di Simone Balocco
Una parola molto usata nel calcio, in questi ultimi anni, è la spagnola “remontada”. Tradotta in “rimonta”, questo vocabolo indica (appunto) la rimonta che una squadra deve fare per ribaltare il risultato della partita dell’andata o per risalire la china in classifica. La prima volta che è stata usata da noi (diventata “remuntada”) fu nella settimana che portò al match di ritorno di Champions League fra Inter e Barcellona, giocato il 28 aprile 2010, con i catalani che, per ribaltare il 3-1 del “Meazza” di otto giorni prima, per accedere alla finale di Madrid, avrebbero dovuto rimontare i nerazzurri. Tra il match di Milano e quello di Barcellona, i giornali spagnoli non fecero altro, per un’intera settimana, che parlare di questa “remontada”. “Remontada” che non avvenne perché Xavi e compagni vinsero “solo” 1-0 e al “Bernabeu” ci andarono gli interisti, che tornarono a disputare una finale di Champions League dopo 38 anni, vincendola. Da quel momento, l’espressione “remontada” (“remuntada”) è entrato nel lessico comune e il Barcellona l’ha compiuta l’8 marzo 2017 quando rimontò il 4-0 dell’andata contro il PSG negli ottavi di Champions, vincendo in casa 6-1 (con due reti tra il 92’ ed il 95’), ribaltando il 4-0 del Parco dei Principi di tre settimane prima.
Anche in casa Novara, il termine “remuntada” è entrato nell’uso comune dei suoi tifosi e bisogna tornare indietro nel tempo alla stagione 2012/2013, quella che vide gli azzurri chiudere la regular season al quinto posto in classifica, venendo poi sconfitti in semifinale play off dall’Empoli.
Quel campionato è ricordato ancora oggi dai tifosi del Novara per due motivi: oltre alla “remuntada”, il fatto di essere stata la stagione successiva alla retrocessione dalla Serie A.
La stagione post-Serie A è stata, almeno fino all’Immacolata, molto complicata per gli azzurri che fino al match casalingo contro il Padova (giocato l’8 dicembre), avevano raccolto solo 14 punti su 51 disponibili e avevano visto in panchina tre allenatori: Attilio Tesser (dalla prima alla dodicesima giornata), il tecnico della Primavera Giacomo Gattuso (tra la tredicesima e la quattordicesima giornata) ed Alfredo Aglietti. Addirittura tra la tredicesima e a diciassettesima giornata, il Novara subì cinque sconfitte consecutive, facendo sprofondare la squadra fino al penultimo posto in classifica. Tra la vittoria contro i veneti e la 42a (e ultima) giornata (Novara-Virtus Lanciano, 18 maggio 2013), Ludi e compagni conquistarono 53 punti su 75 disponibili, realizzando 55 reti e subendone 23.
Quel Novara è passato alla storia come il “Novara della remuntada”, passando, appunto, dal penultimo posto in classifica ad un incredibile quinto posto finale. Con la consapevolezza di molti tifosi che se la squadra avesse giocato così tutto il campionato, la classifica sarebbe stata migliore e magari la squadra sarebbe tornata in Serie A. Ma con i se e con i ma, non si gioca mai a calcio.
Il “Novara della remuntada” è stata una squadra incredibile, forte in tutti i reparti, consapevole dei propri mezzi, delle sue giocate e con una capacità di segnare molto elevata. Ed il motivo è semplice: nel girone di ritorno, la squadra di Aglietti fece vere e proprie goleade (2-4 alla Juve Stabia; 0-6 allo Spezia; 5-1 in casa contro il Crotone; 2-6 al Cittadella; 3-1 consecutivo al Vicenza in casa e al Livorno al “Picchi”).
