di Simone Balocco e Paola Maggiora
Era il 21 febbraio e l’Italia conobbe da vicino un nuovo nemico. Un nemico diverso da come si intende sempre, perché invisibile e letale: il Covid-19. Quel giorno il nostro Paese conobbe la prima vittima di questa “influenza” che era partita a ridosso della fine dell’anno da Wuhan, capoluogo della Provincia di Hubei, in Cina, e che si era diffusa in poche settimane in tutti i territori confinanti: dal Giappone alla Corea del Sud, dalla Corea del Nord alla Thailandia. Fino all’Iran.
Si pensava fosse all’inizio una banale influenza, si pensava che sarebbe durata poco, si pensava che da noi non sarebbe arrivata perché l’Estremo oriente è lontano. Ed invece è arrivata ed è arrivata come un tornado
In Italia abbiamo avuto modo di conoscerlo dal 31 gennaio, quando a Roma erano stati scoperti i primi due casi grazie al ricovero, all’ospedale “Spallanzani”, di due turisti cinesi che avevano manifestato i sintomi del Coronavirus. I due turisti, marito e moglie, provenivano proprio da Wuhan. E la stessa Wuhan era stata soggetta, il 23 gennaio precedente, ad un blocco totale, detto “lock down”.
Il nostro Paese è stato il primo a sospendere i voli da e per la Cina, primo in Europa.
In pochissimi giorni si è passati dalle prime “zone rosse” di Codogno e Vo’ Euganeo all’intera Lombardia e a quattordici province del Centro-Nord (Alessandria, Asti, Novara, Verbania e Vercelli in Piemonte; Padova, Treviso e Venezia in Veneto; Piacenza, Modena, Parma, Reggio Emilia e Rimini in Emilia Romagna; Pesaro Urbino nelle Marche), vale a dire 16 milioni di persone, il 26% della popolazione italiana. I contagi salivano vertiginosamente ed aumentavano di giorno in giorno, come le persone ricoverate nelle terapie intensive degli ospedali ed i decessi.
I sintomi del virus erano “febbre, stanchezza, tosse secca principalmente, ma anche indolenzimento e dolori muscolari, congestione nasale, naso che cola, mal di gola, diarrea, anosmia/iposmia fino alla polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale”, come riporta il sito del Ministero della Salute*.
L’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), in data 11 marzo, dichiara la pandemia: il
Coronavirus era alla stregua della Sars, della “asiatica” e della “spagnola”. Insomma, c’è poco da scherzare.
Il 23 febbraio il governo emana il decreto legge numero 6 che chiudeva i comuni dove c’era un focolaio, sospendendo tutte le attività commerciali e sportive. Da allora, il Premier Conte, con altri otto DPCM, ha via via portato al restringimento di tutto in maniera molto dura su tutto il territorio nazionale affinché si contenesse la diffusione del virus.
Si è poi arrivati alla storica conferenza del Premier Giuseppe Conte la sera del 9 marzo quando tutto il Paese sarebbe diventato un’unica zona rossa, tutti sarebbero dovuti stare a casa salvo uscire per conclamate esigenze lavorative e necessità. Si sono chiuse definitivamente le scuole, le attività commerciali, alcune aziende, gli stadi e gli impianti sportivi, discoteche, teatri e cinema. Abbiamo conosciuto una parola inglese che è entrata nel nostro gergo, lock down, “blocco”, ripresa da ciò che avvenne a Wuhan.
Il lock down è terminato domenica 3 maggio alle ore 23:59, ponendo fine alla cosiddetta “Fase 1”.
Nei 55 giorni di “blocco” per il Paese (70 giorni per gli abitanti di Codogno, Vo’ Euganeo e degli altri undici comuni lodigiani coinvolti), abbiamo visto la chiusura di scuole, università, aziende, cinema, chiese, bar, ristoranti, negozi e l’annullamento di tanti eventi sportivi e non.
A oggi, si contano nel Mondo 3.489.053 contagiati complessivi e 241.559 morti, mentre in Italia si è arrivati a 213.013 contagiati e 29.315 morti. I casi positivi sono attualmente 98.467 mentre i guariti sono 85.231**.
Per Covid-19 è morto lo 0.0034% della popolazione mondiale: un dato basso, grazie al fatto che in tutto il Mondo, da gennaio al 3 maggio, sono state costrette a stare chiuse in casa oltre 2,5 miliardi di persone, una persona su tre nel Mondo.
Volenti o nolenti, questo Coronavirus è entrato a fare parte della nostra quotidianità e ci ha cambiato la vita.
