Il mantenimento dei figli.

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di Antonio Costa Barbè

Una preziosa nota di CHIARA INGENITO da me aggiornata alla ordinanza della Cassazione 3 febbraio – 26 aprile 2017, n. 10207

Il quadro normativo
Il dovere al mantenimento dei figli è sancito dall’art. 30 della Costituzione, dagli artt. 147 e ss. c.c. e, indirettamente, dall’art. 315 bis, comma 1, c.c. che impongono ad ambedue i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Non vi è alcuna norma nell’ordinamento che preveda che tale obbligo specifico dei genitori possa cessare con il raggiungimento della maggiore età del figlio, e, fino a poco tempo fa, al contempo, non vi era alcuna norma che espressamente prevedesse che il figlio dovesse essere mantenuto, dai genitori, oltre la maggiore età.
Successivamente, la L. n. 54/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento”, all’art. 155-quinquies, aveva statuito che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”. Tuttavia, tale norma è stata abrogata dall’art. 106, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha, contestualmente, introdotto l’art. 337 septies che stabilisce “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, e’ versato direttamente all’avente diritto…”.
Ad oggi quindi l’ordinamento stabilisce con gli artt. 147 e 315 bis che vi è un vero e proprio diritto di solidarietà che tutela un interesse fondamentale dell’individuo a ricevere un aiuto concreto nel corso della sua formazione e crescita, per ogni esigenza di vita e di formazione. Inoltre, con l’art. 337 septies stabilisce che il giudice “può” disporre il pagamento di un assegno periodico in favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente. La scelta del Legislatore di individuare in capo al giudice un potere discrezionale, da esercitare a seconda delle circostanze del caso concreto, ha dato vita ad una giurisprudenza sul punto, tale da orientare le decisioni.
Il mantenimento del figlio è un obbligo che i genitori hanno in solido, e, nel loro rapporto interno, come recitano le norme di riferimento richiamate, lo ripartiscono in proporzione alle proprie sostanze patrimoniali e alla capacità lavorativa.
In base a quanto previsto dal legislatore, l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, consiste sia nelle spese ordinarie sia in quelle straordinarie e, in particolare, riguarda le spese concernenti istruzione e formazione, in quanto, per la giurisprudenza, è proprio rispetto al consolidamento da parte del figlio, di una posizione appagante a livello professionale, in considerazione del proprio percorso di studi, che si definisce il termine ultimo di corresponsione del mantenimento.
Il mantenimento quindi ha un contenuto ampio, tale da ricomprendere, nello specifico, sia le spese ordinarie della vita quotidiana (vitto, abbigliamento, ecc.) sia quelle relative all’istruzione e persino quelle per lo svago e le vacanze.
La lettura combinata quindi degli artt. 30 Cost., 147, 315 bis e 337 septies c.c. porta a concludere che vi è un obbligo di mantenimento dei figli che permane oltre la maggiore età e un diritto del figlio ad essere mantenuto, fino a che, completata l’istruzione, possa avere gli adeguati strumenti per realizzare la propria indipendenza economica.
L’obbligo dei genitori di mantenere un figlio maggiore di età, oltre che nelle fonti richiamate, trova una declinazione concreta nell’elaborazione della giurisprudenza, che, nonostante alcune oscillazioni, ad oggi sembra avere un orientamento piuttosto consolidato.
I limiti al mantenimento: l’indipendenza economica ed il completamento del percorso di formazione professionale
Il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta più il termine ultimo della corresponsione del mantenimento, ma quest’ultimo è condizionato dal raggiungimento di un’autosufficienza economica tale da provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, in correlazione al completamento di un fruttuoso percorso di studio.
Va richiamata, prima di tutto, sia per l’importanza della pronuncia in sé sia perché è la più recente, nell’ambito delle decisioni di merito, la statuizione della nona sezione del Tribunale di Milano, nella quale viene disposto, per la prima volta, che con il superamento di una certa età, “il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, semmai, meritevole dei diritti ex art. 433 c.c. ma non può più essere trattato come ‘figlio’, bensì come adulto”. Ciò viene motivato sulla base del dovere di autoresponsabilità del figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell’obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché “l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione” (Cass. n. 18076/2014; Cass. SS.UU. n. 20448/2014). Tale obbligo, secondo la pronuncia del Tribunale di Milano è, “in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee” non può protrarsi dunque “oltre la soglia dei 34 anni”, età a partire dalla quale “lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non – può – più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all’adulto”. Il Tribunale fornisce anche alcuni spunti interessanti in merito alla valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, asserendo che la valutazione del giudice deve essere orientata in modo da “escludere che la tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, com’è stato evidenziato in dottrina, in “forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani”.
