Elezioni politiche del 4 marzo 2018: un vademecum

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by Simone Balocco

 

Fra dieci giorni, domenica 4 marzo, tra le ore 7 e le ore 23, saremo chiamati alle urne per eleggere i senatori ed i deputati che andranno a comporre la XVIII legislatura repubblicana. La prima riunione del nuovo Parlamento si terrà venerdì 23 marzo ed inizierà ufficialmente il nuovo quinquennio parlamentare. In base all’articolo 61 della Costituzione, dal giorno dello scioglimento delle Camere (lo scorso 28 dicembre 2017), le elezioni politiche devono indirsi entro settanta giorni.

Questa ultima legislatura, iniziata il 15 marzo 2013, ha avuto tre governi a guida PD: Enrico Letta (aprile 2013-febbraio 2014), Matteo Renzi (febbraio 2014–dicembre 2016) e Paolo Gentiloni, dal 12 dicembre fino al passaggio di consegne (il famoso “suono della campanella”) con il nuovo Premier. I Presidenti delle Camere sono stati Piero Grasso e Laura Boldrini, esponenti del Partito democratico e Sinistra Ecologia Libertà. La Boldrini è stata la terza donna ad occupare lo scranno più alto di Montecitorio, dopo Nilde Iotti (1979-1992, tre legislatura consecutive) ed Irene Pivetti (1994-1996, una legislatura).

In base alla Costituzione, una legislatura (il periodo di tempo tra un’elezione politica e l’altra con la presenza di una maggioranza parlamentare) dura cinque anni, ma può durare meno se il Governo in carica non ha la fiducia del Parlamento (Camera e Senato).

In base all’articolo 48 della Costituzione, il voto espresso da ogni cittadino italiano (senza nessuna distinzione) è un diritto ed un dovere civico. Il voto è espresso in modo libero (nessuno è obbligato a votare e nessuno deve votare sotto coercizione), segreto (l’elettore non è tenuto a dire cosa abbia votato), anonimo (sulla scheda elettorale non si riesce a risalire a chi abbia votato poiché il voto è espresso con una croce) ma, sopratutto, è un diritto inviolabile, un diritto che non può essere tolto a nessuno in quanto esseri umani.

Il suffragio universale è stato introdotto nel nostro Paese dopo la fine della Seconda guerra mondiale e reso operativo con le prime elezioni amministrative della primavera 1946, anche se la prima volta in cui votarono contemporaneamente tutti gli italiani fu durante il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sulla scelta della forma di governo tra monarchia e repubblica e l’elezione dell’Assemblea costituente per redigere la Costituzione. Allora, e fino al 1975, la maggiore età era di 21 anni, poi si è abbassata a diciotto anni.

Giusto per parlare un po’ di storia, tra il 1861 ed il 1913, nell’allora Regno d’Italia, potevano votare solo gli uomini, ma non tutti perché il voto era ristretto a pochi milioni di persone, vale a dire solo a quelli di una certa età (25 anni fino al 1882, 21 fino al 1912), un certo livello di istruzione e il pagamento di una certa quota di tasse (40 lire fino al 1882, 20 fino al 1912).

Nel 1912, per le “politiche” dell’anno successivo, l’allora governo Giolitti abolì tutte le restrizioni e diede il diritto di voto a tutti i maschi di almeno 21 anni di età.

Domenica 4 marzo i due rami del Parlamento da eleggere sono il Senato (315 rappresentanti, esclusi i Senatori a vita), e la Camera dei Deputati (630 rappresentanti). E’ diversa la modalità di elezione (elettorato attivo-elettorato passivo): per la Camera alta, l’elettrice/elettore dovrà aver compiuto 25 anni il giorno del voto (art. 58 della Costituzione), per la Camera bassa può votare chiunque avrà compiuto almeno il 18° anno di età (articolo 57 Costituzione) il giorno delle elezioni; i candidati alle due Camere dovranno almeno quaranta e venticinque anni (rispettivamente articoli 58 e 57).

Sono esclusi dal “rinnovo elettorale” i sei Senatori a vita attualmente in carica: l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (già Senatore a vita prima di diventare Capo dello Stato), Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano, Carlo Rubbia e l’ultima nominata, Liliana Segre.

Domenica 4 marzo, per votare, l’elettore dovrà recarsi nel suo seggio di riferimento e per accedere alla cabina dovrà presentare un documento di identità in corso di validità (carta di identità, patente di guida, passaporto) e la tessera elettorale. In caso di smarrimento o riempimento degli spazi per i timbri della tessera elettorale, nel week end elettorale, il cittadino-elettore dovrà recarsi nel municipio del proprio comune di residenza e chiederne, gratuitamente, il duplicato.

