I referendum di domenica 12 giugno e l’importanza del voto elettorale. Qualunque esso sia

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di Simone Balocco

 

Domenica 12 giugno, dalle ore 7 alle ore 23, saremo in oltre 51,5 milioni chiamati al voto su cinque quesiti referendari sul tema della giustizia. Sempre quella domenica, oltre 9 milioni di italiani riceveranno anche una scheda per le elezioni amministrative: si voterà in 975 comuni, tra cui quattro capoluoghi di Regione (Catanzaro, Genova, L’Aquila e Palermo) e ventidue di provincia (Alessandria, Asti, Barletta, Belluno, Como, Cuneo, Frosinone, Gorizia, La Spezia, Lodi, Lucca, Messina, Monza, Oristano, Padova, Parma, Piacenza, Pistoia, Rieti, Taranto, Verona, Viterbo). Per quanto riguarda il Novarese, saranno chiamati al voto gli abitanti dei comuni di Borgomanero, Biandrate, Casalvolone, Cavaglio d’Agogna e Divignano. Di questi, solo Borgomanero prevedrà l’eventuale secondo turno: se nel primo turno un candidato (fra i tre in lizza) non otterrà la maggioranza assoluta dei voti (50%+1), domenica 26 giugno si terrà il ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti (quindi che hanno  ottenuto la  maggioranza relativa dei voti) e sarà eletto sindaco il candidato che otterrà più voti.

Domenica si inizierà prima con il conteggio delle schede referendarie ed il giorno dopo si procederà all’apertura delle urne delle amministrative.

 

Cos’è un referendum. Il caso dell’”abrogativo”

Che tipi di referendum saranno quelli di domenica prossima? Innanzitutto saranno cinque referendum abrogativi. Dal 2 giugno 1946 a oggi, sono ventiquattro le “tornate” referendarie, di cui diciotto abrogative: il primo referendum abrogativo in ordine di tempo è stato quello del 12-13 maggio 1974 sul divorzio (legge Fortuna-Baslini); l’ultimo, datato 17 aprile 2016, sulla durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi in zone di mare estesa sino all’esaurimento di questi giacimenti.

Il referendum è un istituto molto importante perché rappresenta il punto più alto della democrazia diretta: tutti noi cittadini siamo chiamati ad esprimersi su un tema, siamo chiamati in causa. Sono chiamati al voto tutte le donne e tutti gli uomini che abbiano compiuto 18 anni: la stessa “metodologia” di voto per le amministrative, le regionali, l’elezione della Camera dei Deputati e dalle prossime elezioni politiche (primavera 2023) anche per il Senato, il cui elettorato attivo si abbasserà da venticinque a diciotto anni.

Il sistema italiano prevede tre tipi di referendum: abrogativo, costituzionale e consultivo.

Il referendum abrogativo è trattato nell’articolo 75 della Costituzione e stabilisce che un referendum possa essere richiesto da 500mila cittadini attraverso una raccolta firme ufficiale oppure da cinque Consigli Regionali. I referendum costituzionali sono trattati dall’articolo 138.

Caratterizza un referendum abrogativo il fatto che per essere valido è indispensabile che la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto si rechi alle urne, ovvero il 50%+1 di loro (il cosiddetto quorum). Se si raggiunge e/o si supera quella quota, il referendum sarà considerato valido ed il risultato delle schede sarà preso in considerazione, mentre se non si raggiunge il quorum, il referendum non sarà valido ed il risultato delle schede non sarà preso in considerazione (ma verrà scrutinato ugualmente). Attenzione: affinché la legge in questione venga abrogata (totalmente o parzialmente), anche i SI dovranno essere superiori al 50%+1 dei voti, altrimenti non sarà abrogata (tutta o parzialmente).

Attraverso un referendum abrogativo, si posso abrogare (ovvero “far cessare”) leggi intere o parte di esse, ma è vietato indire un referendum per abrogare

  • Leggi elettorali,
  • Leggi tributarie e di bilancio;
  • Leggi di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali, amnistia e indulto;
  • Leggi costituzionalmente obbligatorie;
  • Leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato;
  • Atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare.

Con il referendum abrogativo si possono solo abrogare le leggi ordinarie. Tutte le leggi elencate sopra (“leggi gerarchicamente superiori”) possono essere abrogate solo dal Parlamento (i trattati internazionali sono ratificati dal Parlamento).

