con tre vittorie, Italia e Brasile.

Il Mondiale fu assegnato al nostro Paese nel 1984: l’Italia divenne la seconda Nazione, dopo il Messico, ad ospitare per la seconda volta i Campionati del Mondo. Dal punto di vista calcistico, le squadre italiane in quel 1990 erano tra le più forti d’Europa e del Mondo: il Milan aveva vinto la Coppa dei Campioni (ed avrebbe vinto nell’anno solare anche la Supercoppa UEFA e la Coppa Intercontinentale), la Sampdoria la Coppa delle Coppe, la Juventus la Coppa Uefa battendo in finale la Fiorentina.

La FIFA incaricò l’Italia di organizzare il Mondiale di calcio che si sarebbe tenuto sei anni dopo. Una grande occasione: per un mese intero l’Italia sarebbe stata al centro del Mondo proprio grazie allo sport che da noi attirava più interesse.

Partì subito la macchina organizzatrice: l’Italia allora era la quinta potenza mondiale, bisognava fare le cose in grande. E per prima cosa si partì con gli stadi.

Dodici città ebbero il privilegio di ospitare le partite iridate (Roma, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Udine, Bari, Torino), ma i loro stadi non erano idonei per ospitare un Mondiale. O meglio, dovevano essere rinforzato e/o restaurati. Ed ecco che molti lavori furono fatti in grande stile con gli apici in tre città: Milano, Bari e Torino. Se nella città meneghina il “Meazza” fu alzato di un anello e coperto per intero, negli altri due capoluoghi di regione i loro stadi vennero costruiti ex novo. Nacquero il “San Nicola” e il “delle Alpi”, opere avveniristiche da 60mila e 70mila posti a sedere che avrebbero preso il posto del “della Vittoria” e del “Comunale”. I costi per costruire quegli stadi furono esorbitanti (123 miliardi uno, 226 miliardi l’altro), ma erano bellissimi ed era necessario far vedere che l’architettura italiana era tra le migliori al Mondo.

Gli occhi del Mondo erano sull’Italia che per l’occasione fece anche un restyling a sé stessa: il nostro Paese stava attraversando un grande momento socio-economico-politico ed i Mondiali furono una grande vetrina: era necessario fare bene, sotto tutti i punti di vista. Calcistici in primis.

Il pallone ufficiale del Mondiale fu “Etrusco” dell’Adidas, mentre la mascotte era “Ciao”, un omino stilizzato fatto con mattoncini tricolori il cui nome era stato scelto dopo un sondaggio: la simpatica mascotte dalla forma curiosa apparve ovunque, entrando nell’immaginario collettivo come l’emblema di Italia ’90.

Italia e Argentina non dovettero disputare le qualificazioni mondiali, in quanto Paese organizzatore e Paese detentore della Coppa del Mondo. Essendo stata in successione prima Campione del Mondo e poi Paese organizzatore, per due volte la Nazionale italiana saltò le partite di qualificazione.

Furono i primi Mondiali post Guerra fredda: il Mondo l’anno prima era cambiato e il calcio lo stava seguendo a ruota, perché vi presero parte per l’ultima volta Germania Ovest, Unione Sovietica, Cecoslovacchia e Jugoslavia. Dopo di allora vi presero parte Nazionali di Stati nati dopo il loro scioglimento (Russia e Ucraina; Repubblica ceca e Slovacchia; Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia).

Si qualificarono 22 squadre. Vi presero parte tutte le squadre che, fino a quel momento, avevano vinto almeno un Mondiale, i campioni d’Europa uscenti dell’Olanda (che tornavano ad un Mondiale dopo Argentina ’78), i campioni del Sudamerica del Brasile, i vice-Campioni d’Asia della Corea del Sud e i campioni del Centro-Nord America del Costarica.

Le Nazionali debuttanti furono Irlanda, Emirati Arabi Uniti e proprio Costa Rica.