Domenica, inoltre, gli abitanti delle Regioni Lombardia e Lazio riceveranno una scheda elettorale in più, poiché dovranno eleggere i rappresentanti per il rinnovo dei Consigli regionali ed il Presidente della Giunta. Per motivi di accorpamento (quindi anche di risparmio per le casse statali) domenica 4 marzo sarà un election day. Per lo scrutinio di queste due Regioni, le urne saranno aperte lunedì 5 marzo a partire dalle ore 14.

A oggi la campagna elettorale è nel vivo: per “campagna elettorale” si intende il periodo in cui ogni partito e/o coalizione ha i suoi spazi sui giornali e sui media per convincere gli elettori a votarlo/a o fare conoscere il proprio programma elettorale.

Si sente parlare di par condicio: dal latino “parità di condizione”, questa espressione significa che nei mass media (giornali, radio, tv), fino all’ultimo giorno di campagna elettorale (venerdì 2 marzo alle ore 23:59), tutti i partiti politici avranno il medesimo spazio e la medesima visibilità.

Dalla mezzanotte di venerdì 16 febbraio è sospesa la diffusione dei sondaggi elettorale per non influenzare l’elettorato.

Sabato 3 marzo, dalla mezzanotte fino alle 23:59, entrerà in vigore il “silenzio elettorale”: un intero giorno di riflessione con il divieto di parlare di politica sui media affinché il singolo elettore, dopo la campagna elettorale, possa concentrarsi sul partito e sul candidato da votare senza ulteriori influenze. Lo stesso giorno si allestiranno i seggi elettorali nelle scuole.

Come si eleggono i parlamentari? In maniera molto semplice: con due schede, una per ciascuna camera (gialla per il Senato, rosa per la Camera).

In queste elezioni debutterà la nuova legge elettorale, la legge 3 novembre 2017 numero 165 detta Rosatellum bis, dal nome del suo “inventore”, il deputato del Partito democratico Ettore Rosato. Questa legge sarebbe un bis, avendo avuto delle modifiche rispetto alla prima versione. Questa legge elettorale, approvata lo scorso 26 ottobre (dopo ben otto voti di fiducia tra le due Camere), sostituirà altre due leggi elettorali dal nome latino, Italicum (per la Camera) e Consultellum (per il Senato), ovvero la “Calderoli modifica”, il noto Porcellum. In base all’esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, queste ultime due leggi elettorali non saranno utilizzabili. La Costituzione non fa riferimento a quale debba essere la legge elettorale da utilizzare quindi c’è ampio margine di manovra. Il Rosatellum è stato promulgato il 3 novembre 2017, il testo è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale l’11 novembre successivo e la legge elettorale è entrata in vigore il giorno dopo.

Hanno votato in favore di questa legge elettorale Partito democratico, Forza Italia, Lega e Alternativa popolare (il partito di Angelino Alfano, attuale ministro degli Affari esteri), mentre hanno votato contro il Movimento 5 Stelle, Sinistra italiana e i due partiti nati dai fuori usciti del Partito democratico, Possibile e Articolo 1.

Questa nuova legge elettorale ha spaccato i vari partiti: il Partito democratico la voleva “50&50”, metà uninominale e metà proporzionale, ma ha dovuto cambiarla per avere il voto favorevole delle opposizioni. Ed il partito del Nazareno ha paura che il nuovo soggetto politico dell’ex Presidente del Senato Grasso, Liberi e Uguali, possa togliere tanti voti ai Dem, non essendosi alleato con loro.

Il centrodestra ha preferito la “diversità” percentuale in favore del maggioritario, anche per avere i voti della Lega. E proprio il Carroccio sa che sul maggioritario potrà contare su molti voti a dispetto del proporzionale, a scapito di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia.

Il Movimento Cinque Stelle invece voleva una ripartizione 100% proporzionale per due motivi: il partito guidato (come “capo politico”) da Luigi di Maio era dato da tempo in testa ai sondaggi, ma il fatto di essere un partito recente e senza uno “zoccolo duro” elettorale (come hanno, ad esempio, il Partito democratico nelle “Regione rosse” o la Lega tra Lombardia e Veneto), potrebbe dargli dei problemi a livello uninominale.