 

I cinque referendum sulla giustizia

Lo scorso 31 marzo, il Consiglio dei Ministri ha stabilito in domenica 12 giugno la data per il voto dei referendum abrogativi sulla giustizia. Il 7 aprile successivo questi quesiti sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Per arrivare a quel 31 marzo, è stato necessario che la Corte costituzionale abbia dato parere favorevole sull’ammissibilità di questi quesiti referendari. Inizialmente i quesiti proposti erano otto, ma tre sono stati dichiarati inammissibili dalla stessa Corte.

Cosa riguarderanno questi cinque referendum? Innanzitutto ogni scheda avrà un colore: per il referendum numero 1 la scheda sarà rossa, per il 2 arancione, per il 3 gialla, per il 4 grigia e per il 5 verde.

Il referendum numero 1 riguarderà la “legge Severino”: oggi è incandidabile, ineleggibile e decade automaticamente dal suo ufficio il parlamentare, il membro del governo (Presidente del Consiglio, ministro, vice-ministro, sottosegretario), il consigliere regionale, il sindaco o il consigliere comunale condannato per corruzione. Se vincerà il SI, queste persone potranno candidarsi ed essere elette nonostante la condanna. Se vince il NO, rimarrà tutto invariato.

Il referendum numero 2 riguarderà l’eliminazione della “reiterazione del reato” tra le motivazioni per cui i giudici possono decidere o meno la custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari prima del processo per una persona coinvolta nelle indagini. Se vincerà il SI, si abolirà la presunzione di una reiterazione di un reato mentre ci sarà il carcere preventivo solo per chi commette reati gravi. Se vincerà il NO, si vorrà che tutto rimanga invariato.

Il referendum numero 3 riguarderà la separazione delle carriere dei magistrati: oggi una persona che entra in magistratura può essere prima giudicante e poi inquirente e viceversa durante il corso della loro carriera (prima giudice e poi pubblico ministero e viceversa). Se vincerà il SI, ad inizio carriera questa persona dovrà scegliere se la propria carriera sarà solo giudicante o solo inquirente. Se vincerà il NO, tutto rimarrà invariato: un magistrato può passare in carriera da pubblico ministero a giudice e viceversa.

Il referendum numero 4 riguarderà la valutazione dei magistrati: l’operato di un magistrato oggi è valutato solo da membri togati. Se vincerà il SI, i magistrati saranno valutati anche da membri non togati (avvocati) e da docenti universitari. mentre se vincerà il NO, l’operato dei magistrati resterà valutato solo da membri togati.

Il referendum numero 5 riguarderà la riforma delle candidature al CSM: se vincerà il SI, un magistrato potrà candidarsi autonomamente al Consiglio Superiore della Magistratura senza presentare dalle 25 alle 50 firme di altri magistrati come chiesto ora. Se vincerà il NO, sarà sempre necessario presentare tra le 25 e le 50 firme di altri magistrati.

I tre quesiti non ammessi al voto referendario riguardavano la responsabilità civile dei magistrati, il fine vita (omicidio del consenziente) e la depenalizzazione della cannabis.

Ca va san dire che domenica saremo chiamati a votare cinque tematiche molto delicate, tecniche, complesse ed è necessario informarci in tempo per comprendere (anche solo in piccola parte) di cosa si stia parlando ed arrivare al seggio preparati e votare in maniera corretta (secondo il nostro punto di vista e la nostra coscienza, ovviamente) dentro l’urna.

 

L’importanza dell’andare a votare. Sempre.

Fin qui abbiamo analizzato cosa si voterà e perché si voterà domenica 12 giugno, ma l’importanza del voto referendario, in questo caso, ha un certo spessore perché, essendo il referendum il punto più alto della democrazia diretta, è il momento in cui l’elettore è chiamato a contare veramente. Non che con gli altri voti elettorali non lo siano, ma il referendum è un invito a dire la propria su una certa tematica.

Purtroppo da diversi anni notiamo persone stufe della politica, annoiate dai dibattiti e dai talk show (o dal leggere anche articoli come questo che trattano di politica). Questa disaffezione si registra nelle urne: sono anni che il tasso di astensione è elevato.

L’astensione è uno dei grossi problemi che sta colpendo la politica italiana, ma non solo perché anche nel resto d’Europa il non recarsi alle urne è una piaga: basti pensare che alle recenti elezioni presidenziali francesi quasi 1/3 degli elettori non si è presentato alle urne.

Molti pensano che votare sia inutile, che “tanto non cambierà niente”. Molti cittadini sono disinteressati dalle e alle vicende politiche, molti considerano i politici lontani dai cittadini e “fuori” dalla realtà. Eppure l’astensione dalle urne deve essere un dato che dovrebbe far riflettere i nostri politici: “perché la gente non vota? Di chi è la colpa? Facciamo qualcosa affinché il trend si inverta e gli italiani possano tornare alle urne ed esprimere il loro voto”. Eppure andare a votare è gesto in sé normale, ma anche un grande gesto. Nel senso: io cittadina/o con la mia semplice X su una scheda rettangolare colorata posso far valere la mia importanza di essere cittadino. Non andare a votare è una sconfitta per tutto il sistema.