L’Italia partiva con i favori del pronostico perché era padrona di casa e la rosa di Vicini era ricca di giocatori di talento che con le loro squadre di club avevano fatto la voce grossa in Europa. In più erano quattro anni che a livello di Nazionale l’Italia stava andando bene: dalla medaglia d’argento della Under21 all’Europeo di categoria nel 1986 al terzo posto all’Europeo tedesco occidentale del 1988.

Il torneo si era aperto con la clamorosa vittoria al “Meazza” del Camerun sui campioni del Mondo in carica dell’Argentina.

L’Italia fu inserita nel Gruppo 1 con Austria, Cecoslovacchia e Stati Uniti d’America.

La prima partita fu giocata il 9 giugno all’”Olimpico” e gli azzurri ebbero la meglio sull’Austria con un gol di Schillaci al 79′: l’attaccante della Juventus era entrato in campo quattro minuti prima al posto di uno spento Carnevale e ad undici minuti dalla fine del match mise in porta di testa il preciso cross di Vialli.

La seconda partita fu giocata cinque giorni dopo e questa volta a cadere fu la squadra materasso del girone, gli Stati uniti: a segnare il gol vittoria ci pensò Giannini già al minuto 11. Italia qualificata con una partita di anticipo, ma c’era da scoprire se la nostra Nazionale si sarebbe qualificata come prima o seconda. Ma quello era il nostro Mondiale ed il 19 giugno battemmo anche la forte Cecoslovacchia degli “italiani” Luboš Kubík e Tomáš Skuhravý (che arrivò al Genoa dopo la fine del torneo) con un perentorio 2-0, con reti del solito Schillaci e del 23enne Baggio, che siglò un gol da cineteca. Italia prima e tutti i tifosi che, in strada nei caroselli, nei bar o nelle proprie case dicevano: questo Mondiale lo vinceremo noi.

I successi della Nazionale spinsero milioni di italiani nelle strade a fare caroselli con tutti i mezzi di trasporto possibili, con bandiere, sciarpe e maglie azzurre. Fino al 3 luglio, nel nostro Paese si assistette a scene di delirio, con buona pace di chi dormiva e che il mattino dopo si sarebbe alzato per andare a lavorare (e parlare con i colleghi delle vittorie della nostra Nazionale).

Negli ottavi di finale incontrammo la peggiore (ovvero la più forte) delle terze classificate, l’Uruguay degli “italiani” Gutierrez, Aguilera, Paz, Perdomo e Sosa. La pratica con i sudamericani venne risolta da Schillaci e Serena e nei quarti i ragazzi di Azeglio Vicini incontrarono una delle sorprese di Italia ’90, la Repubblica d’Irlanda.

Ci sbarazzammo anche dei “verdi” con un altro gol di Schillaci e arrivammo in semifinale. Difesa impenetrabile (zero reti subite in cinque partite), centrocampo molto forte (Giannini e Donadoni i migliori) e davanti Schillaci e Baggio stavano facendo faville con i vari Vialli, Mancini e Carnevale al palo.

Tra ottavi e quarti, quattro partite furono risolte nei supplementari e due ai rigori. La vera sorpresa fu l’approdo del Camerun nei quarti di finale: per la prima volta una compagine africana si era spinta fino alle migliori sedici, segno che il calcio nel Continente nero stava facendo passi da gigante.

La semifinale vide il trasloco azzurro dall’”Olimpico” di Roma al “San Paolo” di Napoli e nella città partenopea affrontammo i campioni del Mondo in carica dell’Argentina guidati da Maradona.

I tifosi italiani già pensavano alla finale dell’8 luglio all’”Olimpico”: o Inghilterra o Germania Ovest. L’Argentina era arrivata in semifinale superando il girone come una delle migliori terze, negli ottavi aveva sconfitto fortunosamente il Brasile e nei quarti aveva avuto la meglio solo ai rigori del “Brasile d’Europa”, la Jugoslavia. Maradona era lontano dalla forma migliore, fino ad allora non aveva mai segnato e aveva sbagliato il suo rigore contro gli slavi.