Oggi siamo nella “Fase 2”, ovvero è stata superata la fase critica e l’Italia è nella fase di “convivenza” con il virus: il Covid-19 non è stato debellato, ma da lunedì 4 maggio si può almeno uscire e riprendere gradualmente la vita di tutti i giorni. Fermo restando il prestare attenzione alle distanze sociali, l’indossare sempre le mascherine quando si esce e si sale sui mezzi pubblici e la possibilità di rivedere i nostri congiunti, come la ripresa (scaglionata) degli allenamenti sportivi in base al tipo di attività, fino ad arrivare al 1° giugno quando riapriranno (salvo contrordini) bar, ristoranti e centri estetici. Ma tutto è visto ancora in modo fragile, in quanto si ha paura che se non venissero rispettate tutte le indicazioni date, ci sia il rischio che il numero dei contagi possa aumentare vertiginosamente e rendere vano tutto il percorso fin qui intrapreso.
Il sogno è arrivare al più presto alla “Fase 3”, quella in cui il virus sarà debellato. Si prevedono tempi di attesa molto, ma molto lunghi però e si spera che, durante la “Fase 2”, non ci sia un’impennata di contagi e di ricoveri in terapia intensiva.
Con questo articolo, abbiamo voluto però soffermarci sui momenti che, a nostro parere, hanno caratterizzato la “Fase 1” con le immagini e momenti che rimarranno scolpiti per i prossimi anni.
Codogno e Vo’ Euganeo zone rosse
Fino al 21 febbraio, le cittadine di Codogno (16mila abitanti) e Vo’ Euganeo (3.300 abitanti), nelle Province di Lodi e Padova, erano poco note.
Il primo focolaio del Covid-19 lo si ha avuto il 21 febbraio 2020 proprio a Codogno: in pochissimi giorni, iniziarono ad aumentare contagi ed i decessi.
Purtroppo sono salite agli onori della cronaca perché sono state le prime due cittadine colpite dal Covid-19 e le prime ad essere diventate zone rosse: nessuno poteva entrare o uscire dalle due città e per assicurare questo furono impiegate le forze dell’ordine a controllare le vie di accesso affinché nessuno uscisse o entrasse a Codogno e Vo’ se non per comprovati motivi scritti sull’autocertificazione. Una sorta di check point. Codogno e Vo’ Euganeo, sono diventate zone rosse insieme a dieci comuni limitrofi a Codogno (Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano) per un totale di poco più di 50mila persone coinvolte). Il Lodigiano conta a oggi 3.114 contagiati. Per la popolazione di quella provincia è stato un periodo cupo con un sentore di abbandono da parte di tutti.
Durante il lock down, tanti hanno accusato lo Stato (e la Regione Lombardia) di non aver reso zona rossa anche il territorio compreso tra Alzano Lombardo e Nembro, in Val Seriana, in Provincia di Bergamo, che hanno visto contagiarsi e morire migliaia di persone. Se lo avessero fatto, molte vite si sarebbero salvate come è avvenuto, di conseguenza, con il Lodigiano. Ma con i se e con i ma non si fa mai nulla.
La fuga dal Nord al Sud ed i supermercati presi d’assalto
Una delle scene più incredibili e che rimarranno nelle menti di tutti durante la Fase 1 risale alla sera tra il 7 e l’8 marzo quando tante persone hanno preso d’assalto le stazioni ferroviarie di Milano in cerca di un treno che le portasse a casa. Soprattutto al Sud.
Si precipitarono nelle stazioni tanti studenti e lavoratori con trolley e valigie al seguito che, impauriti dal (si vociferava) blocco totale del Paese, avevano deciso, gioco forza, di tornare a casa, al riparo da tutto presso i loro genitori.
Peccato che queste persone non avevano preso in considerazione il fatto che magari loro stessi fossero affetti (anche solo asintomatici) dal Coronavirus e così facendo avrebbero potuto mettere a repentaglio la salute dei loro parenti, dei loro vicini e dei loro compaesani una volta “scesi” a casa. Questo perché fino a pochi giorni prima, nonostante si consigliava di non uscire di casa ed evitare gli assembramenti, tantissime persone erano state fotografate nella zona della movida milanese sui Navigli attaccante l’una l’altra come un qualsiasi fine settimana.
Non a caso, il Ministero dell’Interno aveva subito rafforzato la presenza delle forze dell’ordine all’ingresso delle banchine delle ferrovie controllando i documenti, i biglietti ferroviari e le autocertificazioni di tutte le persone che volevano salire su un treno. Chi non dimostrava di avere necessità e chi era sprovvisto di biglietti è stato respinto.
Hanno altresì destato scalpore, nei primissimi giorni di contagio, le immagini dei supermercati di tutta Italia, da Nord a Sud, presi d’assalto da migliaia di persone che erano impaurite dalla possibilità che potessero finire le scorte alimentari, mettendo tutti nel panico. Il governo aveva subito stabilito che i supermercati non sarebbero mai stati vuoti in quanto le aziende produttrici di derrate alimentari e gli autotrasportatori non si sarebbero mai fermati e avrebbero sempre rifornito gli scaffali.
