di Simone Balocco
Ci sono gol e gol: c’è il gol-vittoria, il gol che vale un pareggio, il gol della bandiera, il gol bello, il gol fortunoso, il gol che “quello lo segnavo anche io” (ovvero il gol sbagliato ad un metro dalla porta). Il gol che il pubblico del “Piola” vide sabato 26 novembre 2011 intorno alle ore 19:25 ha avuto un’altra valenza. Una valenza storica. Riavvolgiamo il nastro della storia a quel 26 novembre 2011 quando due anticipi aprirono la tredicesima giornata del campionato di Serie A.
Alle ore 18, allo stadio “Silvio Piola” di Novara, si affrontarono, nel primo dei due anticipi, i padroni di casa ed il Parma. Gli azzurri di mister Attilio Tesser, al loro primo campionato in massima serie dopo 55 anni, avevano sette punti in classifica, mentre il Parma di mister Franco Colomba (ex tecnico del Novara nella stagione 1994/1995 in Serie C2), avversario sempre temibile ma lontano anni luce rispetto a quello del decennio 1990-1999, di punti ne aveva quindici.
Alle ore 18, puntuali, l’arbitro Tommasi della Sezione AIA di Bassano del Grappa fischiò l’inizio del match.
Gli ospiti sembravano più in forma, quadrati e carichi rispetto agli azzurri ed infatti, al minuto 29, passarono in vantaggio grazie all’autogol di Matteo Centurioni, uno dei migliori giocatori fino a quel tratto di stagione in casa Novara: notte fonda se anche il tuo miglior giocatore fa un autogol!
Ma visto che nel calcio nulla è scontato, a vincere la partita sarà alla fine il Novara per 2-1. Una vittoria che diede ossigeno alla truppa novarese che stava sempre nella parte bassa della classifica, ma con tre punti in più rispetto al turno precedente e che tornava alla vittoria da martedì 20 settembre (altro anticipo, si aggiunga) quando a cadere al “Piola” erano stati niente meno che i Campioni del Mondo in carica dell’Inter.
Andarono in rete Raffaele Rubino e Marco Rigoni al 70′ e al 78′: per il capitano azzurro, alla seconda partita stagionale, quella era la sua prima marcatura in Serie A, mentre per il numero 10 si trattava del suo quinto gol in stagione, dimostrandosi quello che era fino a quel punto del campionato, vale a dire il giocatore più forte e tecnico di tutta la rosa del Novara.
Poniamo l’attenzione al minuto 70: Mazzarani provò il tiro da fuori area, ma un difensore del Parma deviò la palla che si diresse verso l’out di sinistra. Rigoni ci arrivò per primo, crossò in mezzo e come un ariete sulla palla si fiondò di testa “Lele” Rubino che insaccò alle spalle di Antonio Mirante sotto la Curva Nord, feudo del tifo azzurro.
Rubino, dopo aver visto gonfiarsi la rete, si inginocchiò verso la curva e si mise a piangere, abbracciato dai suoi compagni. Il lettore poco attento dirà “Ecco il primo gol in Serie A di Raffaele Rubino!”. Se non che, dopo l’abbraccio collettivo, il massaggiatore della squadra, Lorenzo Demani, raggiunse “Lele” e gli diede una t-shirt bianca, di quelle che si vendono al mercato, con una scritta nera in mezzo. Lo stesso lettore poco attento dirà ora “Vediamo Rubino a chi ha dedicato il gol realizzato”. La scritta a mano con pennarello nero recitava “Record”.
Che record poteva aver raggiunto Raffaele Rubino, attaccante barese nato lo stesso giorno di Gennaro Gattuso e capitano di una squadra capace in due stagioni di compiere il doppio salto Lega Pro-Serie A? Il gol di Raffaele Rubino al Parma, quel sabato 26 novembre 2011, è stato un primato: il numero 9 del Novara era diventato il primo calciatore a segnare in tutte le serie professionistiche nazionali con la stessa squadra, dalla Serie C2 alla Serie A.
Il giorno dopo tutti parlarono del gesto di “Lele”: quelle lacrime umane, quella t-shirt bianca con la scritta nera in puro stile provinciale e l’abbraccio del suo “popolo” resero Rubino un giocatore mainstream. Nessuno prima di lui aveva segnato con la stessa maglia in tutte le serie calcistiche professionistiche: lui c’era riuscito e, per arrivare a quel gol, l’attaccante di Bari aveva faticato molto in carriera, ma alla fine i sacrifici gli furono ricompensati.
La storia di Raffaele Rubino ed il Novara ricorda molto la canzone “Amici mai” di Antonello Venditti (“Certi amori non finiscono/fanno dei giri immensi e poi ritornano/amori indivisibili indissolubili inseparabili”): arrivato nel giugno 2001 dalla Pro Sesto, l’attaccante era reduce da un’esperienza fallimentare con i milanesi dopo aver sempre giocato nella periferia del calcio (Bisceglie, Noicattaro, Brescello) tra Dilettanti, Serie C2 ed una mezza stagione in Serie C1. A portarlo sotto la Cupola, uno dei personaggi più iconici ed amati della Novara calcistica: Sergio Borgo.
