di Simone Balocco
Il cinema italiano ha dato al mondo del silver screen internazionale interpreti degni di nota a livello planetario: da Rodolfo Valentino a Marcello Mastroianni, da Gino Cervi a Vittorio Gassman, da Alberto Sordi a Vittorio de Sica, da Giancarlo Giannini a Roberto Benigni. Fino a Pierfrancesco Favino, fresco vincitore della “Coppa Volpi” assegnatagli al Festival del cinema di Venezia come miglior attore protagonista per il film “Padrenostro”.
Poi ci sono altri attori italiani che sono noti esclusivamente a livello nazionale. L’elenco qua è lungo, anche se sicuramente molti conosceranno più film e battute dei film interpretati da questi attori rispetto ai più mainstream. Tra gli attori più noti, ce n’è stato uno operativo e conosciuto solo perché ha preso parte a film commedia tra gli anni Ottanta e Novanta. Ma questa non è una discriminante, ma un valore aggiunto nel suo caso. Stiamo parlando di Guido Nicheli detto “Dogui”.
Attore di ben ventotto pellicole, Nicheli oggi avrebbe 86 anni, ma il suo lascito è davvero molto importante in quanto è stato un’icona di un tipo di film che oggi tutti noi rimpiangiamo: i film comici di qualità.
Ma chi era questo Guido Nicheli, diventato noto con un soprannome che è l’anagramma del suo stesso nome di battesimo, ovvero “Dogui”?
Nato a Bergamo nel 1934 e cresciuto nella Bergamasca, Guido Nicheli si diplomò odontotecnico e lavorò insieme ad un cugino.
Grand viveur, a Nicheli piaceva il mondo dello spettacolo e negli anni Sessanta–Settanta, oltre alla professione odontotecnica, svolgeva anche il lavoro di rappresentante di liquori ed alcolici e questo gli permise di frequentare (anche per diletto) diversi locali notturni lombardi, tra cui quello che può essere considerato come l’”Università della comicità italiana” del tempo, il “Derby Club”, storico locale di Milano di via Monte Rosa.
Allora il locale era noto alle cronache nazionali perché era una fucina di grandi talenti comici e dello spettacolo che divennero famosi negli anni successivi (da Cochi e Renato a Jannacci, da Abatantuono a Gaber, da Paolo Rossi a Felice Andreasi) ed ebbe la fortuna di conoscere e di stringere un forte legame con il meglio della comicità italiana del tempo.
Cosa succedeva: la sera Nicheli entrava nel locale, mostrava i prodotti al proprietario, trattata, metteva nella valigetta il contratto firmato per la fornitura e rimaneva poi nel locale fino alla chiusura. Veniva chiamato il “Presidente” e a dargli questo nickname fu Enzo Jannacci, uno che ha fatto la storia della musica italiana e pilastro del “Derby” stesso.
Da cosa nasce cosa: una parola tira l’altra ed ecco che a Nicheli furono offerti ruoli cinematografici. Non ruoli da attore protagonista, ma un ruolo ben chiaro: il caratterista. Il caratterista è un attore che interpreta sempre un ruolo ben specifico dovuto al suo accento o alla proprio fisiognomia e Nicheli ha sempre interpretato un solo ruolo: il cumenda, ovvero l’industriale lombardo rampante nonostante la mezza età oppure il ricco benestante lumbard.
Nicheli interpretava il milanese snob, arricchito ed arrogante, con una spiccatissima pronuncia milanese ed un portamento tipico di quel personaggio. Unito ad un modo di parlare caratteristico, mescolando slang, parole brevi ed inglesismi. Un personaggio che andava preso con le molle: annoiava tutti con i suoi discorsi di quanto era ricco, quanto fatturava, quanti dipendenti aveva a libropaga, i suoi tanti viaggi compiuti tra Cortina, Costa Smeralda e riviera toscana, le sue conquiste amorose, il suo parco macchine. Personaggio (cinematografico) per lo più ignorante in sé e molto cafone, ma interpretato magistralmente tanto da inquadrare lo stesso Nicheli come un vero personaggio.
Il suo primo film fu “Il padrone e l’operaio” di Steno del 1975: Steno lo scoprì e lo gettò nella “mischia”, mentre i suoi figli, Enrico e Carlo Vanzina, lo resero un mito della comicità.
In mezzo, trent’anni di carriera ed altrettante pellicole girate. Tutte comiche tranne una (“Scemo di guerra”), dove fu doppiato in siciliano, ma il suo phisyque du role era riconoscibilissimo.
Di successo furono le sue interpretazioni in “Vacanze di Natale” (nella parte del cafone, arrogante, ricco e fedifrago “Donatone”) e “Sapore di Mare” (dove interpretava il ricco signor Balestra che pensava più al lavoro e alle macchine veloci anziché pensare alla moglie).
Nicheli interpretava sempre quel personaggio: l’uomo dedito al lavoro, ricco, un po’ sbruffone, amante della bella vita e delle belle donne con modi di fare tra il cafone e il maleducato.