Le città deserte
Il Coronavirus ha bloccato tutta l’Italia, non solo lavorativamente. Le città sono diventate spettrali, deserte, vuote. Poche persone in giro. In pratica, sembrava di stare in città durante la settimana centrale di agosto quando tutti sono in vacanza. Peccato che fossimo in primavera e non si poteva uscire per un motivo molto grave: la tutela della nostra salute e di quella degli altri.
C’è stato un nettissimo calo dell’inquinamento che ha portato ad un risveglio della natura: delfini nel golfo di Venezia, caprioli ed anatre con prole per le strade, così come lepri nei parchi cittadini, cinghiali e cigni in luoghi dove fino a quel momento non si erano mai fatti vedere. La natura si è presa una bella rivincita contro l’umanità e anche l’inquinamento è calato vertiginosamente.
Le conferenze di Angelo Borrelli
Angelo Borrelli è, dall’agosto 2017, a capo del Dipartimento della Protezione Civile italiana. Fino allo scoppio della pandemia, erano in pochi a conoscere questo signore di 56 anni nativo della Provincia di Latina. Ma dal 22 febbraio è entrato di prepotenza nella nostra vita con la conferenza stampa quotidiana con cui, aiutato da esperti in ambito sanitario (professor Giovanni Rezza; professor Locatelli; dott. Richeldi; professor Brusaferro; il consulente per l’emergenza Covid-19 in Lombardia Guido Bertolaso; il Commissario straordinario Domenico Arcuri) e la traduttrice in linguaggio LIS per le persone sordomute, riferiva dei dati nelle ultime 24 ore sulla situazione Covid-19.
Borrelli, giorno dopo giorno, ha raccontato a tutti gli italiani il numero delle persone contagiate, le persone ricoverate in terapia intensiva, il numero delle persone decedute citando se questi sono stati in più o in meno rispetto al giorno prima. Ogni volta, Borrelli si interfacciava con i vari esperti spiegando ai cittadini l’evolversi della situazione per filo e per segno.
A partire dal 17 aprile, la conferenza stampa di Borrelli è passata dall’essere quotidiana a due volte a settimana, anche se giornalmente i dati venivano sempre forniti.
Un happening che all’inizio era fondato su numeri mostruosi, ma che poi, piano piano, ha visto, da dopo Pasqua numeri positivi in tutti gli ambiti.
Come se non bastasse, Borrelli, durante il lock down ha dovuto saltare per un certo periodo l’appuntamento perché aveva contratto la febbre e fino a quando non guarì decise, anche per la sicurezza di tutti, di non parteciparvi.
Le mascherine sui visi delle persone
Fino allo scorso gennaio, in base all’immaginario collettivo, indossavano le mascherine poche categorie di persone: medici, chirurghi, infermieri, dentisti, persone reduci da operazioni importanti, lavoratori a contatto con sostanze nocive.
Da febbraio in poi abbiamo visto tante persone comuni uscire con la mascherina, suscitando tanta curiosità e tanta preoccupazione. Da aprile, la quasi totalità delle persone usciva con indosso mascherine e guanti e queste non erano più viste con clamore, ma rispetto.
Dal 4 maggio, indossare le mascherine è diventato obbligatorio se si esce di casa, soprattutto se si sale sui mezzi pubblici e se si è in spazi comuni con più persone.
In questi tre mesi abbiamo scoperto che ci sono in commercio tantissimi tipi di mascherine, ognuna con “compiti” diversi (le mascherine di tipo chirurgico, le mascherine con filtro FFP2 o FFP3). Abbiamo visto farmacie prese d’assalto e farmacie che hanno esposto dalle loro vetrine la scritta “sold out”, esaurite già tra fine febbraio ed inizio marzo. Abbiamo visto aziende riconvertire la loro produzione per produrre le mascherine necessarie al “fabbisogno” italiano. Abbiamo ricevuto milioni di mascherine dall’estero. Abbiamo visto infermieri e dottori indossarle per tante ore e al momento di togliersele queste avevano lasciato dei sogni sui loro visi.
Questi Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) ci faranno compagnia, e ci difenderanno dal virus, per ancora tanti mesi come i liquidi igienizzanti, andati a ruba nelle prime settimane.
L’infermiera dell’ospedale di Cremona che si è addormentata sulla tastiera a fine turno
Elena Pagliarini è una delle migliaia di persone che lavorano nella sanità italiana. La signora è un’infermiera dell’ospedale di Cremona. Un lavoro difficile il suo, duro, ma fatto con il cuore, con il corpo e con la mente perché non si diventa infermieri: infermieri lo si è sin dalla nascita.
La signora Elena è stata ed è tuttora impegnata in prima linea. Ha dovuto fare doppi turni (come tanti), non fare pause (come tanti), non ha potuto tornare a casa (come tanti) alla fine del turno. Ha visto gente entrare in ospedale, essere intubata, entrare in rianimazione e non uscire viva. Un lavoro a volte davvero psicologicamente duro e logorante, ma che viene svolte da tutti con grande passione e devozione.