I deputati e senatori saranno eletti con le stesse percentuali: 37% con voto maggioritario uninominale, 2% con voto degli italiani residenti all’estero e 61% tramite collegi plurinominali con il sistema proporzionale. Saranno eletti di conseguenza 232, 12 e 386 deputati; 116, 6 e 193 senatori. Il Rosatellum, come si può intuire, è una legge elettorale mista, prevedendo una quota maggioritario ed una proporzionale. Nei collegi uninominali e in quelli plurinominali è vietata la ripartizione di genere superiore al 60% dei candidati, sia su base nazionale (Camera) sia regionale (Senato).

Il Rosatellum prevede la costituzioni di coalizioni, vale a dire insiemi di partiti che si uniscono per scopi elettorali per avere un vantaggio. Ovviamente non è obbligatorio legarsi a coalizioni: il Movimento Cinque Stelle ha stabilito che parteciperà da solo a questa tornata e anche a livello locale attuerà da sempre questa “tecnica”.

Non è ammesso il voto di preferenza: non è possibile scrivere nomi sulle schede elettorali pena nullità del voto. Per i collegi plurinominali, i candidati saranno eletti in base all’ordine prefissato al momento della presentazione delle liste (listino bloccato). Si può parlare di “voto disgiunto” (molto tra virgolette) quando l’elettore può votare “come alternativa” per il proporzionale un partito diverso rispetto a quello da cui proviene il candidato, sempre dentro la coalizione altrimenti il voto è nullo.

L’assegnazione del numero dei seggi delle singole circoscrizioni è effettuata sulla base dei risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione.

La coalizione dovrà essere unica a livello nazionale, ma non è obbligatoria la sua costituzione: il Movimento Cinque Stelle si presenterà da solo contro tutti. Le due coalizioni maggiori sono il centrosinistra (Partito democratico, +Europa, Civica popolare, Insieme) ed il centrodestra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Noi con l’Italia). Liberi e Uguali presenterà una coalizione formata dai fuori usciti del Pd, ovvero Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista.

Ogni coalizione (o partito) ha dovuto presentare un proprio programma e ha dovuto esprimere un “capo politico”: essendo l’Italia una repubblica parlamentare, il cittadino il 4 marzo non voterà per il capo politico (inteso come candidato Presidente del Consiglio), ma per il partito o per la singola coalizione. Un esponente della coalizione, o del partito vincitore, dovrà avere poi l’incarico di formare il nuovo governo da parte del Capo dello Stato. In base agli articoli 92-93 della Costituzione, “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri” e questi “prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica” ed entro dieci giorni dovranno avere la fiducia di entrambe le Camere (articolo 94). Se le Camere concederanno la fiducia, il governo sarà effettivo e potrà iniziare a lavorare, altrimenti se anche una sola Camera non voterà la fiducia si dovrà rifare l’iter: l’articolo 94 recita che “la mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione”.

I collegi uninominali sarebbero però 231 e 115: quello in più sarà rappresentato dalla Valle d’Aosta che ha un solo collegio per ogni ramo del Parlamento, vista l’esiguità del suo territorio e dei suoi abitanti rispetto al resto delle altre Regioni. Il Trentino Alto Adige avrà sei collegi uninominali. Il 115+7 degli eletti al Senato è fatto in modo per tutelare le minoranze linguistiche di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige espresse con la lista Vallée d’Aoste (Union valdotaine-Stella alpina, Fédération autonomiste), Südtiroler Volkspartei (Partito popolare sudtirolese) e Partito Autonomista Trentino Tirolese, rappresentanti delle minoranze linguistiche di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige.

Come funziona il sistema maggioritario uninominale a turno unico? Il territorio nazionale sarà diviso in collegi uninominali dove ogni coalizione o singolo partito schiererà un solo candidato: il più votato tra tutti gli sfidanti, anche solo per un voto in più (maggioranza relativa), verrà eletto a Montecitorio.

Le circoscrizioni per la Camera sono ventotto (compresa la Valle d’Aosta e l’”estero”): tutte le Regioni sono una circoscrizione, tranne Campania, Piemonte, Veneto, Sicilia, Lazio e Sicilia che ne prevedono due e la Lombardia che ne prevede quattro, mentre l’”estero” è ripartito in Europa, America settentrionale-centrale, America meridionale, Africa, Asia, Oceania. Per essere candidati all’estero, non serve essere iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti Estero) come per le elezioni politiche del 2006, 2008 e 2013: un italiano potrebbe candidarsi in Asia senza esservi residente. I candidati residenti all’estero che vogliono candidarsi al Parlamento italiano non devono aver ricoperto ruoli politici nei Paese dove vivono nei cinque anni precedenti.

