di Sara Melito
Il conto alla rovescia è iniziato. Mancano solo sette giorni e il grande carrozzone di Expo Milano 2015 chiuderà per sempre le porte. Sabato 31 ottobre calerà il sipario su quella che a detta di tutti è stata la manifestazione più pubblicizzata, polemizzata, ridicolizzata, amata e attesa degli ultimi anni.
Sono stati scritti fiumi di parole da entrambe le fazioni: i fautori ed i detrattori. Ognuno ha espresso il proprio punto di vista, e tutti noi abbiamo fatto le nostre personali valutazioni e comunque ci siamo andati, almeno la maggior parte di noi.
Io ho scelto di visitare Expo nella sua ultima domenica di apertura, consapevole delle code imbarazzanti, delle attese bibliche per l’ingresso ai padiglioni, della folla simile ad un fiume in piena che ha invaso l’area espositiva.
Non è mia intenzione raccontarvi cosa ci sia di tanto bello da vedere ad Expo perché ci sarete certamente stati, ed anche coloro che hanno deciso di non andarci saranno stati sicuramente bombardati negli ultimi sei mesi da una miriade inesauribile di dati ed informazioni tanto che si saranno convinti di averlo ugualmente visitato. C’è un po’ di Expo in ognuno di noi.
La mia visita odierna voleva più essere una ricerca di personaggi e situazioni da Expo, l’osservazione di un fenomeno sempre più globalizzato che ci ha reso tutti più responsabili, tutti più attenti e consapevoli che il cibo può si nutrire il Pianeta, ma che tanta strada bisogna ancora fare per sconfiggere una delle piaghe che affliggono più della metà della popolazione mondiale: la fame.
Expo è innanzi tutto una vetrina: enorme, condivisa e social. La gente ci va perché vuole essere protagonista di un’esperienza irripetibile che forse non avrà più occasione di vivere in futuro. Si vede di tutto e ci si guarda, ci si osserva per scoprire tendenze e mode. Mai come in Expo sono stati scattati milioni di selfie, con o senza bastone, all’ingresso dei padiglioni, ai piedi dell’Albero della Vita, di notte, di giorno. Migliaia di scatti, visi, smorfie, selfie solitari e di gruppo. Tutti, ma proprio tutti, visitano Expo con uno smartphone in mano, e allora mi chiedo: tra selfie, app, percorsi, condivisioni, twittate, forse ci stiamo perdendo il bello dell’esposizione, forse il nostro sguardo dovrebbe essere rivolto a ciò che ci circonda e non ai commenti ai nostri post.
Comunque andiamo avanti. Avrete notato che ci sono 3 tipi di visitatori. Gli Expo Lovers, quelli che ci sono stati più di cinque volte, che hanno investito denaro acquistando il Season Pass e ci entrano ed escono come se fosse casa loro. Sanno tutto, dove sono ubicati i Padiglioni, dove si mangia meglio e si spende meno, conoscono a memoria gli orari, sanno quanto lunghe sono le code, sanno cosa valga la pena di visitare e cosa snobbare. E soprattutto danno consigli, a tutti. Il loro Passaporto è pieno zeppo di timbri, segno che hanno visitato tutti i Padiglioni della fiera, anche quelli dei Paesi che nessuno si fila. Loro hanno lasciato la loro impronta, si sentono parte di questo mondo di cartapesta. Che ne sarà di loro dopo il 31 ottobre?
Ci sono poi gli Expo Superior, quelli che viaggiano un gradino sopra gli altri, che si sono informati prima e sanno benissimo cosa è meglio visitare e cosa no. Non fanno le code perché sono intolleranti, non si fanno i selfie ma fotografano solo le ardite architetture dei Padiglioni per poi sfoggiare durante le cene tra amici principi rudimentali di pseudo futurismo in cui credono solo loro. Sono una popolazione di visitatori che vestono elegante, curano il dettaglio. Se ne incontrano un po’ in tutte le fiere. Camminano con quell’aria da esseri superiori che incute un certo timore reverenziale. Forse erano tra coloro che sostenevano l’inutilità della manifestazione ma poi, tocca esserci, perché altrimenti non sei nessuno. Per fortuna manca poco e la tortura è quasi finita. Rilassatevi!
E infine ci sono gli Expo Social, cioè la maggior parte, fortunatamente, di curiosi, che non ci ha capito un acca di Expo, che ci va solo perché forse riesce a mangiucchiare qualcosa gratis, che non sa ben collocare sulla carta geografica i Paesi ospiti e fa una gran confusione da Turkmenistan ed Estonia (sono sempre a Est e va bene così). Pensavano, loro, di trovare un grande mercato alimentare dove poter comprare il famoso the matcha (l’hanno visto in TV) e gli abaloni australiani come se fosse un discount, e invece “nisba”. La ristorazione è affidata a Eataly, che non sa sconti a nessuno, Oldani ci mette del suo, il caffè è Illy e il cioccolato Lindt. Tutti prodotti a buon prezzo. E allora si portano i panini da casa e per non fare la figura dei “barboni” comprano le patatine fritte in Belgio e gli Hot Dog negli Stati Uniti (che hanno intitolato il loro Padiglione 2.0, come internet, tanto per far capire che il cibo è solo virtuale).
E così schivando gli uni, gli altri e gli ultimi, anche io arrivo davanti al lago artificiale. Dalle sue acque emerge l’Albero della Vita che visto di giorno sembra un enorme lecca lecca ricoperto di marshmellows, ma di notte regala lo spettacolo delle luci e delle fontane danzanti. L’avevano già inventato da qualche altra parte e noi italioti l’abbiamo scopiazzato ma devo ammettere che il risultato è ben sopra la media. E bravi, che ci siamo salvati in corner con la colonna sonora e il gioco di spruzzi e getti.
Torno a casa soddisfatta: anche io posso dire di esserci stata, ammetto di essermelo fatto un selfie ma non lo pubblico, vi regalo una breve carrellata di architetture futuriste anche se di design non ci capisco nulla. Non ho fatto code perché non potrei sopportare 300 minuti d’attesa per entrare nel Dubai Pavillion.
Permettetemi di fare la Superior: a Dubai nel 2020 ci andrò personalmente. Il tema di Expo Dubai mi stuzzica. Collegare le menti, creare il futuro! Lasciamo la tavola e ci addentriamo nei misteri dell’IO, del cervello, della conoscenza, della connessione globale. Dubai è pronta, voi?