Domenica 8 marzo, la signora Elena stava per terminare il suo turno e ha fatto una cosa normale per una persona che durante la giornata ha svolto il proprio lavoro al meglio, dando il meglio di sé: si è addormentata con gli abiti da lavoro. Ma non si è addormentata sul letto, sulla sedia o sul divano di casa: si è addormentata in reparto, sulla scrivania, con la testa sulla tastiera del pc. Sfinita, stravolta.
Una dei medici del Pronto Soccorso, la dottoressa Francesca Mangiatordi, l’ha fotografata per dimostrare la sua forza e la sua dolcezza al tempo stesso in un periodo di forza del virus. Quella innocente immagine ha fatto il giro il Mondo, è andata sulla prima pagina di tanti quotidiani ponendo l’accento sull’importanza di una categoria (il personale medico-sanitario) che negli ultimi decenni ha dovuto subire tagli molto importanti, diminuendo il numero di medici ed infermieri nelle corsie e nei reparti e che ora si trovano a lavorare in condizioni estreme in numero ridotto. E non a caso durante i flash mob pomeridiani sui balconi di milioni di italiani, sono stati tanti gli applausi a tutte le Elena Pagliarini e a tutti coloro che lavorano per salvare la vita delle persone negli ospedali in questo momento.
Elena Pagliarini, come se non bastasse, ha anche contratto il Covid-19 cinque giorni dopo lo scatto della fotografia, ma è guarita anche se ha avuto molta paura di non farcela. Ma guai a chiamarla eroina.
I camion dell’Esercito che escono dall’ospedale di Bergamo con all’interno le salme dei morti per il Covid-19
L’immagine più triste della vicenda italiana del Covid-19 è arrivata dall’ospedale “San Giovanni XXIII” di Bergamo, la città italiana più colpita di tutte dalla pandemia. Rimarranno scolpite ad imperatura memoria le immagini (ed i filmati) della colonna di centinaia di camion dell’Esercito che uscivano dal nosocomio bergamasco con a bordo le salme delle vittime del virus per recarsi in alcuni cimiteri del Nord Italia per la cremazione, poiché non potevano essere tumulate nei cimiteri della città e della provincia.
Anche Novara ha “ospitato” diverse cremazioni e hanno causato sgomento i video di questi camion scortati fino all’ingresso del cimitero di Viale Curtatone. Un’immagine epocale e triste allo stesso tempo.
I flash mob sui balconi
I primi giorni di blocco totale sono stati difficili per tutti: si poteva uscire solo per andare a lavorare (se non si poteva farlo in modalità smart working) o per comprovate situazioni di necessità (fare la spesa, andare a trovare un genitore solo, portare il cane a passeggiare, andare a lavorare solo se il proprio lavoro rientrava tra i codici Ateco previsti). Tutto dimostrato da un’autocertificazione firmata e da mostrare alle forze dell’ordine in caso di controllo: la multa va dai 400 ai 5.000 euro con denuncia penale.
E’ dura stare in casa per obbligo, è duro non poter uscire, è duro anche solo non poter scendere di casa e andare al bar a bere un caffé o prendere un aperitivo con gli amici.
E cosa si sono inventati gli italiani? Un classico dell’era social: il flash mob. E’ tendenzialmente un assembramento di persone in uno specifico momento che manifestano per qualcosa. Essendo vietati assembramenti, i flash mob sono fatti singolarmente, ma tutti nello stesso momento sui propri balconi.
Durante le prime giornate di quarantena, alle ore 18, in contemporanea, milioni di italiani si sono trovati sui propri balconi e hanno cominciato a cantare, a mettere la musica ad alto volume, applaudire il personale tecnico-sanitario di tutti gli ospedali, a suonare uno strumento e ad esporre una bandiera del nostro Paese come simbolo di unità in un periodo di crisi. Tutto questo poi postato sui social network e condiviso in maniera massiva da tutti.
Questi flash mob sono stati una gara di creatività, dove ogni italiano ha cercato di rendere il suo flash mob unico, simpatico ed adatto a “sconfiggere” la noia e l’ansia che portava la quarantena.
Nonostante il successo iniziale, questi sono stati via via abbandonati anche perché, nonostante la celebre espressione “#andratuttobene”, i contagi ed i decessi aumentavano vertiginosamente. Ma i tricolori non sono mai stati più tolti dai balconi e sono stati affissi molti cartelli con la scritta “andrò tutto bene”.
Le quattro canzoni in contemporanea su tutte le radio nazionali
Nelle settimane di lock down, la tv e la radio sono state di primaria importanza nelle vite delle persone. Le varie reti hanno cambiato i palinsesti ed alcune programmazioni si sono focalizzate sulle repliche di alcuni programmi, trasmettendo anche film (e saghe) che avrebbero fornito agli italiani un momento di svago.