In relazione alle ultime pronunce della giurisprudenza di legittimità, va invece richiamata una recente pronuncia della Cassazione, (Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 12 aprile 2016, n. 7168) in cui viene sancito che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 cod. civ., cessa a seguito del raggiungimento, da parte di quest’ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. Quindi la giurisprudenza concentra la propria attenzione sui limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, statuendo che non qualsiasi impiego o reddito (come il lavoro precario, ad esempio) fa venir meno l’obbligo del mantenimento (Cass. n. 18/2011), sebbene non sia necessario un lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire un’autosufficienza economica (Cass. n. 27377/2013). In particolare la giurisprudenza di merito ha avuto modo di specificare che l’obbligo del genitore – separato e/o divorziato – di concorrere al mantenimento del figlio maggiorenne può ritenersi estinto solo esclusivamente a seguito del comprovato raggiungimento da parte del figlio medesimo di un’effettiva e stabile indipendenza economica ovvero della sua dimostrata colposa inerzia nell’attuazione o prosecuzione di un valido percorso di formazione e/o studio. In particolare, il Tribunale di Savona ha osservato che la percezione da parte del figlio di somme di denaro di modesta entità a seguito dell’espletamento di attività lavorative saltuarie e/o “a chiamata” non può integrare il presupposto dell’indipendenza economica, atteso che gli emolumenti sono rimessi di fatto alla determinazione unilaterale del datore di lavoro” (Tribunale Savona 27 gennaio 2016).
In relazione invece ai profili che riguardano l’acquisizione di una professionalità del figlio ed una collocazione nel mondo del lavoro adeguata alle sue aspirazioni, la giurisprudenza, ritiene pacifico, già da tempo, che, affinché venga meno l’obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un’appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012). Correlativamente quindi, se il figlio coltiva delle aspirazioni e voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera, ciò non può non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013). È esclusa, invece, dalla Cassazione l’attribuzione del beneficio ricondotta a “perdita di chance” perché la stessa travisa l’interpretazione dell’istituto del mantenimento che è destinato a cessare una volta raggiunto uno status di autosufficienza economica con la percezione di “un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato” (Cass. n. 20137/2013).
Si ritiene opportuno, per completezza, fare un breve cenno all’ipotesi in cui il figlio, ancora non autosufficiente economicamente, contragga matrimonio.
In tale ipotesi l’obbligo di mantenimento da parte del genitore non si interrompe in modo automatico, ma è sempre necessaria una sentenza di revisione delle condizioni di separazione/divorzio rispetto a cui il genitore ha l’onere di provare “che il figlio ha raggiunto l’indipendenza”, oppure “che è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua (discutibile) scelta”. (Tribunale di Perugia, sentenza 27 luglio 2015).
Va dato conto, in ultimo, anche dell’ipotesi in cui, venute meno le circostanze poste a presupposto del mantenimento del figlio maggiorenne, a seguito del raggiungimento della piena autosufficienza economica del figlio maggiorenne, si verifichi la sopravvenienza di circostanze ulteriori che determinano l’effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata, non può risorgere l’obbligo “potendo sussistere al massimo, in capo ai genitori, un obbligo alimentare” (Cass. n. 2171/2012; n. 5174/2012; n. 1585/2014).
L’ipotesi in cui l’obbligo di mantenimento venga meno per negligenza del figlio
Nell’analisi della tematica del mantenimento del figlio maggiorenne va anche ricostruito il rilevante profilo che attiene alla interruzione dell’obbligo di mantenimento quando ciò avvenga a causa di una condotta del figlio stesso. Infatti, per indirizzo costante e unanime della giurisprudenza e della dottrina, l’obbligo perdura sino a quando il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica, non sia causato da negligenza o non dipenda da fatto imputabile al figlio. Per cui, è configurabile l’esonero dalla corresponsione dell’assegno, laddove, posto in concreto nelle condizioni di raggiungere l’autonomia economica dai genitori, il figlio maggiorenne abbia opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte (Cass. n. 4765/2002; Cass. n. 1830/2011; Cass. n. 7970/2013), ovvero abbia dimostrato colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento (nella fattispecie la Corte, con sentenza n. 1585/2014, ha escluso il diritto al mantenimento del figlio ventottenne che aveva iniziato ad espletare attività lavorativa, ancorché saltuaria, e non frequentava con profitto il corso di laurea a cui risultava formalmente iscritto da più di otto anni).
