Governo: di Maio e Salvini, je la famo o nun je la famo?

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di Simone Balocco

 

Oggi, martedì 15 maggio, sono 72 giorni dalla data del 4 marzo: se qualcuno se lo fosse scordato nel frattempo, quella domenica siamo stati chiamati alle urne per esprimere il nostro voto sul rinnovo del Parlamento per la XVIII legislatura della Repubblica italiana.

Gli italiani si espressero in questa maniera: Movimento 5 Stelle 32.6% (10.7 milioni di voti), Partito Democratico 18.7% (6.1 milioni di voti), Lega 17% (5.7 milioni), Forza Italia 16% (4.6 milioni), Fratelli d’Italia e Liberi e Uguali 4.37 e 3.4% (1.4 e poco più di un milione di voti ciascuno). Essendo il Rosatellum bis (la legge elettorale attualmente vigente) un sistema che premia le coalizioni, quella di centro-destra ha ottenuto il 37% dei voti, il Movimento 5 Stelle il 32.6% e quella di centro-sinistra 22.9 %.

Chi avrebbe avuto il pallino per la costituzione del nuovo governo: la coalizione più votata o il partito più votato?

Questo è stato il cammino dal 5 marzo a oggi.

Il 23 marzo si sono riunite le Camere per eleggere i loro Presidenti ed i rispettivi Uffici di Presidenza: la forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati è stato nominata a capo di Palazzo Madama (prima donna presidente dei senatori nella storia della Repubblica), il pentastellato Roberto Fico sullo scranno più alto di Montecitorio.

L’attività parlamentare da allora è andata a singhiozzo (se non praticamente ferma) perché non sono ancora state formalizzate le composizioni delle singole Commissioni parlamentari ed i loro Presidenti. La mancanza di un governo impedisce questo passaggio.

Dalla chiusura delle urne, si sono succeduti una serie di incontri tra le varie delegazioni di partiti con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per cercare la quadra. Abbiamo visto quella pentastellata (il capo politico Luigi di Maio con i capigruppi parlamentari Danilo Toninelli e Giulia Grillo di Senato e Camera), quelle leghista (il capo politico Matteo Salvini accompagnato da Gianmarco Centinaio e Giancarlo Giorgetti), quella democratica (il segretario reggente Maurizio Martina accompagnato da Andrea Marcucci, Graziano Delrio ed il presidente del partito Stefano Orfini), quella forzista (Silvia Berlusconi con Anna Maria Bernini e Maria Stella Gelmini), quella di Fratelli d’Italia (Giorgia Meloni con Stefano Bertacco e Fabio Rampelli) ed infine il gruppo di Liberi e Uguali, Per le Autonomie ed il Gruppo misto, ognuno con una propria rappresentanza.

Il primo giro di consultazioni è iniziato il 4 aprile, chiudendosi il giorno dopo con un nulla di fatto. Un “nulla di fatto” alla prima tornata è sempre stata una cosa normale, poiché è successo poche volte nella storia della nostra Repubblica che uscisse una convergenza dopo sole 24 ore di incontri.

Il 12 aprile è iniziato il secondo giro, chiusosi il giorno dopo anche in quel caso con un nulla di fatto.

Il 18 aprile la presidente Alberti Casellati ottenne da Mattarella un mandato esplorativo per valutare la costituzione di una maggioranza parlamentare: in base all’articolo 92 (comma II)-93-94 (comma I-II-III) “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri” il quale “…prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica” ed il Governo “deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni”.

Tra il 23 ed il 25 aprile, anche il Presidente della Camera Roberto Fico ha ricevuto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il mandato per una “esplorazione”, ma, come avvenne per la collega senatrice, tutto si chiuse con un buco nell’acqua.

Il 7 maggio scorso si è cercato di formare un governo Movimento Cinque Stelle-Partito Democratico, ma non si arrivò ad un punto di convergenza.

Mattarella allora, per la sesta volta, diede il via ad un altro giro di consultazioni fra le forze parlamentari. Lo stesso giorno, il Capo dello Stato parlò di “governo neutrale” in caso di nessun accordo tra le parti e delle difficoltà nell’organizzare il voto in estate perché i tempi sarebbero troppo stretti per presentare legge di bilancio ed altre iniziative parlamentari.

Cinque Stelle e Lega si sono fin da subito opposte ad un governo “neutrale”, abortendo già in principio questa idea, ponendo l’accento sul fatto che in caso di votazione loro sarebbero contrari ed il nuovo governo non avrebbe la fiducia parlamentare essendo loro i due partiti con più rappresentanti.