C’è stata un’impennata nelle iscrizioni a canali di streaming, con molti italiani che hanno rivisto, o visto per la prima volta, diverse serie tv.
Anche le radio hanno contribuito ad alleggerire la pesatezza della quarantena grazie alla musica, vero diversivo anche in tempi non sospetti.
E ciò che la quasi totalità delle radio italiane hanno fatto lo scorso 20 marzo è stato sensazionale: alle ore 11 hanno trasmesso in contemporanea (in fm quanto in streaming) le quattro canzoni italiane più conosciute: il “Canto degli Italiani” (l’inno nazionale), “Azzurro” di Adriano Celentano, “La canzone del sole” di Lucio Battisti e “Nel blu dipinto di blu” (la celebre “Volare”) di Domenico Modugno. Un modo per unire il paese attraverso la musica ed abbracciarsi virtualmente per sconfiggere il Covid-19.
Quel giorno, molti cittadini si sono sintonizzati per ascoltare un evento mai accaduto prima d’allora e hanno ascoltato le quattro canzoni a volume elevato e sul balcone di casa. Si è creato un effetto sonoro incredibile, con le città senza un rumore, ma con la musica in contemporanea.
Il Papa benedice una piazza San Pietro deserta/Il Papa presso la chiesa di San Marcello al Corso
Tutti abbiamo negli occhi due immagini del Papa durante il momento clou del contagio: la benedizione Urbi et orbi di venerdì 27 marzo in una Piazza San Pietro spettrale, vuota e sotto una pioggia battente; la sua camminata in Via del Corso, accompagnato dalla scorta a debita distanza, mentre si stava recando prima presso la basilica di Santa Maria Maggiore per rivolgere una preghiera alla Maria Salus populi Romani e poi presso la chiesa di San Marcello al Corso.
In merito alla benedizione, il Covid-19 ha avuto la sua espansione durante la quaresima e la consueta benedizione papale rivolta al Mondo intero non ha visto la presenza dei fedeli, ma il Santo Padre ha recitato la benedizione da solo davanti a nessuno. Per motivi di sicurezza, il pontefice ha concesso l’indulgenza plenaria, un perdono totale dei peccati commessi.
La mattina del 15 marzo, lo stesso Bergoglio si recò da solo, in una Via del Corso deserta, presso la chiesa di San Marcello al Corso dove è posto il crocifisso miracoloso che nel 1522 fu portato in processione per i quartieri della città durante la peste e che poco dopo fu debellata.
Il Pontefice ha pregato affinché terminasse la pandemia e nelle settimane seguenti ha invitato i fedeli a rispettare le indicazioni dei governi.
La commozione di Giuseppe Conte ad “Accordi&disaccordi”
“Accordi e disaccordi” è un programma che va in onda sul Canale 9 ogni venerdì in seconda serata. E’ condotto dai giornalisti Andrea Scanzi e Luca Sommi, con la partecipazione di Marco Travaglio. Ogni puntata vede la presenza di almeno un ospite.
Il programma dura circa un’ora, tratta e discute fatti politici in Italia accaduti durante la settimana. Va da sé che da fine febbraio nella trasmissione si parla solo ed esclusivamente di Coronavirus, contagi, “Fase 1” e “Fase 2”, vaccini e restrizioni.
Ha suscitato particolare interesse la puntata del 1 aprile, in cui fu ospite del programma (con Sommi in studio e Scanzi da un’altra parte) il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
L’intervista, durata circa 45 minuti, ha trattato temi inerenti la pandemia con il Premier che rispondeva alle domande poste dai due giornalisti.
In chiusura della trasmissione, è avvenuto un qualcosa di molto emozionante: Scanzi chiese a Conte quale sia stato per lui, fino a quel momento, il giorno più difficile dall’inizio della pandemia e se avesse avuto paura di non superare il periodo da fine febbraio ad inizio marzo. Giuseppe Conte rispose:
“…iniziare a vedere la lista dei decessi: quando ho dovuto confrontarmi con i primi decessi, abbiamo toccato con mano una ferita che si sarebbe aperta sempre più”.
Nel dire questa ultima frase, si notò in Conte un cambiamento della mimica facciale e della voce: si fece rosso in volto, gli occhi gli si inumidirono, la voce si ruppe e si notò la sua piena emozione. Un fatto molto umano.
L’arrivo di medici ed infermieri da Paesi anche extra-europei in aiuto dell’Italia
Quando si è dinnanzi ad una pandemia, ad una tragedia sanitaria, si usano tutti i mezzi a propria disposizione: tutti i medici arruolati, tutti gli infermieri arruolati, tutti gli operatori socio-sanitari arruolati. Tutti devono dare il meglio di sé per aiutare i ricoverati e chi sta male.
Solo che dinnanzi a questa situazione, il personale sanitario italiano non è stato abbastanza numeroso per reggere alla forza d’urto del Covid-19 e, come detto, il personale ha dovuto fare gli straordinari degli straordinari, arrancando perché negli anni passati sono stati fatti dei tagli alla sanità sul territorio nazionale che hanno messo in ginocchio il sistema sanitario.