Il versamento del mantenimento direttamente al figlio maggiorenne
Con l’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c. (L. n. 54/2006 c.d. Legge sull’affido condiviso), il Legislatore aveva previsto che l’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente fosse versato direttamente all’avente diritto.
Sul punto, la Corte di Cassazione si era pronunciata più volte chiarendo che il Giudice, laddove, sia stato richiesto il versamento diretto al figlio maggiorenne non è tenuto per legge a concederlo; la decisione è sempre affidata alla discrezionalità del Giudice e alla valutazione del caso concreto (Cass. n. 20408, 2011). Inoltre, la giurisprudenza aveva anche statuito che la madre potesse agire personalmente per ottenere il contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte dell’altro genitore, in quanto titolare di un diritto proprio ad essere sostenuta economicamente nel mantenimento del figlio non economicamente indipendente, con lei convivente nella casa familiare (Cass. n. 19607/2011). Infine la Cassazione aveva stabilito che il Giudice potesse disporre il versamento diretto del mantenimento al figlio maggiorenne solo su istanza del figlio stesso, (Cass. n. 25300/2013).
Era evidente quindi che l’orientamento era volto a stabilire che il coniuge obbligato al mantenimento non può chiedere di versarlo direttamente al figlio.
La questione è stata definitivamente risolta nel 2014, con l’abrogazione dell’art. 155 quinquies c.c. (con D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154); in tal modo è stato fugato ogni dubbio sulla questione, escludendo la possibilità che il genitore obbligato al mantenimento possa automaticamente, al compimento del diciottesimo anno di età del figlio, iniziare a versare l’assegno direttamente allo stesso. Pertanto, attualmente solo il figlio maggiorenne può, ove lo desideri, chiedere al Giudice di disporre il versamento diretto a sé del proprio mantenimento.
Tutto ciò è, evidentemente, finalizzato ad evitare che il versamento diretto al figlio maggiorenne da parte del genitore onerato possa essere strumentalizzato per sottrarsi al proprio obbligo al mantenimento.
La legittimazione ad agire per far valere in giudizio il diritto al mantenimento
Una questione controversa in dottrina e in giurisprudenza è quella inerente il soggetto legittimato a far valere in giudizio il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento, considerato che l’art. 155-quinquies c.c. disponeva il versamento dell’assegno “all’avente diritto”.
La Cassazione (Cass. n. 18844/2007; n. 23590/2010) mostrava un atteggiamento di favore riguardo all’intervento del figlio maggiorenne ma non autonomo nel giudizio (di separazione o divorzio) pendente tra i propri genitori al fine di far valere il proprio diritto al mantenimento (realizzando così un “simultaneus processus”). Va detto che, sia in vigenza del regime precedente che di quello attuale, l’orientamento maggioritario ritiene “tuttora sussistente la legittimazione del coniuge convivente (“concorrente” o “straordinaria”) ad agire iure proprio nei confronti dell’altro genitore, in assenza di un’autonoma richiesta da parte del figlio” per richiedere il versamento dell’assegno (Cass. n. 9238/1996; Cass. n. 11320/2005; cass. n. 359/2014; Cass. n. 921/2014; Cass. n. 1805/2014).
In una recente pronuncia di merito sul punto, la giurisprudenza asserisce che “Il diritto alla separazione è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come situazione giuridico-soggettiva che realizza la personalità dell’individuo e quindi si tratta di un diritto personalissimo; anche in regime di amministrazione di sostegno, il beneficiario, può compiere atti personalissimi, poichè la misura non comporta la perdita della titolarità di tali diritti e di conseguenza neppure l’esercizio. Non è necessario disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio maggiorenne in quanto costui, pur essendo legittimato ad intervenire nel procedimento al fine di formulare in suo favore apposita domanda di riconoscimento di tale contributo nonchè di pagamento diretto dello stesso a norma dell’art. 337-septies cc, facoltà che non ha ritenuto di esercitare, non può ritenersi litisconsorte necessario bensì titolare di una legittimazione alternativa e concorrente con quella della madre”. (Tribunale Bari, sez. I, 7 ottobre 2015, n. 4205).
L’onere della prova spetta al genitore
Ai fini dell’esenzione dall’obbligo di mantenimento è necessario un provvedimento del giudice (Cass. n. 13184/2011; Tribunale di Modena 23 febbraio 2011).
L’onere probatorio, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, spetta al genitore che chiede di essere esonerato dall’obbligazione ex lege, il quale deve fornire “la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest’ultimo imputabile (Cass. n. 2289/2001; Cass. n. 11828/2009).
Recentemente, la giurisprudenza ha precisato che “Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autosufficienza economica, ma anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858).
AGGIORNAMENTO dell’aprile 2017

