Il fotografo di «guerra» Alessandro Rota ha affascinato Turbigo commentando i suoi scatti.

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di Alessio Marrari

E’ stata l’elegantissima “Sala Vetrate”, sita nelle adiacenze del cortile interno di Palazzo Gray – De Cristoforis, sede del Comune di Turbigo, ad ospitare il fotografo Alessandro Rota, noto per aver lavorato su territori ostili di guerra come Iraq, Afghanistan, Sud Sudan e Somalia. Membro del National Union of Journalists, ha tenuto lezioni presso il Politecnico di Milano, alla University of Westminster di Londra ed al centro di ricerca di prato presso l’Università Australiana Monash. Il suo curriculum, ricco di moltissime altre esperienze importanti, è stato il bigliettino da visita per una serata all’insegna di elevata adrenalina artistica. A fare gli onori di casa il Sindaco Christian Garavaglia insieme ad altre autorità amministrative. Moderatore attento quanto ferrato in materia, Andrea Snaiderbaur il quale ha colloquiato con l’esperto, tenendo altissimi i livelli di attenzione e coinvolgimento. “Ciliegina sulla torta” la partecipazione attiva  del Tenente Colonnello Gianluigi Arca, al momento in servizio presso un centro militare operativo della NATO, in passato al comando della Brigata Sassari impegnata nell’operazione “Strade Sicure” che, ai tempi, coadiuvava il lavoro quotidiano delle Forze dell’Ordine in zone di elevata criticità. Già dalla proiezione della prima fotografia l’interesse del pubblico ha maturato brusii di stupore ed i racconti di Rota, spiegati nei dettagli con apprezzabile umiltà caratteriale, hanno suscitato domande ed interrogazioni interiori. Determinati meccanismi atti al raggiungimento di obiettivi fotografici non si discostano molto dalle operazioni militari, ormai divenute quasi normali, trasmesse dalle emittenti televisive nazionali ed internazionali. Nessuno però ci racconta come un fotografo riesca ad arrivare a “scattare” in determinati contesti ostili. “I nostri accompagnatori sono giornalisti locali e/o traduttori del luogo, i quali hanno i loro ganci atti a condurci a parlare, intervistare e relazionarci con personaggi quasi irraggiungibili e protagonisti degli scenari di guerra più crudi”, racconta Rota. Sarebbe opportuno scrivere un articolo su ogni fotografia proiettata ma prendiamone una come esempio, giusto per far comprendere al lettore cosa esista dietro uno scatto e che lavoro si debba compiere ai fini del risultato: “in Libano ero con gli accompagnatori del mio viaggio e, l’appuntamento, doveva avvenire con un un membro Hezbollah, ovvero «Partito di Dio», organizzazione libanese divenuta poi politico/sciita nel 1982. Entrammo in un bar, il titolare al nostro arrivo chiuse al pubblico l’attività, ci condusse attraverso un cortile interno dalla persona che attendeva e l’atmosfera non era mai serena, ci si studiava  vicendevolmente fino a riuscire ad intervistare e scattare”, continua Rota. Foto a 50, 100, 200 metri da fronti attivi ove eserciti regolari, polizie, abitanti volontari combattono tutt’oggi per lotte di potere e conflitti religiosi. Immagini di fosse comuni, racconti di passaggi su campi d’azione di cecchini dell’ISIS, di squadre pronte ad intervenire, ma anche di sport e vita normale in quanto, “gli abitanti di quei luoghi continuano a cercare di vivere normalmente per quanto possibile, la paura è il peggior mezzo per affrontare tutto ciò, sarebbe come dimostrare ai terroristi che hanno vinto”. Conflitti di riflessione o riflessioni sui conflitti? Ancora oggi, il giorno dopo la presentazione, si stenta a rispondere con esattezza, sangue e terrore non avranno mai un significato certo di ragioni o torto, ma, uno scatto, può alimentare la mente a ragionare, molto più rispetto a “politiche soluzioni” che non saranno in grado di cancellare o sbiadire scenari raccapriccianti come quelli vissuti e documentati da Alessandro Rota.