Era il Novara del muro difensivo Lisuzzo-Ludi, dei terzini Colombo-Crescenzi, di un centrocampo guidato da Buzzegoli, Pesce, Marianini ed in attacco i vari Lazzari, Gonzalez, Lepiller, i “vecchietti” Motta e Rubino, la fantasia dei giovani Faragò e Bruno Fernandes (frutti del vivaio azzurro) con in porta Francesco Bardi, che dopo i play off fu titolare dell’Italia Under21 negli Europei israeliani vinti dalla Spagna in finale contro gli “azzurrini”.
Ma se si pensa al “Novara del remuntada”, il tifoso novarese non può non pensare al vero gioiello che Aglietti poté schierare in attacco. Un ragazzo di allora 21anni arrivato in prestito dalla Fiorentina e chiamato a dare fosforo alla squadra. Un attaccante silenzioso che faceva parlare il suo piede sinistro: Haris Seferović.
Svizzero di Sursee, Cantone Lucerna (lingua ufficiale, tedesco), Haris Seferović nel 2009 era stato nominato miglior giovane svizzero ed allora era l’attaccante delle Nazionale elvetica Under21.
Svizzero di origini bosniache, Seferović prese la maglia numero 11 (appartenuta, prima della sua cessione, alla meteora paraguaiana Rodrigo Alborno) e debuttò in azzurro il 2 febbraio in casa contro il Cesena che si impose 0-1.
Il direttore sportivo novarese, Cristiano Giaretta, lo aveva portato in Piemonte con lo scopo di dare una punta di peso alla squadra, vista la fallimentare esperienza in azzurro di quello che era arrivato ad inizio ritiro con tanta hype ma che si rivelò un flop totale, Federico Piovaccari, passato con il mercato invernale al Grosseto.
Nel calcio, si sa, sono due i fattori importanti per vincere, vale a dire l’essere virtuosi e fortunati, come il “Principe” di Nicolò Machiavelli: quel Novara era “virtuoso” perché Aglietti aveva una rosa all’altezza della situazione, ma è stato anche “fortunato” perché nel mercato invernale lo stesso Giaretta aveva pescato bene e aveva dato al tecnico di San Giovanni Valdarno tre giocatori dal valore indiscutibile (oltre a Seferović, anche Colombo e Crescenzi), visto che difficilmente il mercato invernale regala grandi colpi e spesso si fanno prestiti di giocatori che non giocano mai nelle categorie superiori.
Seferović aveva iniziato a giocare a calcio nella squadra della sua città, per poi passare prima al Lucerna e poi al Grasshoppers, squadra di Zurigo e tra i top team della confederazione.
Nel gennaio 2010 era stato acquistato dalla Fiorentina, che lo mandò a giocare nella Primavera, dandogli poco spazio in prima squadra (il 30 novembre 2010 debuttò in Coppa Italia contro la Reggina; il 22 maggio 2011 debuttò in campionato contro il Brescia).
Nella stagione 2011/2012 (quella del Novara in Serie A), Seferović fu prestato prima agli svizzeri del Neuchatel Xamax e poi, da gennaio, al Lecce, dove giocò solo cinque partite (una sola da titolare).
La stagione successiva, l’attaccante mancino in maglia viola trovò ancora poco spazio e fino al suo arrivo a Novara giocò solo partite di campionato e due di Coppa Italia, segnando un gol. Era necessario cederlo (anche in prestito) per non svalutarlo troppo. Qua entrò in gioco Giaretta che prese il 21enne attaccante per sei mesi ed il risultato fu determinante, visto che Seferović fu il fulcro di una squadra (quasi) perfetta che aveva tutte le potenzialità per salire in Serie A.
Nessuno a Novara lo conosceva e qualcuno aveva letto che la Fiorentina voleva sbarazzarsi di lui perché in tre anni non aveva dato molto alla causa viola. Tra i tifosi però c’era ottimismo, visto che gli ultimi due giocatori svizzeri giunti a Novarello (Rihat Shala e Michel Morganella) avevano fatto molto bene in campo.
In sei mesi, Haris Seferović fu il giocatore più decisivo della rosa azzurra, realizzando dieci reti e servendo sei assist in diciotto partite giocate, semifinali play off comprese.
