Chi non si alza e applaude, a volte, è perduto

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di Simone Balocco

Liliana Segre è una signora di 89 anni, nata a Milano il 10 settembre 1930. Allora podestà della città meneghina era Marcello Visconti di Modrone mentre a capo del governo c’era, dal 31 ottobre 1922, Benito Mussolini. Orfana di madre quando era in fasce, visse con il padre e i nonni paterni. Una donna come tante in Italia, come tante nel Mondo.

La signora Segre ha sull’avambraccio sinistro un tatuaggio particolare. Non è un tatuaggio “comune” come hanno tanti sul proprio corpo, ma un tatuaggio che come lei hanno avuto oltre 11 milioni di persone durante la Seconda guerra mondiale, di cui sei milioni di ebrei. Oggi, per motivi anagrafici, sono rimasti in pochi ad avere quel tatuaggio e a mostrarlo con nessun orgoglio. Una serie di numeri indelebili che la signora Segre avrà fino all’ultimo dei suoi giorni.

Quella cifra, 75190, era il numero che aveva nel campo di concentramento di Auschwitz. Quella odiosa scritta le è stata fatta quando aveva varcato il cancello del terribile campo polacco dove persero la vita circa 1.1 milioni di persone: chi di stenti, chi di tortura, chi per colpa di esperimenti, chi nelle camere a gas e i cui corpi furono poi bruciati nei forni crematori.

Eh sì, Liliana Segre è una donna ebrea che è riuscita a tornare sana e salva da una delle tragedie più terribili accadute sulla Terra non solo nel XX secolo, ma in tutta la storia dell’umanità: la Shoah, l’Olocausto perpetrato dai nazisti nei confronti dei loro oppositori e tutti coloro che questi additavano come inferiori rispetto alla “loro” razza ariana (ad esempio ebrei, omosessuali, zingari, testimoni di Geova).

Quando fu liberato Auschwitz il 27 gennaio 1945 dalle forze dell’Armata rossa sovietica, Liliana Segre aveva 14 anni ed era senza famiglia. Faceva parte di un gruppo di 776 ragazzi: con lei, si salvarono in venticinque.

Tornata in Italia, si è fatta una propria vita, si è sposata con un altro superstite dei campi di concentramento (internato perché non voleva aderire dalla Repubblica Sociale Italiana), ha avuto tre figli, tre nipoti e non dimenticherà di ciò che ha vissuto ad Auschwitz.

E affinché nessuno si dimentichi di quanto fecero i nazisti verso gli ebrei e tutti quelli che loro (come detto) consideravano inferiori, la signora Segre, da quasi trent’anni, racconta nelle scuole e tiene conferenze dove parla di cosa ha vissuto sulla propria pelle, portando ai più giovani la sua terribile esperienza, raccontando tutte le atrocità vissute (ad esempio, il tatuaggio) e l’inferno delle camere a gas e dei forni crematori cui è riuscita a scampare.

Liliana Segre ha scritto libri in merito, ha girato l’Italia: chi ha partecipato ai suoi racconti è uscito arricchito ma sconcertato per quanto l’uomo è riuscito a fare nei confronti di un altro uomo.

Il 19 gennaio 2018, il Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella, decise di nominare Liliana Segre senatrice a vita. Un ruolo politico di prim’ordine per una donna che ha vissuto raccontando le sue esperienze affinché un giorno quelle vicende non avvengano in futuro.

Eppure in Italia, alcuni nostri connazionali non rispettano la persona di Liliana Segre, quello che ha vissuto e quello che racconta quando testimonia ciò che ha vissuto nel campo di Auschwitz.

Liliana Segre è bersaglio da tempo di diversi haters (odiatori) che la insultano sui social network, il luogo dove da oltre dieci anni molti italiani (ed italiane) riversano il loro malcontento insultando chi non la pensa come loro usando parole violente e di odio.

E in Italia, da qualche anno, ci sono dei rigurgiti (pochi a dire il vero, ma sempre da tenere sott’occhio) di razzismo che si pensava fossero superati. Razzismo e xenofobia spinti da ciò che molti italiani percepiscono guardando la televisione, i giornali e, soprattutto, il web ed una certa politica.