Per questa ragione l’Italia ha dovuto “importare” personale dall’estero in supporto a quello già in essere ed abbiamo visto atterrare negli aeroporti italiani, a metà marzo, medici cubani, russi, albanesi, polacchi, rumeni, ucraini, russi e norvegesi, mentre la Cina ha fornito l’Italia di milioni di mascherine. Altri Paesi extra-europei ci hanno fornito, oltre a mascherine, anche molti strumenti utili alla cura del virus come i ventilatori polmonari. Tutti questi si sono rimboccati le maniche per venirci in soccorso, anche grazie al fatto che nei loro Paesi la situazione era sotto controllo.
Hanno destato stupore ed ammirazione le parole del premier albanese Edi Rama che disse “…laggiù è oramai casa nostra da quando l’Italia e le nostre sorelle e fratelli italiani ci hanno salvati, ospitati e adottati in casa loro quando l’Albania versava in dolori immensi”. Disse queste parole ricordandosi quando, nei primi anni Novanta, l’Italia aveva accolto i migliaia di profughi albanesi che scappavano dal loro Paese in cerca di fortuna in Italia.
Noi italiani abbiamo apprezzato moltissimo questi medici ed infermieri che hanno lasciato il loro Paese per venire ad aiutare i colleghi italiani ed il nostro Paese, tra i più colpiti dal virus. Come del resto dobbiamo essere grati verso tutti coloro che, benché non siano italiani, hanno avuto modo di esporre dai loro balconi bandiere italiane o hanno colorato i grattacieli con il verde-bianco-rosso nazionale. Segno che nonostante viviamo in un’epoca 2.0 mordi e fuggi c’è chi ci ha pensato e ci ha espresso tutto il suo bene: da Burj Khalifa di Dubai (il grattacielo più alto del Mondo) alle cascate del Niagara, dal ponte ricostruito a Mostar alla Tokyo Tower, dal Cristo redentore di Rio al Cervino lato svizzero, dall’Azerbaijan a Gerusalemme.
Per non parlare, in Italia, della Lanterna di Genova, la Costiera amalfitana ed una facciata del “Pirellone” di Milano con la scritta “Restate a casa” mediante le luci accese degli uffici.
Il prezzo del petrolio “sotto zero”
Il 20 aprile 2020 è diventato un giorno importante per la storia dell’umanità. Quel giorno è successa una cosa che dire “epocale” è un vezzeggiativo: il prezzo del petrolio al barile (quotazione WTI, il petrolio americano/texano per intenderci) con consegna a maggio è sceso sotto gli zero dollari, arrivando a costare $ -37,63, crollando del 305% rispetto al prezzo di apertura. Per la prima volta nella storia delle quotazioni, il prezzo del barile (158,99 litri) è andato in negativo, gettando nel panico le borse di tutto il Mondo che hanno chiuso i loro indici con forti ribassi.
Questo fatto storico è legato indissolubilmente al Covid-19: da marzo, il prezzo del greggio è diminuito sempre di più giorno per giorno, passando dai circa 60 dollari di inizio pandemia fino al giorno in cui il valore dell”oro nero” è stato addirittura inferiore ad una bottiglia d’acqua.
Questo è stato dovuto al fatto che la domanda è crollata per colpa del virus, nonostante i Paesi produttori abbiano optato per un taglio della produzione. E il fatto che il calo del prezzo del greggio coincida anche con una diminuzione del prezzo del carburante alla pompa (dal prezzo in media di € 1.50 ad inizio pandemia agli attuali € 1,30 del 4 maggio)
€ 1,49 ad inizio marzo, € 1,29 il 23 aprile, € 1,28 il 4 maggio) non è una cosa positiva, perché significa che stiamo vivendo tempi duri dal punto di vista economico e che non c’è da cantare se ora il prezzo della benzina calerà.
Ieri il WTI ha chiuso a $ 24,44 dollari mentre il Brent (petrolio del Mare del Nord) a $ 30,56. Questo stesso indice il 20 aprile aveva chiuso intorno ai 26 dollari, un prezzo che non si vedeva così basso da almeno vent’anni.
Il boom delle spese online
In questo periodo di lock down si è assistito alla esplosione degli ordini online, soprattutto in ambito alimentare.
Se fino a febbraio il mercato dell’online era predominato da ordini su Amazon, E-bay e simili, da marzo si è vissuto il boom della spesa alimentare online, prima forse un po’ snobbata. Si è diventati fan della “spesa a casa” e dell’”ordina e ritira” direttamente presso il punto vendita. Questo ha comportato un sovraccarico sui siti web dei supermercati che inizialmente hanno retto il colpo con difficoltà. In pochissime settimane la spesa online, prima quasi immediata, è diventata impossibile, con tempi di attesa che hanno portato molti a desistere e continuare (o tornare) ad andare fisicamente nei reparti dei vari supermercati, creando file incredibili sin da prima dell’orario di apertura.