Nell’uninominale, in caso di parità di voti verrà eletto il più giovane tra quelli che hanno ricevuto lo stesso numero di voti. Il voto dell’uninominale andrà al candidato nel singolo collegio e sarà “spalmato” sulle altri liste/partiti che lo hanno appoggiato.

Come funziona il sistema proporzionale su collegi plurinominali? In questo caso contano i singoli partiti: più voti prende un partito, più eletti avrà. I collegi plurinominali sono l’espressione di altri collegi uninominali contigui. Per quanto riguarda il Senato, l’Italia è divisa in venti circoscrizioni (una Regione è una circoscrizione, essendo questo eletto su base regionale) dove ogni singola Regione non può avere meno di sette senatori eletti, salvo Molise e Valle d’Aosta che hanno rispettivamente due e uno.

Un candidato può presentarsi al massimo in cinque collegi plurinominali diversi e solo in un collegio uninominale, indipendentemente dalla sua provenienza/residenza. In caso di vittoria contemporanea in un collegio e in una circoscrizione, sarà eletto presso il collegio. In caso di elezioni in più collegi plurinominali (con eventuale sconfitta all’uninominale), sarà eletto nel collegio dove il partito ha ottenuto meno voti rispetto agli altri collegi dove è stato eletto.

Come ogni legge elettorale, anche il Rosatellum ha delle soglie di sbarramento, come nelle leggi precedenti: con la legge Mattarella (Mattarellum, 1994-2006), i partiti potevano partecipare alla ripartizione solo se superavano il 4% su base nazionale alla Camera; con la legge Calderoli (Porcellum, 2006-2013) per partecipare alla ripartizione dei seggi alla Camera un partito doveva ottenere almeno il 4% a livello nazionale, le coalizioni almeno il 10% ed un partito collegato a questa coalizione poteva avere seggi solo se superava il 2%, mentre per il Senato partecipavano alla ripartizione dei seggi i partiti che ottenevano almeno l’8% nazionale e le coalizioni il 20%, con la possibilità di partecipare alla ripartizione anche i partiti che avevano ottenuto almeno il 3% se collegati a quella coalizione. Particolarità di questa legge elettorale, l’assegnazione del premio di maggioranza se il partito o la lista avesse ottenuto la maggioranza relativa a livello nazionale alla Camera e a livello regionale in ogni Regione.

Con questa nuova legge elettorale, invece, la soglia minima è al 3% su base nazionale per Camera e Senato, mentre a livello di coalizione dovrà essere del 10%. Non è previsto il premio di maggioranza.

I partiti che dentro una coalizione raccoglieranno meno dell’1% non avranno candidati eletti (voti persi), ma i voti saranno poi ripartiti su base proporzionale agli altri partiti facenti parte della coalizione che hanno avuto almeno il 3%. Questa legge elettorale, in pratica, favorisce i piccoli partiti forti e radicati su un singolo territorio uninominale.

Scendiamo nel dettaglio e vediamo i piemontesi, e più precisamente noi novaresi, quanti parlamentari potremo eleggere.

Il Piemonte manderà a Roma quarantacinque deputati: la nostra Regione, per la Camera, è divisa in due circoscrizioni, Piemonte 1 (Torino e la sua città metropolitana) e Piemonte 2 (le province di Cuneo, Asti, Alessandria, Vercelli, Biella, Novara e Verbania).

Piemonte 1” eleggerà nove deputati (nove collegi) con il metodo uninominale e quattordici con il metodo proporzionale attraverso due collegi plurinominali.

Piemonte 2” eleggerà otto deputati (otto collegi) con il metodo uninominale e quattordici con metodo proporzionale attraverso due collegi plurinominali. Queste due circoscrizioni invieranno in parlamento rispettivamente ventitre e ventidue deputati.

Il Piemonte eleggerà ventidue senatori: otto senatori attraverso il sistema uninominale e quattordici attraverso il metodo proporzionale. La nostra Regione (amministrativa) invierà complessivamente 67 parlamentari.

Per l’elezione della Camera dei Deputati, la città di Novara rientra nel collegio plurinominale “Piemonte 2–02” e nella circoscrizione uninominale “Piemonte 2–02”.