Non avendo un backgroud recitativo, Nicheli veniva solo contattato per interpretare personaggi di quel tipo: un ruolo molto particolare, ma che a lui andava benissimo perché così poteva continuare a svolgere il lavoro di odontotecnico e continuare a fare l’attore per diletto.
La televisione però gli diede una grande notorietà, interpretando il personaggio di Camillo Zampetti in “I ragazzi della 3C”. Ovviamente il personaggio era taylormade per Nicheli: ricco industriale milanese, con la parlata da bauscia, la ricchezza ostentata ed i modi di fare da cumenda in un vortice di simpatia.
Il successo fu ancora maggiore che nelle pellicole, tanto che il suo parlare milanese con qualche termine particolare (Mi esalta; Libidine; NCS; Animale) e l’aggiunta di qualche termine inglese messo nelle battute per aumentare il concetto (il “believe me” è stato uno di questo) lo hanno reso un personaggio riconoscibile. Noti anche i suoi spot televisivi, dove interpretava sempre il ruolo del cumenda di turno.
Lo sviluppo dei social network ha reso ancora di più popolare Guido Nicheli negli anni Dieci degli anni Duemila: la rete è ricca di spezzoni dove si può vedere il “Dogui” all’opera con le sue battute epiche, oppure i social network dove sono presenti gruppi incentrati sui film comici sui suoi personaggi: dal Rodolfo di “Viuuulentemente mia” a Donato Braghetti di “Vacanze di Natale”, dall’Ambrogio Colombo di “Montecarlo Gran Casinò” al “signor Balestra” e allo stesso Zampetti fanno sempre capolino e sono sempre ricordate con affetto dagli iscritti, che usano le sue battute magari fra amici, al lavoro o con persone sconosciute.
Guido Nicheli è stato il classico piacione: abbronzato, ben curato, ben vestito, buona parlantina. E’ stato anche uno che si tolto tanti sfizi, come il viaggiare e conoscere nuove realtà. Nicheli ha interpretato sempre il ruolo del “lavoro-guadagno-pago-pretendo” e nell’immaginario collettivo è ancora oggi ricordato per queste peculiarità.
Nicheli ha rappresentato il top della comicità milanese contro quella romana, napoletana e toscana: è stato un “figlio” della Milano da bere, dell’edonismo reaganiano, dello stare bene, un figlio (cinematografico) degli anni Ottanta.
Perché un personaggio come Guido Nicheli, che può essere definito un attore-non attore, è così: lo si ama a prescindere. A volte il personaggio che interpretava appare davvero troppo snob, viziato, donnaiolo e noioso, ma questo è stato il suo personaggio davanti al ciak: uno che non ha mai studiato un copione perché il copione lo faceva lui, tutte le battute sono state farina del suo sacco, della sua mente. E questo agli italiani è piaciuto sempre, visto che ogni volta che danno un film della commedia italiana anni Ottanta-Novara e appare sullo schermo Nicheli, tutti non solo recitano a memorie le sue battute diventate epiche ed usate nel linguaggio di tutti i giorni (“Via della Spiga-Hotel Cristallo di Cortina: 2 ore, 54 minuti e 27 secondi. Alboreto is nothing”), ma provano ancora oggi ad emularlo. E magari tutti questi personaggi interpretati dal “Dogui”, se fossero stati interpretati da altri attori, non sarebbe ricordati oggi.
Questo è stato “Dogui”, al secolo Guido Nicheli da Bergamo: uno che contemporaneamente si prendeva un po’ sul serio ed un po’ no. Uno che sapeva quello che voleva e che nel suo piccolo ha dato un contributo alla causa cinematografica nazionale nella stagione dei film cult comici. Parliamo di uno che sulla sua lapide ha fatto scrivere “See you later”. Come dire: non finisce qua, amico mio ci vedremo nell’aldilà e continuerò a farti ridere.
Nel 2026 Milano e Cortina d’Ampezzo ospiteranno le Olimpiadi invernali e chissà come le avrebbe vissute il suo “Donatone”, lui che tra via della Spiga e l’Hotel Cristallo ha superato in velocità l’allora pilota di Formula Uno, Michele Alboreto.
Eh sì, perché Nicheli è morto il 28 ottobre 2007 a Desenzano ed è sepolto nel cimitero di Bereguardo, nella frazione Zelata, nel Pavese, il borgo che aveva scelto come buen ritiro, e non potrà vederle. Lui che su una sdraio, nella perla delle Dolomiti, disse l’epico “…ma la libidine è qui: sole, whisky e sei in pole position”.
Oggi una figura come il cumenda sarebbe anacronistica e non farebbe ridere, ma allora questa figura era molto importante nei film comici e con l’uscita di scena di Nicheli questo ruolo è sparito. Come dire: è morto il “Dogui”, non ci sarà più nessun cumenda come lui e quindi la sua figura muore con lui.
Guido Nicheli non ha vinto premi cinematografici, ma già il fatto che di si parli sempre di lui significa che questo uomo qualcosa ha dato al nostro cinema.
Capito, “testine”?
foto in evidenza tratta da www.ilmilaneseimbruttito.it