Proprio per questo, Liliana Segre ha proposto una mozione affinché venisse istituita una commissione ad hoc: la “Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza”.

Questa sarà una commissione composta da 25 membri e avrà le stesse funzioni di una qualsiasi commissione parlamentare, vale a dire esaminare proposte di legge e procedere alla loro approvazione.

Ciò che è avvenuto lo scorso 30 ottobre ha lasciato perplessi molti italiani: hanno votato in favore della commissione centocinquantuno senatori, mentre novantotto si sono astenuti. A risultato accertato, il Senato si è alzato in piedi per applaudire, mentre i senatori del centrodestra sono rimasti seduti impassibili.

Questo gesto dei senatori di centrodestra ha alzato una nuvola di polemiche nei loro confronti, incolpandoli di non avere rispetto verso Liliana Segre un’indifferenza silenziosa e pesante.

Liliana Segre non si è capacitata di quello che ha visto e si è anche mortificata, sostenendo che l’idea della creazione della Commissione non avrebbe dovuto distanziare i partiti, ma unirli nella lotta all’odio, alle intolleranze e alle violenze.

Addirittura, la Segre ci è rimasta malissimo quando ha saputo che qualche politico ha sostenuto che questa commissione è una sorta di censura nei confronti del libero pensiero, favorendo il pensiero unico. In pratica, se uno vuole esprimere pensieri o idee razziste e xenofobe può farlo perché è libero di pensarlo e non ci devono essere restrizioni a questo. Va bene la libertà di pensiero, ma il razzismo e la xenofobia non sono idee da divulgare, ma da condannare e basta, punendo chi le afferma e chi istiga ad un clima velenoso.

Con questa Commissione non sono istituiti nuovi reati e non vi sarà un irrigidimento della libertà di espressione.

Non alzarsi dinnanzi alla persona di Liliana Segre (alla persona, non alla politica) è stato un gesto grave e sbagliato, perché un conto è non rispettare un’idea politica diversa dalla propria (che ci potrebbe anche stare), ma il non alzarsi significa non rispettare non solo lei, ma tutti i 6 milioni di morti per mano dei nazisti, di tutti gli italiani di religione ebraica che hanno subito le leggi razziali promosse dal fascismo (e firmate da re Vittorio Emanuele III), le quali sostenevano che “le razze umane esistono”. Le leggi razziali hanno portato all’annullamento della vita di tanti nostri connazionali (molti iscritti al PNF, per giunta) dal 1938 al 1945 che hanno perso il lavoro, non hanno potuto contrarre matrimonio con persone di altra religione, che sono state deportate nei campi e a morire in nome di un concetto di umanità diverso.

Secondo una ricerca dell’Osservatorio sull’antisemitismo, in media la signora Segre riceve almeno 200 messaggi di insulti pesanti al giorno. Ovviamente si scopre l’acqua calda, perché l’insulto verso chi non la pensa uguale ad un’altra persona c’è da sempre, solo che oggi con il web ed i social network, tante persone si arrogano il diritto di esprimere il proprio odio ed il proprio risentimento verso altre persone che loro reputano “non degne”, scrivendo messaggi di insulto in maniera sistematica usando l’anonimato di un account o diffondendo odio tramite whatsapp.

La Segre definisce questi odiatori seriali come persone di cui avere pena e che dovrebbero essere curate. Ed in Europa sono molti i Paesi che devono combattere contro movimenti di estrema destra che hanno nella lotta al diverso il loro credo. Ed il recente caso di Dresda è emblematico: la città tedesca un tempo facente parte della DDR, da tanti anni vive in prima persona la forza di alcuni partiti che si rifanno al nazismo. E nel capoluogo della Sassonia, ogni qualvolta che l’estrema destra scende in piazza per manifestare, non mancano saluti romani e cori razzisti, suscitando scontri con le forze dell’ordine. Il consiglio comunale della città ha votato pochi giorni fa una mozione in cui si dice che a Dresda c’è un’”emergenza nazismo” dovuta a “azioni e […] atteggiamenti antidemocratici, antipluralisti, misantropici e dell’estrema destra, inclusi atti di violenza, [che] stanno accadendo […] con una frequenza sempre maggiore”. E pensare che in Germania l’apologia del nazismo è punita dal codice penale dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Per via indiretta, molti partiti politici italiani, europei ed internazionali devono la loro forza elettorale proprio a leader che sbraitano, urlano e non prendono mai le distanze in maniera totale verso partiti dichiaratamente estremisti. Per non parlare di tanti aficionados che sul web rimpiangono Hitler, Mussolini e le loro ideologie. O addirittura organizzano cene in ricordo della “marcia su Roma” o nelle loro case fanno bella mostra di gagliardetti e manifesti che riportano le lancette della storia indietro nel tempo. Un tempo che si pensava fosse morto e sepolto.