Lo sport a porte chiuse. Il caos nel calcio
Lo sport, a qualsiasi livello, in Italia e non solo, ha dovuto fare i conti salati con il Covid-19: tutte le attività si sono fermate a livello professionistico e sono stati annullati e rinviati Gran premi di Formula 1 e di motociclismo, è stato annullato il torneo tennistico di Wimbledon, rinviato il Roland Garros, sono state annullate le “classiche” del ciclismo e rinviato il Giro d’Italia (ed in base al nuovo calendario dell’UCI, le corse riprenderanno ad agosto per terminare ad ottobre con alcune gare che coincideranno con i Giri), è stato spostato di un anno l’Europeo “itinerante” di calcio, si sono concluse anzitempo le stagioni di pallavolo, pallacanestro ed il rugby è stato il primo campionato a fermarsi. E gli sport che hanno continuato ad essere operativi nonostante il contagio (le partite di Coppa Davis, i Mondiali di biathlon e lo sci alpino, ad esempio) hanno dovuto fare i conti con l’assenza di pubblico. Una cosa mai vista prima.
Tutto poi si è fermato definitivamente e da lunedì 4 maggio sono ricominciati gli allenamenti per gli sport individuali (il nuoto), mentre quelli collettivi (il calcio) dovranno attendere il 18 maggio anche se in questi giorni alcune squadre hanno ripreso ad allenarsi ma a livello “singolo”. Per non parlare del fatto che non si sa ancora se il calcio italiano continuerà fino al (pronosticato) 2 agosto o si fermerà tutto e si riprenderà da settembre.
L’ultima partita giocata in Serie A è stata Sassuolo-Brescia, la sera del 9 marzo, con vittoria neroverde 3-0 con il foglio con la scritta “Andrà tutto bene state a casa” mostrato da Caputo dopo il primo dei suoi due gol.
La Uefa vuole che le coppe europee arrivino alla conclusione assegnando i trofei: si è parlato di giocare partite secche o una specie di final eight con conclusione anche a Ferragossto.
Avevano destato scalpore le immagini della vittoria dell’Atalanta a Valencia in un “Mestalla” chiuso al pubblico, ma con tremila tifosi valenciani fuori dall’impianto intenti a tifare la squadra durante la festa cittadina delle Fallas o quelle dei tremila tifosi dell’Atletico Madrid ad Anfield Road durante il match contro il Liverpool. Molti esperti dicono che il match di andata tra Atalanta e Valencia e tra i colchoneros e i Reds siano state tra le cause del diffondersi del Covid19 a Bergamo e a Madrid.
Non si sono fermati il campionato bielorusso e quello del Nicaragua, con i giocatori in campo con guanti e mascherine.
Domani riprenderà il campionato delle Isole Far Oer, con alcuni divieti in base ad un rigido protocollo di sicurezza: divieto per i calciatori di sputare a terra, pulirsi o soffiarsi il naso ed il pallone sarà disinfettato ogni volta.
In Italia c’è ancora tanta incertezza: da una parte squadre di Serie A che vorrebbero riprendere, altre che vorrebbero lo stop definitivo e altre neutrali (ovvero che non si sono mai espresse).
Tre campionati europei si sono fermati: Belgio, Olanda e Francia con Club Bruges campione di Jupiler League (nonostante la fase play off da disputare), nessun campione in Eredivisie ed il Paris Saint Germain che si aggiudica il suo settimo titolo nazionale nelle ultime otto stagioni.
Il rinvio delle Olimpiadi di Tokyo 2020
Le Olimpiadi estive sono l’evento sportivo più famoso e seguito al Mondo: ogni quattro anni, tutti gli occhi sono rivolti verso la città che le ospita e che vede migliaia di atleti gareggiare, cercare la cosiddetta gloria olimpica e vincere la medaglia d’oro nelle 49 discipline in gara.
Il 2020 è anno olimpico e l’edizione numero XXXII si sarebbe dovuta disputare dal 24 luglio all’8 agosto a Tokyo, in Giappone. Per la seconda volta nella storia, dopo l’edizione del 1964, la capitale nipponica avrebbe dovuto ospitare la kermesse. “Avrebbe dovuto”, perché il Covid-19 ha indotto il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, a rinviarle al prossimo anno, non ci sarebbe stata sicurezza nella tutela degli atleti e perché in Giappone il Coronavirus è ancora problematico. Inoltre molte Nazionali non avrebbero inviato in Giappone i loro atleti, rendendo “monca” l’edizione (anche se in passato ci sono stati dei boicottaggi da parte di alcune Nazioni, ma in altri contesti).