L’astensionismo poi è favorito da problemi di carattere civico: molti italiani non sono interessati alla politica e quel poco che sanno lo traggono “a spizzichi e bocconi” dal web o dal politico di turno, fraintendendo magari quello che dice. Per non parlare del fatto che tanti non sanno neanche chi occupa le cariche più alte delle nostre istituzioni e non conosce le basi della Costituzione. E chi dice che ci sono cose più importanti rispetto al ruolo che occupa Mario Draghi rispetto al Presidente di una Regione o al Presidente del Senato è frutto proprio di questo disinteresse verso una cosa che invece deve riguardare tutti, nessuno escluso: la politica. Non il “politichese”, ma la politica basilare, quella che ci circonda.

Votare è un gesto responsabile: significa essere e voler far parte di una comunità. Significa dar voce al nostro pensiero e mettere al primo posto il bene nazionale: prima viene lo Stato che decide per me, poi vengo io che voto affinché qualcuno mi “governi” per farmi vivere meglio. Ma se non si mette davanti a sé stessi lo Stato, non si può pretendere altro però. Il voto è una conquista per tutti, ma il “votare” siamo noi, la nostra idea, il nostro pensiero, la nostra esperienza, la nostra storia.

Del resto che cos’è la democrazia? L’unione delle parole greche “demos” e “kratos”: il potere del popolo. “Potere del popolo” chiamato ad esprimersi sulle sorti del proprio Paese.

Astenersi, per carità, è una scelta rispettabile, ma se non si vota significa non avere a cuore le sorti del proprio Paese: un voto su 51 milioni di schede con cambierà nulla, ma un voto sommato a due voti, a tre, a quattro, a cento, mille, un milione e cinquanta milioni cambia le sorti di un Paese. Partecipare al voto è consapevolezza.

La nostra Costituzione, all’articolo 48, dice che il voto è personale, uguale, libero, segreto: non può votare un’altra persona al nostro posto; il voto di un elettore “pesa” quanto il voto di un altro cittadino; il voto non deve forzato da altri ma siamo noi che decidiamo senza costrizioni a votare; il voto è segreto perché nessuno deve sapere cosa votiamo e questo non può essere condiviso nello stesso momento con altre persone. Votare è un diritto ed un dovere: una libertà (di scelta), ma anche un obbligo (morale, soprattutto). E pensare che nel nostro Paese il suffragio elettorale esiste solo dal 2 giugno 1946, quando per la prima volta tutte le donne e tutti gli uomini italiani furono chiamati ad eleggere l’Assemblea costituente ed esprimersi sulla nuova forma di governo del Paese dopo la fine della Seconda guerra mondiale (monarchia o repubblica). Prima votare non era un diritto, ma un privilegio poiché tra il 1861 ed il 1881 potevano votare solo i maschi di età superiore ai 25 anni ed appartenenti ad un livello sociale elevato (voto per censo), tanto che erano chiamati al voto una percentuale risibile di cittadini: nelle seconde elezioni del Regno d’Italia (1865), su 27 milioni di italiani, solo 508mila (il 2%) potevano votare e di questi solo il 47% si recò alle urne, in calo di oltre 2 punti percentuali rispetto alle elezioni di quattro anni prima.

Solo in venti Paesi al Mondo il voto è obbligatorio: in Europa in Belgio, Grecia e Lussemburgo. In questi tre Paesi però non si prendono provvedimenti contro chi diserta le urne. In Italia votare non è più un obbligo con l’abrogazione del DPR n.361 del 30 marzo 1957 che stabiliva che “l’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese […] L’elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco”. Allora non andare votare era una sorta di “assenza ingiustificata” (come a scuola), con motivazione scritta al sindaco.

Votare è anche gratis: si entra nel seggio, si presenta agli scrutatori il proprio documento di identità e la tessera elettorale, si prende/prendono la/le scheda/e, si entra nell’urna, si mette una X sulla scelta, si richiude la scheda, la si riconsegna allo scrutatore che la inserirà nell’urna e quella scheda elettorale sarà scrutinata insieme alle altre all’apertura delle urne. Nulla di più facile e semplice.

Il voto è un dovere etico, morale e civico: un’”arma” a nostro favore dove possiamo davvero contare ed essere importanti.

E’ bello contare ed essere importanti. Andiamo a votare. Non solo 12 giugno, ma sempre.