Tornando al voto in favore della nascita della commissione voluta da Liliana Segre, il clima politico italiano si è surriscaldato, con molti che hanno accusato i partiti che si sono astenuti dal voto (e che non si sono alzati per omaggiare la senatrice a vita) come complici della violenze e dell’odio. Critiche rispedite al mittente da questi, ma fatto sta che una cosa che dovrebbe unire tutti (la lotta contro odio, razzismo, antisemitismo, violenza, xenofobia) allontana. E la stessa Segre ha sempre detto che il razzismo non deve essere discusso, ma combattuto.

Eppure in molti casi quello che tanti considerano “diverso” dovrebbe essere usato per arricchirci, migliorarci e confrontarci e non fomentare più odio di quanto non ce ne sia in giro.

La colpa è di qualche politico (in Italia, come in Europa, come nel Mondo) che usa la scusa del “diverso” per prendere voti. Voti che arrivano perché si inculcano nelle persone la paura ed il terrore verso qualcosa che potrebbe destabilizzare lo status quo vigente. E molti politici (o meglio, politicanti) ci sguazzano in questi contesti usando in maniera pregevole i social network, le nuove agorà del Mondo.

E fa specie che proprio Italia e Germania, due Nazioni che hanno vissuto l’esperienza delle dittature fondate sul razzismo e sulla guerra, siano sulla bocca di tutti per gesta razziste e xenofobe compiuti da qualche loro abitante.

Eppure lo studio della storia è importante. E tanto, non solo per prendere un bel voto o per mantenere la media all’università, ma per la propria persona e cultura privata. Perché la storia, come dice un detto latino, è magister vitae: la storia è maestra di vita.

Lo studio della storia è importante perché con essa si capisce la trilogia “chi siamo-cosa vogliamo-dove vogliamo andare”: conoscere la storia, il nostro passato, ci rende più ricchi, consci e responsabili.

La scuola dovrebbe iniettare nei giovani nozioni e far comprendere l’importanza della storia, spiegando nel dettaglio i fatti, le cause e le conseguenze, focalizzandosi sui principali personaggi ed insegnare valori in ricordo dei nostri connazionali che hanno perso la vita.

Peccato che questo compito è svolto a mezzo servizio, visto che in terza media e nell’ultimo anno di superiori è quasi impossibile arrivare allo studio dei giorni nostri. I motivi principali sono la carenza di tempo, spingersi solo alla fine del secondo conflitto mondiale, parlando del successivo dopo guerra con molta leggerezza (sempre che si riesca a superare, come tempistiche, i fatti del biennio 1943-1945).

A detta di molti, la storia non si ripete, ma dobbiamo riflettere sul nostro passato, onde evitare che si possano ripetere errori ed orrori (uno su tutti, l’Olocausto) del passato. E magari togliere (se possibile) tempo ad alcune tematiche storiche e focalizzarsi sulla storia italiana del Novecento, ponendo (giustamente) l’accento su ciò che avvenne in Italia dal 1914 in avanti: se è esistito il fascismo lo si deve ai fatti successivi alla fine della Grande guerra, ad esempio. O ai fatti successi in Germania dal trattato di Versailles (28 giugno 1919) alla nomina di Adolf Hitler a cancelliere (30 gennaio 1933) e alla sua auto-nomina a Fuhrer (2 agosto 1934).