Il CIO, capitanato dal tedesco Thomas Bach, di concerto con il Premier giapponese Shinzo Abe, il ministro dello sport nipponico Seiko Hashimoto ed il leader del comitato organizzatore Yoshiro Mori, ha deciso di non annullarle, ma di rinviarle al 2021. Il prossimo anno, per la prima volta nella storia, le Olimpiadi estive si terranno in un anno dispari e si disputeranno dal 23 luglio all’8 agosto 2021, giusto 365 giorni dopo. Nonostante saranno nel 2021, i Giochi si chiameranno ugualmente “Tokyo 2020”.
In passato le Olimpiadi non sono mai slittate, ma in tre casi non si sono disputate: la VI edizione (Berlino 1916), la XII e la XIII edizione, che si sarebbero dovute disputare a Tokyo e a Londra nel 1940 e nel 1944. Si tornò alla normalità con l’edizione di Londra 1948 (XIV edizione).
Lo slittamento prevederà grossissime perdite economiche ed il rinvio di molte manifestazioni sportive il prossimo anno a causa dello spostamento. Ma dinnanzi ad una pandemia che nel Mondo ha causato a oggi 241.559 morti, fermarsi è stato sensato e doveroso.
Sergio Mattarella da solo a rendere omaggio all’Altare della Patria il 25 aprile
Il 25 aprile è la festa civile più importante del nostro Paese. Più del 1° maggio e del 2 giugno. Si festeggia ciò che successe in Italia il 25 aprile 1945: la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e la fine della guerra. Quel giorno non è stato propriamente la fine della guerra perché, in base alla resa di Caserta del 29 maggio 1945, la guerra terminò il 2 maggio, ma è la data che convenzionalmente è scelta per ricordare la Liberazione. La Festa entrò ufficialmente in vigore nel 1949 con la legge 269, ma festeggiata ufficiosamente anche nel 1946, nel 1947 e nel 1948.
A differenza delle festività del 2 giugno e del 4 novembre, la festa del 25 aprile si è mantenuta costante nel tempo, mentre le altre due non sono state sempre celebrate: la festa del 4 novembre (festa delle forze armate in ricordo della vittoria della Prima guerra mondiale) è stato giorno festivo fino al 1976, mentre la Festa della Repubblica è stata reintrodotta nel 2001 dopo che è stato giorno festivo fino dal 1947 al 1977.
Ogni 25 aprile, in tutte le città italiane, si tengono manifestazioni in ricordo della Liberazione: dalle orazioni delle Associazioni partigiane in luoghi simbolici alla deposizione di fiori in luoghi dove ci sono state delle fucilazioni o dove ci sono monumenti in ricordo delle vittime. E le manifestazioni sono sentite ancora di più nelle città premiate con la medaglia d’oro al valore civile in onore della loro lotta per il ritorno della pace e della democrazia.
Quest’anno a causa della pandemia del Covid-19, la ricorrenza del 25 aprile ha avuto degli sconvolgimenti: non ci sono state le consuete manifestazioni di piazza, ma a deporre le corone di fiori davanti ai sacrari o alle lapide in ricordo delle vittime ci hanno pensato solo i sindaci e qualche altre carica istituzionale. Tutti a distanza di sicurezza, tutti indossando la mascherina.
Sui balconi delle abitazioni nella settimana che portava alla ricorrenza, tanti italiani si erano accordati (anche grazie ad un’idea dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di affiggere una bandiera italiana e far sentire a forte volume “Bella ciao!” in contemporanea così da festeggiare tutti nello stesso momento.
Come di consueto, ogni 25 aprile, presso il Vittoriano (l’Altare della Patria), a Roma, il Presidente della Repubblica si reca a rendere omaggio al Milite ignoto. E lo fa accompagnato dalle cariche più alte dello Stato.
Quest’anno l’omaggio del Capo dello Stato è stato fatto in una maniera surreale: niente pubblico in piazza Venezia, niente parata, nessuna carica istituzionale insieme a lui.
Mattarella è giunto ai piedi della scalinata dell’Altare della Patria accompagnato dalla macchina di servizio ed una volta sceso ha indossato di protocollo la mascherina che aveva nella tasca interna della giacca e si è recato a rendere omaggio al Milite ignoto dove nei pressi c’erano due corazzieri anche loro a distanza di sicurezza e con indosso la mascherina. Nel mentre, nel silenzio di una Roma vuota, è stato suonato il Silenzio. Il Capo dello Stato si è tolto la mascherina arrivato nei pressi della corona di fiori.
Finito l’omaggio, Mattarella ha fatto il percorso inverso con indosso ancora la mascherina.
L’immagine dell’omaggio di Mattarella ha fatto il giro dei social e ha suscitato molto clamore.
Finito il tutto, Mattarella è tornato al Quirinale, rinunciando alla sua visita in Toscana dove avrebbe reso omaggio ad una terra che, nella fase finale della Seconda guerra mondiale, ha visto diversi eccidi.
** dati tratti in data 5 maggio dal sito del Ministero della Salute
foto in evidenza tratta da www.leggo.it