Anna Frank, la Curva Nord ed il dovere di non dimenticare

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by Simone Balocco

Il sito dell’Enciclopedia Treccani (www.treccani.it) alle voci “decenza” e “rispetto” usa queste due espressioni: “Convenienza, decoro, pudore, intesi non solo come sentimento individuale ma, più, come esigenza etica collettiva che si ha l’obbligo di rispettare” e “Sentimento e atteggiamento di riguardo, di stima e di deferenza, devota e spesso affettuosa, verso una persona…Anche con riferimento a istituzioni civili o religiose o alle cose che le simboleggiano…Con riferimento alla manifestazione concreta di tale sentimento mediante azioni o parole…Sentimento che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità e la personalità stessa di qualcuno, e quindi ad astenersi da ogni manifestazione che possa offenderli”. I tifosi della Lazio domenica sera si sono macchiati del gesto di cattivo giusto di appiccicare in Curva Sud, il settore dell’Olimpico feudo del tifo della Roma, alcuni adesivi di stampo antisemita contro i tifosi avversari, impegnati in trasferta contro il Crotone.

Cosa ci facevano i tifosi della Lazio nella “Sud”? Due settimane prima, durante Lazio-Sassuolo, la “Nord” aveva intonato cori offensivi di stampo razziale contro due giocatori emiliani. Per punizione, la curva laziale, in occasione del match casalingo contro il Cagliari, è stata chiusa per un turno.

Il presidente della Lazio, Claudio Lotito, ha avuto la pensata di far andare tutti i tifosi biancocelesti nel settore opposto, al prezzo di un euro, affinché potessero seguire Immobile e compagni. Ed ecco che alcuni suppoter (presunti tali, a dire il vero) hanno appiccicato molti adesivi con scritto “Romanista fxxxxo”, “Romanista Aronne Piperno” (dal nome dell’ebanista ebreo del film “Il marchese del Grillo”), “Romanista ebreo” ed un fotomontaggio con un’immagine in bianco e nero di Anna Frank “vestita” con la maglia della Roma sulle vetrate in plexiglass. Gli adesivi sono stati prontamente rimossi e sono stati individuate 20 persone responsabili dell’ignobile gesto, tra cui un paio di ragazzini di 13 anni. Rischiano una condanna da 1 a 4 anni per istigazione all’odio razziale ed il DASpo, il divieto di accedere agli stadi, perché molti tra i fermati hanno precedenti per tifo violento da stadio.

La Comunità ebraica romana ha subito espresso sdegno per il gesto dei tifosi laziali, dicendo che gli antisemiti devono sparire dagli stadi, come i violenti e quelli che non rispettano chi non la pensa come loro. La Lazio, che ha una tifoseria che in molti casi si è macchiata di cori e gesti deprecabili, ha condannato i fatti e martedì il presidente Lotito e i giocatori Wallace e Felice Anderson si sono recati presso la sinagoga di Roma per deporre una corona di fiori come segno di rispetto e vicinanza (o meglio, di decenza). Il presidente laziale ha preso le distanze da quei tifosi che hanno appiccicato quegli adesivi e ha detto che il club organizzerà dei viaggi di studio per 200 tifosi al campo di concentramento di Auschwitz dove morì, tra le oltre 1,5 milioni di vittime, Anna Frank. Peccato che la mattina successiva la corona fosse sparita e trovata sulle rive del Tevere. Un altro gesto deplorevole in una vicenda altrettanto deplorevole.

A gettare ancora benzina sul fuoco, ci ha pensato (si dice, visto che la notizia non è del tutto chiara) ancora lo stesso Lotito durante il viaggio in aereo verso la capitale dove pare abbia sbuffato al pensiero di andare a fare una “sceneggiata”.

Gli “Irriducibili”, il più grosso gruppo organizzato di tifo laziale presente all’”Olimpico”,ha emesso un comunicato in cui hanno affermato di non essere stati loro ad appiccicare gli adesivi (nonostante molti riportino il logo del gruppo), apostrofando tutta la questione come una “goliardata” e definendo il tutto ad un effetto mediatico che non doveva esserci. Anzi, il tifo organizzato laziale ha detto che quando loro sono oggetto di scherno e offese da parte delle altre tifoserie nessuno apre bocca o muove un dito. Gli stessi ultras biancocelesti, per far capire che non sono loro il male, hanno tirato fuori dai cassetti della memoria (della vergogna) alcune fotografia che ritraevano gli adesivi raffiguranti la stessa Anna Frank con indosso la maglia della Lazio e le stesse scritte rivolte ai laziali dai romanisti. Insomma, una sorta di “muoia Sansone con tutti i filistei”: noi saremo cattivi, ma anche gli altri non sono educande.