Il problema quindi è: programmi scolastici obsoleti o carenza di tempo? Entrambi i casi.
La colpa è tutta degli insegnanti? Assolutamente no, perché nelle classi gli allievi stanno dalle cinque alle sei ore giornaliere, 30 ore settimanali, 130 ore mensili. Il resto? Ci sono le famiglie, che dovrebbero impartire ai propri figli “lezioni”, con discorsi durante i pasti, durante le vacanze o nei salotti delle proprie case. Perché è nelle famiglie che vengono impartite le nozioni importanti ai figli, anche storiche. E le famiglie devono educare al rispetto, all’amore reciproco e a combattere odio e rivalità.

In Italia non siamo alle prime armi nella lotta all’odio e all’apologia del fascismo grazie a due leggi, la legge Scelba del 25 giugno 1952 e la legge Mancino del 25 giugno 1993: la prima vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” (secondo la XII disposizione transitoria della Costituzione) e introduce il divieto di apologia del fascismo; la seconda punisce chi incita all’odio razziale e all’esposizione pubblica di simboli che richiamano al nazismo e al fascismo.

In questi ultimi tempi troppe volte abbiamo letto/visto di persone che non rinnegano il fascismo, che si radunano in cimiteri salutando con il braccio alzato. Ognuno, per carità, è libero di credere e pensare ciò che meglio crede, ma a tutto c’è un limite, soprattutto se questo è fatto pubblicamente. E solo gli ultimi casi sono stati gli striscioni esposti da alcuni neofascisti nei pressi di piazzale Loreto a Milano prima di una partita di calcio a ridosso del 25 aprile o la notte del 28 aprile nei pressi del Colosseo in ricordo di Mussolini nel giorno della sua morte.

Perché è facile far finta di niente ignorando un problema. E proprio anche grazie alle “spallucce” fatte (non solo in Italia) che alcune forze politiche ci marciano sopra, puntando sul malcontento economico, sociale e politico.

Il fascismo, dal 25 aprile 1945 in poi, fece comprendere agli italiani che il regime aveva portato il Paese alla fame, alla povertà e alla divisione con alle spalle morte e distruzione. Il fascismo aveva usato la falsa propaganda per ingannare gli italiani: molti capirono fin da subito che si trattava di menzogne, altri lo capirono il 25 luglio 1943, altri dopo il 25 aprile 1945. Mentre tanti ancora dicono che “Mussolini ha fatto cose buone e l’unico suo errore è stato quello di allearsi con Hitler”.

Un problema sono anche i social network, che da strumenti di condivisione stanno diventando sempre più un luogo dove molti utenti scrivono inneggiando a momenti della nostra storia molto deprecabili, sperando in un ritorno di esponenti del Ventennio e del nazionalsocialismo o che fomentano odio.

Il fascismo ed il nazismo vanno studiati ed approfonditi leggendo ed istruendosi, non professandoli o idolatrati. Cosi come la storia italiana dal 1922 in avanti: studiata, approfondita, capita, rispettata. E capire che la parola “antifascista” non deve avere per forza connotati politici, ma globali perché l’Italia si basa sull’antifascismo, la Costituzione si basa sull’antifascismo, ognuno di noi deve (o dovrebbe) avere insito in sé l’antifascismo. Perché “antifascismo” è libertà, rispetto, pace, solidarietà, fratellanza. E ovviamente va anche studiato cosa ha portato all’Olocausto.

Nella nostra Costituzione la tolleranza, la libertà, i diritti umani/civili, l’uguaglianza, la giustizia, il rispetto delle regole della convivenza civile sono tutti elementi che definiscono il sedimento storico della democrazia. L’opposto del fascismo. Perché allora questo non viene rispettato e si deve creare una commissione ad hoc?

E’ proprio il nostro Paese (o meglio, una parte) ha dal 26 aprile 1945 ai giorni nostri un problema con il fascismo: incostituzionale e vietata la ricostruzione del Partito, dalla fine della guerra l’Italia non ha chiuso i conti con il suo passato. Ma la colpa non è del “sistema Italia”, la colpa è di chi professa questo “credo”, facendo proselitismi per aver voti, creando confusione e portando allo spasmo l’opinione pubblica gettando benzina su tematiche molto calde.