Iniziarono a girare alcuni nomi tra le personalità più in vista del panorama politico-economico-istituzionale del Paese, tra cui quello di un paio di donne. A oggi, nessuna donna ha ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio.

Il 9 maggio c’è stato forse il momento clou di tutta questa impasse politica: il possibile accordo tra di Maio e Salvini per la nascita di un esecutivo giallo-verde (dai colori che rappresentano i loro partiti). Da allora, la strada si è fatta leggermente in discesa verso la formazione del nuovo esecutivo, anche se i due leader politici, ieri pomeriggio, hanno chiesto ancora un po’ di tempo per poter limare alcune non convergenze.

La svolta potrebbe esserci in questo week end: Lega e pentastellati mobiliteranno la loro base elettorale per decidere cosa fare una volta per tutte. Tramite una serie di gazebi nelle piazze italiane ed il voto sulla piattaforma “Rousseau”, gli iscritti e i simpatizzanti dei due movimenti antisistema per eccellenza del nostro panorama politico dovranno esprimersi sul “contratto di governo”. Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto e garante del Movimento, ha detto che il voto sulla piattaforma democratica web del movimento sarà vincolante. Ergo: se i voti sfavorevoli supereranno quelli favorevoli, salterà tutto.

Se tutto va bene, entro fine maggio potrebbe insediarsi il 65° governo della nostra Repubblica. Se tutto va bene, però, e non è detto che si trovi questa benedetta quadra. Anche perché Salvini è irremovibile, nonostante abbia usato molta diplomazia che non si pensava potesse avere: o con di Maio ci sarà un accordo sennò lo “saluterà”. Che tradotto dal “politichese” significa una cosa sola: apertura dei seggi tra le ore 7 e le ore 23 di una domenica tra l’estate e l’autunno. Con tutti i malefici del caso: dall’aumento dell’astensionismo ad un’altra spesa per riorganizzare il voto allo stesso esito elettorale come quello del 4 marzo.

In caso di un avvio di un governo giallo-verde, Forza Italia aveva parlato di “astensione benevola”, mentre Fratelli d’Italia e Partito democratico hanno annunciato che occuperebbero gli scranni dell’opposizione. Anche se il partito della Meloni su alcune tematiche è più vicino a Lega e Cinque Stelle rispetto ai dem e quindi in molti casi potrebbe votare a favore dell’eventuale governo Lega-Cinque Stelle durante il corso della legislatura.

Il punto nevralgico di questa “stagnazione governativa” è Luigi di Mario. Il vicePresidente uscente della Camera aveva detto sin dall’inizio delle consultazioni che non si sarebbe mai seduto ad un tavolo delle trattative con Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia ed ex capo indiscusso delle coalizioni di centrodestra che si sono succedute dal 1994 a oggi, e in campagna elettorale aveva detto peste e corna contro il Partito Democratico e il suo ex segretario, Matteo Renzi. Per non parlare che il suo partito non avrebbe partecipato a nessun “inciucio”.

Già dopo poco tempo, di Maio sui democratici aveva “cambiato idea”, mentre per quanto riguarda Berlusconi è ancora oggi categorico ed irremovibile.

Matteo Salvini, invece, ha sempre detto che non avrebbe mandato a ramengo la coalizione con Berlusconi per formare un governo, rispettando le scelte dell’elettorato che si è espresso lo scorso 4 marzo. Il segretario del Carroccio ha sempre espresso pareri negativi contro “governicchi” e governi guidati da persone che non siano state elette in Parlamento.

La sua scelta di non staccarsi dall’alleato forzista lo ha messo in cattiva luce dinnanzi agli avversari: “Salvini preferisce rimanere fedele a chi ha rovinato l’Italia invece che allearsi con chi invece l’Italia la vorrebbe cambiare”. Scelta condivisibile, ma non da voltagabbana da Prima repubblica.

Matteo Salvini però è il capo della coalizione vincente in quanto il suo partito è stato quello più votato fra i suoi componenti. Il segretario del Carroccio ha sempre aperto verso un governo con di Maio, ma non con il Partito democratico. All’inizio, il leader leghista voleva essere lui a guidare l’esecutivo, ma con il passare delle settimane si è ammorbidito, dicendo che lui avrebbe fatto un passo indietro. Ca va sans dire che vorrebbe un leghista o una personalità vicina alle sue istanze.

Anche di Maio vuole fare un passo indietro, parlando anche lui di dare spazio ad un’altra persona. Di contraltare, vicina alle politiche pentastellate.