L’allora 23enne Rubino era carico di aspettative e nella prima stagione a Novara siglò addirittura sedici reti, guidando la squadra al terzo posto in classifica (posizione che in Serie C2 il Novara non raggiungeva da sette stagioni), uscendo poi nelle semifinali play off contro la Pro Patria. Da quel momento e fino all’estate 2007, Rubino usò il Novara come “trampolino di lancio” per sfondare nel calcio che contava in cerca del definitivo salto di qualità. Quel salto di qualità che lo aveva portato ad essere tesserato nelle giovanili del Bari insieme ad un certo (coetaneo) Nicola Ventola e a vincere nel 1994, a 16 anni, il campionato Allievi nazional. E tra il 2002 ed il 2007, alla prima opportunità di giocare in una categoria superiore (o una società con grandi ambizioni), “Lele” salutava sempre Novara e se ne andava: Siena, Torino, Salernitana, Perugia. Piazze importanti, ma quel salto di qualità non ne voleva sapere di arrivare. E ai tifosi del Novara quei comportamenti non piacevano affatto.
Poi nel giugno 2007, ecco arrivare la chiamata dell’allora direttore sportivo del Novara, Sergio Borgo, a chiedergli di riprovarci ancora una volta con il club azzurro, ora guidato da una dirigenza seria e conscia delle proprie potenzialità. C’era un progetto serio alle spalle, nulla sembrava improvvisato e lasciato al caso come negli anni passati. Rubino all’inizio era scettico, ma alla fine decise di ritornare, per la quarta volta, ancora una volta a Novara e al Novara: lascerà il club azzurro solo il 1° luglio 2014, riappacificandosi con i tifosi (e alla prima stagione segnò ben 18 reti, suo massimo di sempre in carriera).
In sette anni Raffaele Rubino divenne capitano, leader, uomo simbolo, icona, punto di riferimento, un attaccante sempre sul pezzo e secondo marcatore della storia del club, superando addirittura Silvio Piola nel computo dei gol segnati in maglia azzurra. Nonché l’uomo dei record e della mano battuta sul petto dopo un gol, di testa come di piede e sfoggiando i suoi lunghi capelli biondi tenuti da una fascetta bianca.
Parliamo anche di un calciatore che, tornato nella “sua” Bari ad un anno dallo storico gol al Parma, il 15 dicembre 2012, si vide tributare una standing ovation da tutto il “San Nicola” dove lo stesso Raffaele Rubino avrebbe voluto giocare “da grande” in un’atmosfera da tifo sudamericano: nessuno laggiù si era dimenticato di lui.
Eppure Rubino quel 26 novembre di dieci anni fa scrisse una grande pagina di calcio non più di provincia come era abituato a vivere lui il calcio: l’Italia lo aveva scoperto, aveva scoperto le sue lacrime umane, aveva scoperto la t-shirt mostrata ai tifosi (una t-shirt che lui ha sempre definito “di Serie C”), aveva scoperto la sua grinta nel cercare e volere quella rete. Lui che aveva sempre mostrato gli attributi e non si era mai arreso.
Rubino aveva iniziato quella stagione in Serie A come ultima scelta tecnica in attacco, facendosi da parte in favore di giocatori più giovani e che avevano più Serie A nelle gambe e nella testa rispetto a lui (o così si pensava). Anche se non era il capitano “in campo” perché spesso fu relegato in panchina, Rubino era il capitano del Novara tutti i giorni della settimana.
Quel gol segnato alle 19:25 di un freddo sabato di fine novembre di dieci anni fa al Parma ripagò Raffaele Rubino da Bari delle fatiche fatte in carriera per diventare un giocatore professionista, lui che era partito dalla Puglia per “salire” al Nord in cerca della gloria. Riuscendoci.
Il primato di Rubino è rimasto tale fino al 9 gennaio 2016, quando Lorenzo Pasciuti del Carpi segnò un altrettanto gol storico: l’allora centrocampista biancorosso divenne il primo giocatore a segnare almeno un gol con la stessa maglia dalla Serie D alla Serie A. E con tutti i giorni dell’anno, Pasciuti stabilì quel primato il giorno del 38° compleanno di Rubino.
Alla “compagnia” del marcatori storici si sono aggiunti poi il 30 dicembre 2016 Alessandro Lucarelli del Parma ed il 3 marzo 2021 Mario Santana del Palermo. Quando si dicono le coincidenze: Rubino segnò il suo gol storico contro il Parma, Pasciuti segnò il suo gol storico nel giorno del compleanno di Rubino, Lucarelli segnò il suo gol storico con la maglia della squadra cui Rubino aveva segnato il suo gol storico e lo stesso Lucarelli era in campo quel 26 novembre 2011 come avversario e marcatore delle stesso Rubino.
Raffaele Rubino quella stagione segnò poi un’altra rete (al Catania), giocando complessivamente diciannove partite. Ma quel Novara-Parma di quel 26 novembre 2011, quel gol, quelle lacrime e quello stadio che urlava il suo nome, “Lele” non dimenticherà nulla e potrà raccontare ai nipoti e a tutti quelli che adorano le favore calcistiche di provincia cosa è stato capace di fare quel sabato sera.
La vita riserva a tutti quanti uno “sliding doors”: cosa sarebbe successo se Rubino non avesse creduto ancora in sé stesso e nel Novara in quella calda estate del 2007? I tifosi del Novara se lo sono sempre chiesti, ma hanno sempre preferito al film con Gwyneth Paltrow, un film sul calcio come “Febbre a 90”.
Chissà se anche Raffaele Rubino, il Re leone con la maglia numero 9 sulla schiena, li hai mai visti quei film.
immagine in evidenza tratta da www.sport.sky.it