Ma se in Europa le forze della destra alternativa hanno risultati importanti (dal Front National a Rassemblement National, da Alba dorata ad Alternativa per la Germania a Jobbik, dai Democratici Svedesi ai Veri Finlandesi fino al Partito della Libertà Austriaco, al Partito per la Libertà alla novità spagnola Vox), alle nostre latitudini forze politiche di estrema destra fortunatamente non hanno mai attecchito. Sin dalla fine della guerra si sono creati alcuni gruppi politici nostalgici del fascismo (come i Fasci di Azione Rivoluzionaria ed il Partito Democratico Fascista) e molti altri nati tra gli anni Sessanta e Settanta, ma solo il Movimento Sociale Italiano è stato l’unico ad avere un peso parlamentare, presentandosi sempre alle tornate elettorali politiche ed amministrative già pochi mesi dalla sua fondazione, con risultati altalenanti e polemiche sparse ogni volta che il partito della Fiamma organizzava comizi. Comizi che hanno portato a scontri tra le fazioni opposte al partito di Almirante e le forze di polizia, oltre a rivolte popolari (leggasi i fatti di Genova del 30 giugno 1960 e tutte le proteste accadute nel Paese nelle settimane successive, con la morte di cinque antifascisti morti a Reggio Emilia il 7 luglio successivo).

Alcuni movimenti extraparlamentari sono stati sciolti dal Ministero degli Interni durante gli anni di piombo (Ordine nuovo e Avanguardia nazionale) e tante volte molti oppositori avrebbero voluto che anche il MSI fosse sciolto per tentata ricostruzione del partito fascista, mentre altri sono stati perseguiti negli anni Novanta in base alla legge Mancino (Meridiano zero e Movimento politico) sull’incitamento all’odio razziale.

Il movimento missino con la “svolta di Fiuggi” del 1995 capì che se voleva sopravvivere doveva istituzionalizzarsi sennò sarebbe sparito e così fece con la nascita, il 27 gennaio 1995, di Alleanza Nazionale. E se dal congresso nella città laziale sono nate Alleanza Nazionale ed il post fascismo, si sono anche formati gruppi politici che non hanno mai rinnegato le loro idee fasciste (Movimento Sociale Fiamma tricolore, Forza Nuova, Veneto Fronte Skinhead, Movimento Fascismo e Libertà e il partito dei “fascisti del Terzo millennio”, CasaPound).

Si dice che la storia non possa ripetersi, ma di questo passo qualche problema potrebbe esserci. Per carità non deve mai esistere un pensiero unico, ma è ottimale un pensiero rispettabile anche se non condiviso, anche se in questi ultimi tempi si sta soffiando molto sul fuoco.

Di chi è la colpa allora? Di tutti e di nessuno, perché la storia (ed il suo studio) sono insegnati a tutti, ma sono personali, intimi. E qua entra in campo un’altra parola che, nel nostro contesto, fa rima con “storia”: la memoria.

La memoria quindi è il ricordo di fatti ed eventi che hanno caratterizzato un qualcosa ed i nostri nonni sono (o sono stati), ad esempio, vere memorie storiche: chi più di loro può saperne sulla guerra, visto che in molti hanno combattuto o hanno visto i propri fratelli e parenti andare al fronte e, in alcuni casi, non tornare più a casa?

Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”, asseriva Luis Sepúlveda.

I cittadini devono sapere cosa sono storia e memoria, perché entrambe fanno parte delle nostre origini. Tutto questo per sconfiggere il grande nemico della storia e della memoria, l’oblio.

Per concludere, non ci si deve solo alzare per applaudire e ringraziare ciò che la senatrice Segre sta facendo. Sono da applaudire e meritano una standing ovation tutti coloro che hanno messo anima e corpo nel raccontare (anche con difficoltà personali ed intime) cosa è stata la Shoah e cosa sono stati i campi di concentramento affinché gli orrori che questi hanno vissuto non capitino mai più nella storia dell’umanità e ricordare chi dai treni diretti ai campi di concentramento non è più tornato a casa.

Per Liliana, per noi, per tutti.

immagine in evidenza tratta da news.leonardo.it