Cassazione Civile, sez. VI, ordinanza 26/04/2017 n° 10207

In tema di mantenimento per il figlio maggiorenne studente, il diritto del figlio si giustifica se esiste l’obbiettivo di realizzare di un progetto educativo e un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori. Rilevano l’età e la volontà del figlio di conseguire un livello professionale e tecnico per inserirsi nel mondo del lavoro.

La Corte di Cassazione – ordinanza n. 10207 depositata il 26 aprile 2017 – ribadisce l’orientamento corrente della giurisprudenza sui presupposti per la cessazione dell’obbligo di mantenimento di cui all’articolo 147 cod. civ. nei confronti dei figli maggiorenni.

Grava sul genitore obbligato l’onere di dimostrare che i figli abbiano raggiunto l’indipendenza economica o, se studenti, che seguano con profitto un corso di studi volto all’inserimento nel mondo del lavoro.

Nel caso in esame si trattava di una ragazza ventiseienne che aveva terminato un corso di laurea triennale in educazione professionale nei servizi sanitari, ma aveva deciso di voler proseguire il proprio percorso di studi per realizzare un inserimento nel mondo lavorativo corrispondente alle proprie aspirazioni professionali.

La Corte d’appello aveva confermato il mantenimento per la figlia sul presupposto che il titolo di studi conseguito era soltanto una tappa del percorso formativo intrapreso e basandosi sulle generali condizioni economiche della famiglia.

Secondo la Corte di Cassazione – richiamata la recente sentenza della prima sezione civile n. 12952 del 22 giugno 2016 – la cessazione dell’obbligo di mantenimento per i figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che deve essere basato su quattro punti:

  • l’età;
  • l’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica;
  • l’impegno diretto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa;
  • la complessiva condotta personale tenuta, da parte dell’avente diritto, dal momento del raggiungimento della maggiore età.

In questo senso si è espressa la recente giurisprudenza in materia.

L’autosufficienza può dirsi raggiunta quando i figli percepiscono un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, oppure quando si sottraggono volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata.

L’obbligo viene meno anche se il figlio studente, per sua ingiustificata inerzia, non provvede a terminare gli studi (Cass. Civ. n 8954/2010, Cass. Civ. ord. n. 7970/2013 e Cass. Civ. n. 4555/2012).

L’età è uno dei parametri oggetto dell’accertamento poiché lo studente universitario ultratrentenne che non ha terminato il corso di studi, oppure non abbia trovato una pur possibile attività remunerativa, perde il diritto a essere mantenuto (Cass. Civ. n. 27377/2013).

Nello specifico, la scelta della ragazza di proseguire il percorso di studi era finalizzata ad una miglior collocazione nel mondo del lavoro, corrispondeva alle inclinazioni personali della figlia ed era compatibile con le condizioni socio – economiche della sua famiglia.