Le “notte magiche” sembravano non finire. E invece…Caniggia ci punì e Goycochea ci fece piangere: la fine delle “notti magiche”

Italia-Argentina era un classico della manifestazione, visto che per la quinta volta consecutiva le due Selezioni si incontravano (nella fase a gironi nel 1974 e nel 1978, nella seconda fase a gironi nel 1982, nella prima fase a gironi nel 1986). Da una parte l’Italia di Schillaci e Baggio, dall’altra l’Albiceleste con ben sette giocatori “italiani” in rosa, guidata dal giocatore più forte del Mondo, Diego Armando Maradona, capitano e leader del Napoli vincitore dell’ultimo scudetto.

Rispetto a quattro anni prima l’Argentina era nettamente più forte ma consci di avere una squadra nettamente più forte, i tifosi azzurri si preparavano alla finale romana della domenica successiva.

E i presupposti erano buoni: Italia pericolosa, ben messa in campo e al 17′ Schillaci fece esplodere lo stadio napoletano buttando in porta la palla ribattuta da Goycochea su tiro di Vialli. Quinta rete mondiale per un giocatore che stava facendo sognare una Nazione intera.

La seconda frazione di gioco vide sempre di più l’Argentina avanzare e l’Italia subire. Spinto da un “San Paolo” inaspettatamente tifoso dell’Argentina, al minuto 23 la cosa che nessun italiano avrebbe voluto vedere: cross da destra di Olarticoechea, la palla alta fu intercettata da Caniggia che saltò più in alto di Ferri e superò di testa Zenga. 1-1, palla al centro: dopo 517′ di imbattibilità, l’Italia subì il primo gol mondiale. Quel gol fu la fine del nostro Mondiale.

I tempi regolamentari si chiusero sull’1-1, così come quelli supplementari. Fu una partita epica anche perché i supplementari durarono 38 minuti e non trenta per una “svista” dell’arbitro francese Vautrot. L’ingresso di Baggio non servì a scardinare la tonica difesa sudamericana e neppure il “rosso” di Giusti. La finalista si sarebbe decisa ai calci di rigore.

I primi sei rigori (tre per parte) finirono in rete: Baresi, Baggio e de Agostini per l’Italia, Serrizuela, Burruchaga e Olarticoechea per i sudamericani. Il settimo rigore venne parato da Goycochea su Donadoni, mentre Maradona non sbagliò il suo.

Tutta l’attesa era nei piedi di Serena: il portiere argentino parò anche questo ed in finale ci andò l’Argentina.

Erano finite le “notti magiche”. Era finito il grande sogno di arrivare a distanza di otto anni un’altra volta in finale. Sul banco degli imputati e delle critiche, Zenga: un errore che un portiere come lui non doveva fare. Rimane solo il primato dei minuti di imbattibilità che dura ancora oggi.

Sergio Goycochea, sconosciuto portiere allora in forza ad un club colombiano, fu l’eroe della partita. E pensare che non doveva neanche partire titolare in quel Mondiale, ma lo fu “grazie” ad un infortunio del titolare Nestor Pumpido.

L’Italia dovette ripiegare sulla finale per il terzo posto: a Bari gli azzurri affrontarono la sorprendente Inghilterra che dopo 24 anni aveva la possibilità di salire sul podio iridato.

La vittoria andò all’Italia per 2-1 con la rete dei due protagonisti di quel Mondiale incompiuto, Baggio e Schillaci su rigore. Per il numero 19, quello fu il sesto gol in sei partite che lo consacrarono capocannoniere del torneo. Dopo Paolo Rossi, un altro italiano aveva vinto la classifica marcatori di un campionato del Mondo di calcio.

Per l’Inghilterra, quel quarto posto significò una prova d’orgoglio visto che da cinque anni erano squalificate dalle coppe europee a seguito dei fatti dell’Heysel del 29 maggio 1985.