Per l’ennesima volta, i tifosi della Lazio si sono macchiati di un gesto che offende le vittime della Shoah. Attenzione, non tutti i tifosi della squadra capitolina sono di quella risma, però arrivare a tirare in ballo anche Anna Frank significa che si è toccato il limite della decenza, del rispetto e del ricordo di una delle vittime dei campi di concentramento nazista durante la Seconda guerra mondiale. E fa pensare che alcune delle persone coinvolte nei fatti della “Sud” siano coetanei della stessa ragazzina.

La notizia degli adesivi offensivi ha fatto il tam tam sui siti di informazione nazionale, internazionale e, soprattutto, sui social, vera cassa di risonanza di questi ultimi tempi dove esprimere pensieri ed opinioni. Sono stati “di tendenza” gli hashtag #AnnaFrank, #Siamo tuttiAnnaFrank e #Auschwitz, quasi fosse la “Giornata della Memoria”, celebrata il 27 gennaio in ricordo della liberazione del più tristemente noto campo di sterminio nazista

La Lazio contro il Bologna, nel match giocato mercoledì sera, ha fatto il riscaldamento con una maglia raffigurante proprio Anna Frank, mentre, in segno di polemica, gli ultras laziali non hanno assistito al match del “Dall’Ara”. Il segretario del Partito democratico, Matteo Renzi, aveva chiesto che su tutti i campi le squadra di Serie A potessero giocare il turno infrasettimanale con una stella di David, simbolo della religione ebraica, sulle maglie.

I capitani delle squadre di Serie A prima del calcio d’inizio del turno infrasettimanale hanno regalato delle copie del libro “Se questo è un uomo” di Primo Levi e del “Diario” di Anna Frank ai bambini che accompagnano le squadre in campo ed è stato osservato una sorta di minuto di silenzio dove è stato letto un passo del “Diario”.

Nel frattempo la Procura della Federcalcio ha contestato alla Lazio e a Claudio Lotito la violazione dell’articolo 1 bis del Codice di giustizia sulla lealtà sportiva e dell’articolo 11 sui comportamenti discriminatori.

I fatti della Curva Sud sono la punta di due iceberg che coinvolgono il nostro Paese da tanti, troppi anni: l’odio verso il diverso e la nostalgia del fascismo.

L’aver usato come sfottò una delle figure più alte dell’Olocausto è stato un gesto molto deprecabile. Il massimo tra le cose più di cattivo gusto che potevano essere fatte. Il punto più basso di una tifoseria non nuova a squalifiche e multe per odio razziale tramite cori, saluti romani e altre amenità. Ma qui non si vuole condannare solo quei tifosi della Lazio, ma tutte quelle tifoserie, in tutto il Paese, che usano il calcio, lo sport più praticato e considerato come “il più bello del Mondo”, come valvola di sfogo di istinti animaleschi come il razzismo: dagli striscioni ai cori, da fantocci di colore bruciati alle minacce, dalle curve che dileggiano i morti dello stadio Heysel a quelle che insultano quelle della strage di Superga, dalle vittime delle foibe o dell’alluvione di Firenze fino ad augurare che al più presto il Vesuvio erutti.

Ed è errato considerare una messinscena il gesto della corona di fiori posata come la lettura del “Diario” allo stadio e tutto ciò che porta al ricordo della Shoah: se qualcuno sbaglia, è giusto correggerlo, facendogli capire che cose di questo tipo non si fanno, perché ne va il ricordo e ciò che ci hanno dato quelle persone. Famose o non famose che siano. Siamo ormai nel 2018 ed è ora di finirla con queste cose, una volta per tutte.

L’aver usato il volto di quella adolescente morta di tifo nel più orrendo anonimato e sul braccio il tremendo tatuaggio non deve essere usato per scopi di odio e razzismo, le cause che hanno portato alla sua morte e di altri milioni di individui, anche più giovani di lei.

Il suo volto, la sua storia, il suo “Diario”, la sua famiglia e tutte le persone morte nei campi di concentramento devono far parte della nostra coscienza e guardati con il massimo rispetto e devozione, invece di essere dileggiati e canzonati. E questa prevenzione deve partire dalle famiglie e dalla scuola: il “CorSera” ha pubblicato un articolo ieri dove alcuni studenti di alcuni licei romani hanno affermato di non sapere (provocazione o meno) chi fosse Anna Frank, mentre altri hanno detto che queste tematiche sono affrontare con superficialità durante le ore di lezione. Se si fosse fatto il servizio in altri licei di altre città italiane, da Nord a Sud, avrebbero risposto allo stesso modo.

Anna Frank ha conquistato milioni di ragazzini (e adulti) con il suo “Diario”, ma è anche sbagliato, per un certo senso, usate gli hashtag pro Anna Frank perché il suo nome e ciò che ha dato nel suo piccolo non devono essere sventolati come una moda, ma capiti e pensati.

Speriamo che questa vicenda si chiuda al più presto, che i responsabili vengano fermati e che possano pagare per ciò che hanno fatto.

Non solo i laziali, ma tutti quelli che si macchiano di questi gesti allo stadio come in strada.