Il giudice di merito, secondo la Corte, deve valutare con insindacabile apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il perdurare dell’obbligo di mantenimento, poiché tale obbligo non può prolungarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura.

Il diritto del figlio si giustifica se esiste l’obbiettivo di realizzare di un progetto educativo e un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori.

Ecco la sentenza integrale:

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Ordinanza 3 febbraio – 26 aprile 2017, n. 10207

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
B.C.G., rappresentato e difeso dagli avv.ti Massimo Moretti e Maurizio Visconti, giusta mandato a margine del ricorso che dichiarano di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. (OMISSIS) e alla p.e.c. studiolegalemoretti.pec.it;
– ricorrente –
nei confronti di:
G.D. e C.L., elettivamente domiciliate in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentate e difese dall’avv. Rita Rossi (fax n. (OMISSIS)), giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto in data 1/9 giugno 2015 della Corte di appello di Venezia, n. R.G. 118/2015.
Svolgimento del processo
che:
1. Il Tribunale di Treviso, con provvedimento del 3 aprile 2015, ha respinto le domande proposte separatamente da C.G.B. e dalla ex moglie G.D. rispettivamente per ottenere l’incremento e la revoca o la riduzione dell’assegno mensile di 850 Euro posto nella sentenza di divorzio a carico del padre a titolo di contributo al mantenimento della figlia L. non ancora indipendente economicamente.
2. La Corte di appello di Venezia, con decreto dell’1/9 giugno 2015, ha respinto il reclamo principale proposto dal C. e quello incidentale proposto dalla G.. Ha rilevato la Corte veneziana che: a) in sede di revisione il giudice non può procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti ma deve limitarsi a verificare se, e in che misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto; b) l’obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l’indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggono volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata (Cass. n. 4555/2012); c) la revoca dell’obbligo contributivo non può essere legata nel caso in esame al mero conseguimento di una laurea triennale in educazione professionale nei servizi sanitari in assenza della prova che la beneficiaria dell’assegno abbia rifiutato concrete opportunità lavorative ed avendo C.L. dimostrato di voler proseguire il proprio percorso di studi per realizzare un utile inserimento nel mondo lavorativo conforme alle proprie aspirazioni professionali; d) la riduzione dell’assegno, richiesta in via subordinata dal C., non può essere accolta per le stesse ragioni costituendo il titolo di studi conseguito solo una tappa del percorso formativo intrapreso.
3. Ricorre per cassazione C.G.B. affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 e degli artt. 147, 148 e 315 bis c.c.. Carenza e contraddittorietà della motivazione.
4. Si difendono con controricorso G.D. e C.L..
Motivi della decisione
che:
5. La giurisprudenza di legittimità ha anche di recente ribadito che la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonchè, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, da parte dell’avente diritto, dal momento del raggiungimento della maggiore età (Cass. civ. sezione 1, n. 12952 del 22 giugno 2016).
6. La Corte di appello di Venezia ha richiamato in modo sostanzialmente corretto la giurisprudenza in materia e ha accertato l’insussistenza delle condizioni per la cessazione dell’obbligo di mantenimento in primo luogo rilevando che non risulta provato nè che C.L. abbia conseguito l’indipendenza economica nè che abbia rifiutato concrete opportunità lavorative. Quanto invece alla prosecuzione del percorso di studi la Corte di appello ha ritenuto che si tratta di una scelta finalizzata a un utile inserimento nel mondo lavorativo corrispondente alle inclinazioni personali della giovane figlia del ricorrente e compatibile con la sua età al momento della decisione (ventisei anni) e con le condizioni socio – economiche della sua famiglia. Tali valutazioni che attengono al merito della controversia non sono soggette al sindacato di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. 1, n. 2392 del 4 marzo 1998 e n. 18076 del 20 agosto 2014 secondo cui il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere dell’obbligo di mantenimento, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poichè il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni purchè compatibili con le condizioni economiche dei genitori.
7. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi 3.200 Euro di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, pari a quello versato a titolo di contributo unificato, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017.