Ed ecco spuntare alcuni nomi: i più accreditati diventano il deputato leghista Giancarlo Giorgetti e l’avvocato Giuseppe Conte, vicino ai pentastellati e Ministro della Pubblica amministrazione in base all’elenco dei ministri elencati da di Maio nella fase finale della campagna elettorale. Già bruciato in partenza il docente universitario in quota Lega Giulio Sapelli.

Settimana scorsa il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha espresso il suo benestare ad un governo Cinque Stelle-Lega non votando contro: una sorta di “governo della non sfiducia” (non votare contro ma astenersi) come fece il PCI con il governo Andreotti III (1976-1978). Nel frattempo, il Cavaliere è tornato eleggibile perché il Tribunale di Milano ha annullato gli effetti della “legge Severino” che avrebbe tenuto lontano Berlusconi dalla candidabilità in Parlamento (anche quello europeo) fino al 2019 perché coinvolto in passato con sentenze riguardanti corruzione e concussione.

L’Unione europea è in attesa di vedere come in che modo terminerà la nostra situazione politica. Il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, a fine febbraio (in tempi non sospetti, quindi) aveva espresso perplessità nei confronti del governo che sarebbe uscito dalle urne: un po’ ci aveva azzeccato, visto che parlava di “governo non operativo”.

Siamo al 15 maggio e ancora non si ha un governo effettivo. Ma attenzione: non si ha neanche un nome come candidato alla carica di Premier. Mattarella ha detto che settimana prossima si dovrà arrivare ad una decisione affinché i due partiti in gioco si accordino per trovare un nome. In caso contrario, si pavimenterà lo spauracchio che si aggira sui palazzi della politica nazionale come un condor che gira sopra le sue prede morte: il ritorno alle urne.

Nel mezzo, un Paese fermo che non può…fermarsi, un aumento possibile dell’Iva molto probabile ed una tasso di disoccupazione ancora troppo elevato. Oltre a tanti altri problemi.

Una cosa è certa: siamo alla resa dei conti. O di Maio e Salvini si accorderanno su un nome o Mattarella darà l’incarico ad una terza persona per fare un governo che traghetti il Paese a nuove elezioni.

L’Italia vuole che si arrivi una volta per tutte alla risoluzione di questa situazione, possibilmente senza passare per un “governo neutrale”. In pratica, un governo tecnico. E nessuno vorrebbe un governo di questo tipo, visto che l’ultima volta che a Palazzo Chigi si insediò un governo di questo tipo le cose (per le finanze italiane) non andarono molto bene. E ci stiamo riferendo al governo Monti (16 novembre 2011-21 dicembre 2012).

Il dibattito fra Lega e Cinque Stelle è prossimo alla convergenza, ma su alcuni temi c’è distanza (Europa, immigrazione, giustizia, lavoro, infrastrutture, Legge Fornero). In caso di accordo nascerà un nuovo governo, sennò “arrivederci e grazie”. Mai nella storia della Repubblica italiana abbiamo assistito a oltre due mesi di nulla di fatto. Per carità un periodo di “blocco” c’è sempre stato ma poi pronti via. Qua è diverso: stiamo assistendo ad una cosa a metà tra l’egoismo e chi ha più ragione.

Qua c’è in ballo il futuro del nostro Paese, non solo al cospetto dell’Europa e del Mondo, ma anche davanti al nostro popolo e alla nuove generazioni. Il nostro Paese non è nelle condizioni dover aspettare altro tempo per formare il governo: la paura dell’aumento dell’Iva, il prezzo della benzina ai massimi negli ultimi quattro anni, i conti pubblici da rivedere, le tasse, le pensioni, la Legge Fornero, tutte tematiche da affrontare il più presto possibile.

Va bene che la Germania è stata senza governo per sei mesi ed il Belgio per quasi due anni, ma non dobbiamo guardare agli altri Paesi per curare i nostri mali. Uno spot pubblicitario di un noto marchio di abbigliamento sportivo diceva “My time is now”, “il mio momento è ora”. Il momento dell’Italia è ora.

Luigi e Matteo accordatevi, mettete da parte egoismi ed egocentrismi. Accordatevi e arrivate ad una soluzione comune e convergente sul candidato Primo ministro: che sia uno di voi due, che sia un esponente dei vostri partiti, che sia una terza persona di ampio respiro internazionale.

Muovetevi che qua non c’è più tempo da perdere e non è tempo di fare sempre delle “#maratonamentana”.

immagini in evidenza tratte da www.eunews.it (di Maio) e www.wired.it (Salvini)