Per chi, tra i nostri lettori, non conoscesse la storia di Anna Frank, ve la raccontiamo brevemente, mettendo l’accento sui fatti più crudi della sua vicenda

Annelies Marie Frank detta Anne (italianizzata in Anna) era nata a Francoforte sul Meno il 12 giugno 1929 da Otto e Edith e aveva una sorella maggiore di nome Margot, nata il 16 febbraio 1926. I Frank erano di religione ebraica e con la salita al potere del nazionalsocialismo (30 gennaio 1933), la vita dei tedeschi di fede religiosa ebraica divenne molto difficile in Germania tra “leggi di Norimberga”, perdita dei diritti civili e politici, del lavoro e dell’impossibilità di avere attività commerciali. I Frank emigrarono nei vicini Paesi Bassi, convinti che nel Paese guidato dalla regina Guglielmina Orange Nassau non avrebbero mai avuto problemi di antisemitismo. Prima si trasferì il padre per aprire la filiale dell’azienda dove lavorava (che produceva un preparato per fare la marmellata in casa) poi la moglie con la primogenita e poi Anna

In Olanda i Frank vissero senza nessun problema di sorta, la loro vita era regolare, le figlie andavano a scuola e non c’erano nubi all’orizzonte, almeno fino al 10 maggio 1940. Quel giorno, le truppe tedesche entrarono in territorio olandese, lo invasero e lo annessero (di fatto) al Terzo Reich. Otto si era informato sul come fuggire in Gran Bretagna o negli Stati Uniti d’America dove sarebbero stati assolutamente al riparo, ma non riuscì nel portare la sua famiglia lontana dalle angherie dei soldati hitleriani.

I Frank furono punto a capo, ma onde evitare di essere perseguiti ancora una volta, decisero di nascondersi per non essere arrestati dai nazisti. I genitori raccontarono la verità alle figlie sulla situazione in cui vivevano: erano ebrei, nemici giurati di chi in Germania e in molte parti d’Europa aveva il potere. La filiale dell’azienda passò di mano ai collaboratori di Otto Frank, Johannes Kleiman e Victor Kugler, non ebrei. Con Hermann van Pels aprì un’azienda che produceva spezie per produrre salsicce.

Il nascondiglio aveva sede al 263 di Prinsengracht che divenne il rifugio della sua famiglia e di altre quattro persone: i coniugi van Pels (Hermann e Auguste), il figlio Peter e il dottor Fritz Pfeffer, dentista. Gli otto clandestini vissero in quell’appartamento per due anni, nel silenzio assoluto per evitare che potessero essere arrestati.

La vita della giovane Anna cambiò il 12 giugno 1942: quel giorno, come regalo per i suoi tredici anni, ricevette una quaderno dove poter scrivere i suoi pensieri. Quel quaderno cinque anni dopo divenne un best seller e tutto il Mondo conobbe la vita di Anna Frank ed il suo periodo nascosta dai nazisti: razionamento del cibo, i litigi, le paure e le speranze erano i temi principali dei suoi ricordi.

Il 6 luglio 1942 cambiò anche la vita dei Frank: i nazisti erano alla ricerca di ebrei da arrestare e deportare nei campi di concentramento.

Il sogno dei Frank e dei rifugiati nell’appartamento terminò la mattina del 4 agosto 1944: qualcuno aveva fatto una soffiata e la Gestapo fece irruzione nell’alloggio, Tutti gli otto “residenti” furono arrestati e inviati al campo di Westerbork. Il 3 settembre 1944 gli otto clandestini partirono su un treno diretto ad Auschwitz, dove arrivarono tre giorni dopo stremati e dove si divisero per sempre.

L’unico a salvarsi dai campi di concentramento fu il solo Otto Frank, liberato dai russi il 27 gennaio 1945. Impiegò circa tre mesi a tornare a casa e seppe della morte della moglie e delle due figlie dai coniugi Mierp. Anna e Margot morirono a Bergen Belsen nel marzo 1945 di stenti e tifo e i loro corpi finirono nei forni crematori.

Otto Frank ricevette un quaderno da parte dell’amica Miep Gies: era il quaderno che la figlia Anna aveva ricevuto in dono per il suo compleanno e lei lo aveva custodito gelosamente con la speranza di darlo ad Anna. Al suo interno, due anni di racconti e storie di vita nel nascondiglio, annotate giorno per giorno con l’ultima data del 1° agosto 1944.

Nel 1947, dopo alcune correzioni, Otto Frank lo mandò in stampa e ancora oggi tutti noi sappiamo chi era Anna Frank e la sua triste storia. Dall’iniziale “Alloggio segreto”, il “Diario” di Anna Frank ancora oggi è molto venduto nel mondo e la loro casa-nascondiglio è un museo in ricordo dei Frank e delle vittime della Shoah per volontà di Otto, morto nell’agosto 1980.

Facile dire ora “Per non dimenticare”. Va bene, non dimentichiamo. Ma troppo spesso molti se lo dimenticano.