Cure mediche e consenso informato: le responsabilità dei soggetti.

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di Antonio Costa Barbè
La problematica del consenso informato del paziente costituisce una delle questioni più delicate nel rapporto tra medico e ammalato sia sul piano della relazione professionale sia su quello di possibili ricadute in caso di controversie, anche giudiziarie, in caso di esito infausto delle cure.
Non vi sono particolari difficoltà quando si tratti di paziente capace di intendere e di volere, cioè in grado di comprendere adeguatamente le informazioni da parte del medico sulla sua patologia e sul trattamento, clinico o chirurgico, necessario. In questi casi il paziente deve essere adeguatamente informato dal medico e l’effettuazione della terapia, ivi compresi accertamenti diagnostici, presuppone che il malato abbia prestato il suo consapevole e volontario consenso.
Le difficoltà possono insorgere, nella pratica anche quotidiana, quando si tratti di malato incapace, cioè non in grado di comprendere le notizie sulla sua malattia e sulla terapia da praticare, e quindi non in grado neppure di esprimere al riguardo un valido consenso.
La legge italiana ha  introdotto anche la figura, accanto a quella tradizionale del tutore, del cosiddetto amministratore di sostegno, chiamato a curare essenzialmente gli interessi patrimoniali di una persona che non è in grado di provvedervi adeguatamente per conto proprio.
Il Tribunale di Torino ha più volte ribadito che, in caso di intervento medico su un paziente pure munito di amministrazione di sostegno, il consenso dell’amministratore di sostegno non è sufficiente. Occorre sempre e comunque attivare la nomina di un tutore ( o di un curatore speciale) il quale abbia la potestà di esprimere il consenso in nome e per conto del paziente incapace di intendere e di volere.
Ovviamente, la necessità di un previo consenso da parte del legale rappresentante non è richiesta tutte le volte in cui l’intervento medico sia necessario per fronteggiare un pericolo di vita o comunque un rischio grave per la salute del paziente incapace.
In tale evenienza il medico deve procedere senza ritardo agli interventi necessari in vista della cura indispensabile, anche a prescindere della previa informazione e dal previo consenso da parte di chi ha la rappresentanza legale dell’anziano dichiarato interdetto. Questa conclusione si fonda su precise disposizioni di legge, e in particolare sugli articoli 51 e 54 del codice penale, i quali prevedono che comportamenti in teoria non consentiti – come per l’appunto un trattamento terapeutico privo di previo consenso – sono legittimi in ossequio al principio dell’adempimento di un dovere da parte del medico a curare un malato in pericolo di vita o grave rischio per la propria salute, e del cosiddetto stato di necessità. Tale regola è riaffermata dall’art. 37 del codice di deontologia medica secondo il quale, se vi è pericolo di vita o grave rischio per la salute del paziente incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili. 
Il problema e’ più complesso quando l’anziano e’ affetto da patologie che comportano una sua incapacità di intendere e di volere, ma che è privo di un legale rappresentante, non essendo stato dichiarato interdetto dal tribunale. È una situazione molto frequente, che i medici, soprattutto i geriatri, ben conoscono, e che riguarda ad esempio i malati di Alzheimer o altre forme di demenza.
Non paiono essere al riguardo nella legge disposizioni specifiche che regolino l’acquisizione del consenso in queste situazioni.
Di fatto è invalsa la prassi di informare i famigliari dell’anziano e di ottenere da loro il consenso al trattamento medico ritenuto necessario.
Va però detto con estrema chiarezza che dal punto di vista legale il consenso da parte di un famigliare non ha valore giuridico, e quindi in caso di esito infausto del trattamento medico il sanitario non può invocare come motivo di legittimità del proprio intervento il fatto di aver informato il coniuge o il figlio o altri parenti dell’anziano incapace e di aver ottenuto da uno di costoro il consenso al trattamento terapeutico. 
Per orientare, allora, il medico in questi casi, occorre fissare alcuni principi fondamentali:
-se il trattamento medico, inteso in senso lato, è necessario per salvaguardare la vita del paziente incapace e non interdetto, il medico è legittimato, anzi è obbligato, a procedere a prescindere da qualsiasi previo consenso. La legittimità del suo intervento è garantita dalle norme prima richiamate del codice penale (art. 51 e 54) e del codice deontologico.
-quando si tratti, invece, di interventi medici “importanti” come ad esempio un intervento chirurgico per la riduzione della frattura di un femore o similari; per l’installazione di una protesi o di un apparato che consenta l’alimentazione artificiale del paziente, il medico curante (o la direzione della struttura sanitaria nella quale il paziente è ricoverato) deve rivolgersi al competente giudice tutelare del tribunale affinché si provveda all’urgente nomina di un tutore, al quale poi il medico (o la direzione sanitaria competente) chiederà il consenso all’intervento, necessario ma non caratterizzato da una urgenza salvavita. Sempre presso il Tribunale di Torino è attivato un sistema di nomina, in questi casi, molto rapida di un tutore in maniera tale da evitare che trascorra un eccessivo lasso di tempo controindicato ai fini di un adeguato intervento terapeutico.
Vi è infine l’ultima ipotesi, forse la più frequente nella prassi quotidiana ma anche la più difficile da risolvere sul piano giuridico proprio per la mancanza di una specifica regolamentazione ad hoc. Si tratta di quei trattamenti sanitari “normali”, quando cioè il medico deve prescrivere accertamenti diagnostici ordinari o trattamenti terapeutici per fronteggiare le patologie dell’anziano incapace di intender e di volere ma non munito di un tutore. Dal punto di vista pratico parrebbe una “assurdità” esigere che venisse attivata ogni volta la procedura per la nomina di un tutore previa dichiarazione di interdizione dell’anziano incapace. I numeri di tali procedure sarebbero del tutto ingestibili da parte del tribunale, anche a voler prescindere dalle difficoltà burocratiche nelle quali il medico si verrebbe a trovare con frequenza quasi giornaliera, per attivare la nomina di un tutore/curatore speciale. Per cercare di risolvere il problema in modo ragionevole e sensato si dovra’ partire dall’articolo 32 del codice di deontologia, secondo il quale il medico deve adoperarsi affinché all’anziano siano garantite qualità e dignità di vita, ponendo particolare attenzione alla tutela dei diritti degli assistiti non autosufficienti, qualora vi sia incapacità manifesta di intendere e volere ancorché non legalmente dichiarata.