L’Italia per la prima volta nella sua storia mondiale si classificò al terzo posto. Un terzo posto molto, ma molto amaro viste le premesse che volevano gli azzurri in finale e vittoriosi del titolo.

L’8 luglio ci fu la finale, la rivincita di quattro anni prima a Città del Messico. Per i tedeschi occidentale quella finale fu un record: era la loro terza finale consecutiva.

Italia ’90 aveva visto la partecipazione di ben 31 giocatori stranieri che allora militavano in Serie A. In finale ci arrivarono in dodici (Abel Balbo, Claudio Caniggia, Gustavo Dezotti, Diego Maradona, Néstor Lorenzo, Néstor Sensini, Pedro Troglio; Andreas Brehme, Rudi Völler, Lothar Matthäus, Thomas Berthold, Jürgen Klinsmann) ed altri sei arrivarono negli anni successivi (Oscar Ruggeri, Stefan Reuter, Thomas Hässler, Karl-Heinz Riedle, Andreas Möller).

La finale iniziò con il piede sbagliato: durante l’esecuzione dell’inno nazionale argentino, dagli spalti partirono fischi rivolti contro l’Albiceleste ed il suo capitano. Un gesto di una anti-sportività clamorosa, vista la sacralità del momento. Fece storia l’insulto ripetuto più volte dal capitano argentino verso i tifosi.

La finale di Italia ’90 è considerata una delle più brutte finali della storia dei Mondiali e fu decisa da un rigore molto dubbio fischiato a sei minuti dalla fine della partita alla Germania Ovest da parte dell’arbitro messicano Edgardo Codesal Méndez. Dal dischetto, Brehme non fallì, nonostante Goycoechea intuì la traiettoria.

I maligni dissero che quel rigore fu la “punizione” inflitta ad una antipatica Argentina e ad un antipatico Maradona che, nonostante a Napoli fosse sempre considerato un dio, nel resto di Italia il giocatore non godeva più della stima del passato.

Per la seconda volta un Commissario tecnico aveva vinto la Coppa dopo averla vinta da giocatore: Franz Beckenbauer.

Poteva alzare la Coppa Azeglio Vicini, ma non ci riuscì. Il tecnico federale di Cesena era diventato Ct azzurro dopo il brutto mondiale messicano di Bearzot che, tra 1975 ed il 1986, aveva guidato l’Italia alla vittoria in Spagna e al quarto posto a Argentina 1978, Vicini proveniva dalla Under21.

Per Vicini l’occasione di vincere il Mondiale casalingo fu strepitosa, ma non la seppe cogliere: non a caso lui è il principale artefice del terzo posto finale e dell’eliminazione in semifinale. I motivi furono molteplici: dal puntare continuamente su un Vialli spento e poco efficace al non aver fatto i cambi tattici giusti nella ripresa del match contro l’Argentina, dal non aver creduto fino in fondo in Baggio ad aver sbagliato le marcature al “San Paolo”.

Ma l’uomo del destino, la vera icona di Italia ’90, è stato Salvatore Schillaci.

Schillaci si presentò al Mondiale come attaccante di riserva, convocato come premio per i quindici gol segnati nella Juventus al suo primo anno di Serie A. Eppure quella è stata l’”estate italiana” di un attaccante molto bistrattato dalla critica e insultato in ogni stadio.

A distanza di 30 anni, abbiamo ancora gli occhi spiritati dell’attaccante azzurro con il numero 19 bianco dopo i gol o quando subiva un fallo e l’arbitro di turno non gli fischiava un fallo a favore.

Sono stati tanti i paragoni tra Schillaci e Paolo Rossi, capocannoniere come lui di un Mondiale. Il percorso dei due giocatori fu parallelo: convocazioni ottenute tra le critiche, ma sei gol che fecero tacere tutti.

Dotato di una rapidità molto importante, le “notti magiche” di Totò furono contraddistinte dal fatto di essersi sempre trovato al posto giusto nel momento giusto. A fine stagione, Schillaci si classificò al secondo posto nella classifica del Pallone d’oro dietro a Lothar Matthäus.