Tra le performance dell’attaccante svizzero, si ricordano la partita interna contro il Crotone (gol di testa e assist per Lazzari), le tre reti al Livorno e l’assist perfetto al minuto 88 per Libertazzi contro la Pro Vercelli, una vittoria che praticamente qualificò il Novara ai play off.
I tifosi si innamorarono di Haris Seferović: dopo la stagione in Serie A che non aveva visto nessun attaccante del Novara scendere in campo con quella determinazione, tutti sperarono che, nonostante la mancata promozione in Serie A, il giocatore potesse rimanere ancora a Novara e condurre la squadra in massima serie. Ma la Fiorentina se lo riprese ed ad inizio luglio lo cedette per circa 3 milioni agli spagnoli del Real Sociedad, club basco di San Sebastian, militante in massima serie spagnola.
In Spagna rimase un anno, collezionò 39 presenze e realizzò quattro reti, per poi passare, la stagione successiva, ai tedeschi dell’Eintracht Francoforte, in Bundesliga, dove in tre stagioni segnò 19 reti.
Ma Seferović puntava alle grandi squadre e nell’agosto 2017 prese un aereo con direzione “Lisbona” e firmò con il Benfica, una delle grandi del calcio europeo, dominatrice con il Porto della massima serie lusitana.
Con la maglia del “glorioso”, Seferović diventò un bomber implacabile, vincendo anche una classifica marcatori della Primeira Liga: era la stagione 2018/2019 e l’attaccante svizzero segnò 23 reti. Dietro di lui in classifica, con venti reti, il centrocampista più prolifico di tutta la stagione europea e, ironia della sorte, ex compagno dello stesso “Sefo” in azzurro, Bruno Fernandes. Due ex Novara ai primi due posti di una classifica marcatori di uno dei primi 10 campionati europei: nessuno allora se lo sarebbe mai aspettato, ma due tra i più giovani giocatori del “Novara della remuntada” si erano affermati anche in campo internazionale.
Seferović ha avuto anche l’onore di vestire la maglia della sua Nazionale in due edizioni dei Mondiali (Brasile 2014 e Russia 2018) e agli Europei del 2016 in Francia. E nella prima partita dei Mondiali brasiliani segnò anche il gol della vittoria nella prima partita contro l’Equador. Quando “Sefo” militava nel Novara, fu convocato nella Under 21 elvetica, ma, visto cosa faceva in Piemonte, l’allora Ct Hitzfeld decise di convocarlo anche in Nazionale maggiore.
Dopo l’addio di Haris Seferović, il Novara ha avuto in rosa diverse prime punte, ma a oggi solo Felice Evacuo e Andrej Galabinov hanno lasciato il segno, mentre altri, nonostante le reti segnate non sono entrati nei cuori dei tifosi. Oggi la parte “del Seferović” la sta facendo Mattia Bortolussi che magari tecnicamente non sarà eccelso come l’attaccante svizzero ma vede la porta e piace ai tifosi.
Su Haris Seferović nulla da eccepire: aveva le stimmate del predestinato e la sua carriera ne è ora l’esempio. Oggi ha 28 anni, gioca nel Benfica (che gioca regolarmente la Champions League da quindici stagioni) con cui ha vinto un titolo nazionale e due Supercoppe nazionali ed il suo nome da tempo ed il suo nome è stato accostato in questi anni a qualche squadra italiana. E chissà se, magari, un giorno giocherà in un top team europeo (proprio come l’ex compagno Bruno Fernandes).
Chissà se Haris da Sursee si ricorda ancora dei suoi fantastici mesi sotto la Cupola. I tifosi non lo dimenticheranno mai, né lui né quel Novara che, tra il dicembre 2012 ed il giugno 2013, fece sognare una piazza vogliosa di tornare subito in Serie A ma che solo l’Empoli dell’oleggese Massimo Maccarone riportò però con i piedi per terra.
immagine in evidenza tratta da www.archivio.blogsicilia.it