Nel primo collegio, voteranno gli abitanti dei comuni delle Province di Novara, Verbania, Vercelli e Biella, mentre nel secondo voteranno gli abitanti dei comuni di Agrate Conturbia, Barengo, Bellinzago Novarese, Biandrate, Bogogno, Borgo Ticino, Borgolavezzaro, Briona, Caltignaga, Cameri, Carpignano Sesia, Casalbeltrame, Casaleggio Novara, Casalino, Casalvolone, Castellazzo Novarese, Castelletto sopra Ticino, Cavaglietto, Cavaglio d’Agogna, Cerano, Comignago, Cressa, Divignano, Fara Novarese, Fontaneto d’Agogna, Galliate, Garbagna Novarese, Gattico, Ghemme, Granozzo con Monticello, Landiona, Mandello Vitta, Marano Ticino, Mezzomerico, Momo, Nibbiola, Novara, Oleggio, Pombia, Recetto, Romentino, San Nazzaro Sesia, San Pietro Mosezzo, Sillavengo, Sizzano, Sozzago, Suno, Terdobbiate, Tornaco, Trecate, Vaprio d’Agogna, Varallo Pombia, Veruno, Vespolate, Vicolungo, Vinzaglio.

Per motivi di “equità territoriale”, gli abitanti dei comuni di Ameno, Armeno, Arona, Boca, Bolzano Novarese, Borgomanero, Briga Novarese, Cavallirio, Colazza, Cureggio, Dormelletto, Gargallo, Gozzano, Grignasco, Invorio, Lesa, Maggiora, Massino Visconti, Meina, Miasino, Nebbiuno, Oleggio Castello, Orta San Giulio, Paruzzaro, Pella, Pettenasco, Pisano, Pogno, Prato Sesia, Romagnano Sesia, San Maurizio d’Opaglio e Soriso voteranno nel collegio uninominale “Piemonte 2-01”, in pratica con gli abitanti dell’intera Provincia di Verbania.

Per il Senato della Repubblica, Novara e la sua Provincia rientrano nel collegio plurinominale “Piemonte-02”, insieme ai collegi uninominali di Vercelli, Alessandria e Cuneo. Novara si colloca nel collegio uninominale “Piemonte-05”. In questo collegio votano gli abitanti di tutti i comuni delle Province di Novara e Verbania, per un totale di 164 comuni.

A differenza delle ultime elezioni politiche (24-25 febbraio 2013), si spera che gli elettori possano recarsi in massa alle urne domenica prossima e sconfiggere l’astensionismo, la vera piaga elettorale degli ultimi anni.

I cittadini italiani non sono obbligati a recarsi alle urne (come invece lo sono quelli di Belgio, Lussemburgo, Cipro, Grecia e di altri ventidue Paesi nel Mondo), ma negli ultimi anni le persone che invece di andare ai seggi sono “andate al mare” sono in costante aumento: alle scorse politiche, votò il 75% degli aventi diritto al voto, cinque punti percentuali in meno rispetto alle “politiche” del 2008. Il 25% di astensione equivale, elettore più elettore meno, a circa 12 milioni di voti: un partito politico che potrebbe avere un gran numero di senatori e deputati eletti.

Cosa spinge questi italiani a fare ciò? Diverse ragioni: disinteresse verso la politica, troppe elezioni ravvicinate (politiche, amministrative, referendum), troppa poca diversità nell’”offerta” politica (“destra e sinistra sono uguali, arrivano al potere e non cambia nulla” è il pensiero dell’italiano medio), completa sfiducia verso partiti, politici ed istituzioni. Un fatto in crescita costante con la nascita della Seconda repubblica (dalle elezioni politiche del 1994 a oggi).

Ma è il disinteresse di molti giovani a preoccupare: durante il discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica aveva chiesto ai giovani di andare a votare per esprimere un loro diritto ed un loro dovere. “Mal comune, mezzo gaudio” dice il proverbio, visto che anche in Europa l’astensione viaggia su livelli di milioni di elettori e il nostro Paese è ancora uno di quelli che si reca di più alle urne.

Aldo Cazzullo in un suo editoriale sul sito on line del Corriere della Sera aveva detto che il non andare alle urne è un fenomeno da non trascurare.

Toccherà al nuovo Parlamento e al nuovo governo fare in modo di portare la gente a votare. Non tanto in massa, ma ridurre di volta in volta questo problema. Sarà difficile arrivare nel breve periodo ai picchi degli anni ’70 e ’80, dove si recava alle urne tra il 92 e l’87% degli aventi diritto al voto, ma prima o poi la tendenza dovrà necessariamente cambiare rotta.

Perché è troppo facile lamentarsi quando neanche ci si reca alle urne per esprimere il già citato diritto e dovere civico.

Riferimenti per comprendere al meglio la legge elettorale e il sistema elettorale italiani:

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/11/11/17G00175/sg

http://www.youtrend.it/wp-content/uploads/2017/12/schede-collegi-centro-studi-camera.pdf

articolo scritto in collaborazione con Paola Maggiora