Gli attaccanti preferiti da Vicini fallirono miseramente ed ecco che i migliori giocatori furono due giovani che la stagione successiva avrebbero giocato insieme nella Juventus, Schillaci e Baggio: otto gol per loro, zero gol per Vialli e Carnevale.

Schillaci purtroppo non soddisfò le attese: rimase a Torino altre due stagioni chiuso da Baggio e dall’arrivo in bianconero di colui che oscurò in azzurro (Vialli), passò all’Inter dove non fu per nulla decisivo e dopo due stagioni sotto la Madunina, Schillaci prese armi e bagagli ed andò in Giappone, vestendo i colori del Júbilo Iwata. Già l’anno dopo il Mondiale italiano, uscì dal radar della Nazionale. Ma anche se Schillaci ha fallito dopo il Mondiale, ai tifosi italiani è entrato nel cuore e nelle loro tv quel ragazzo che nato povero in un quartiere povero di Palermo si era preso sulle spalle una Nazionale ed una Nazione che stava per riscrivere una pagina indelebile del calcio.

A distanza di 30 anni, è cambiato tutto e l’Italia non ha saputo cogliere l’occasione di Italia ’90: gli stadi dopo pochi anni si rivelarono vetusti e addirittura il “delle Alpi” venne abbattuto per fare posto al nuovo “Juventus Stadium” nel 2011. Non ci furono gli esiti ed i benefici sperati.

Italia ’90 per il nostro Paese fu però, con il senno di poi, la punta dell’iceberg di un sistema (politico ed economico) che si sciolse come neve al sole già l’anno dopo: il biennio 1991-1993 fu molto duro sotto tanti punti di vista e il sogno calcistico divenne presto un incubo per colpa dei troppi soldi investiti e sprecati. Gli anni Novanta non furono ruggenti come i precedenti Ottanta e tutto il sistema Italia iniziò a scricchiolare entrando in una crisi profonda. In pochi anni, l’Italia da paese altamente industrializzato e forte politicamente si ritrovò in crisi industriale e debolissimo politicamente ed in declino sparato. Con il senno di poi, Italia ’90 fu il colpo di grazia per il Paese anche se nessuno, fino al 1990, poteva saperlo.

Ma torniamo a quel Mondiale: dopo di allora, l’Italia non ha mai più organizzato eventi internazionali, se non essere stata sede di finali di coppe europee (cinque finali di Champions League, cinque finali di ritorno di Coppa Uefa, una finale secca di Europa League). Il nostro Paese aveva tra le mani l’organizzazione dell’Europeo 2012 andato poi a Polonia e Ucraina: il titolo di Campioni del Mondo ed un governo calcistico (e non solo) debole ci tolse l’opportunità di ospitare per la terza volta l’Europeo.

Dagli undici metri, tra il 3 luglio 1990 ed il 2 luglio 2016, l’Italia ebbe un rapporto complicato con i calci di rigori: semifinale persa nel ’90, finale ai rigori persa a Italia ’94, eliminazione da Euro 1996 nella fase a gironi, sconfitta ai quarti di finale di Francia 98, sconfitta nei quarti di Euro 2008, la sconfitta ai rigori di Confederations Cup contro la Spagna nel 2013; la sconfitta contro la Germania nei quarti di Euro 2016. Ma sono diventati iconici i calci di rigore nella semifinale di Euro 2000 contro l’Olanda , la vittoria nei quarti di Euro 2012 contro l’Inghilterra, la finale per il terzo posto nella Confederations Cup contro l’Uruguay del 2013 ma, soprattutto, la finale di Berlino del 9 luglio 2006 contro la Francia dove la nostra Nazionale vinse il suo quarto titolo mondiale.

Titolo mondiale che poteva già arrivare ad Italia ’90, ma che il carneade Goycoechea ci disse “no”.

immagine in evidenza tratta da www.derbyderbyderby.it