di Simone Balocco
Domenica 16 settembre, salvo anticipi/posticipi del caso, inizierà il campionato di Serie. Il Novara sarà impegnato nella difficile risalita alla Serie B. Insieme a lui, diciannove squadre (o così dovrebbero essere) che faranno di tutto per vincere il campionato anche per non affrontare i play off monstre che vedranno impegnate altre ventisette squadre degli altri gironi per un posto in cadetteria. Sempre che le regole non cambino rispetto agli ultimi due campionati.
Con questo pezzo su Teófilo Cubillas termina il mini spazio dedicato a due giocatori che non hanno nulla a che vedere con il Novara, ma che hanno scritto a modo loro un piccolo spazio nello “sport più bello del Mondo”.
Il Mondiale di calcio lo ha vinto la Francia superando in finale la Croazia, ma la vittoria dell'(ipotetico) Mondiale delle maglie più caratteristiche e nostalgiche è andata senza dubbio al Perù: una maglia completamente bianca con una banda trasversale rossa che la rende un unicum a livello mondiale.
Dopo 36 anni di attesa, la Selezione blanquirroja è tornata a calcare i campi di un campionato del Mondo proprio in Russia, trascinata dal suo uomo-immagine, il suo numero 9, Paolo Guerrero. E pensare che Guerrero non doveva neanche disputare i Mondiali perché squalificato per doping, salvo poi vedersi revocare la sanzione, permettendo allo stesso depredador di imbarcarsi a Lima e scendere in Russia
Guerrero è un mito nel suo Paese, anche perché il 5 giugno di due anni fa, durante il primo turno della Copa América Centenario, segnò un gol importante contro Haiti, diventando (allora), con 27 reti, il top scorer della Nazionale, superando un record che durava dal 1982. Un primato che sembrava saldo nelle mani (anzi, nei piedi) del giocatore peruviano più forte di tutti i tempi. Un’icona calcistica di una Nazione intera che trovava nel calcio la sua arma contro la povertà e regimi politici non proprio democratici tra gli anni Sessanta e Settanta. Un calciatore che ha scritto la storia del calcio nel Paese di Machu Picchu, del lago Titicaca e che ha dato i natali allo scrittore Mario Vargas Llosa. Un Paese geograficamente incastrato nelle Ande, un Paese che con il calcio è riuscito ad uscire dall’anonimato grazie ad un centrocampista che scrisse pagine importanti sia con il principale club del Paese (il Club Alianza Lima) sia con la Nazionale peruviana. Stiamo parlando di Teófilo Cubillas.
Classe 1949, a sedici anni Cubillas era già in prima squadra nel team più titolato del Perù, il Club Alianza Lima, e l’anno dopo vinse il titolo di miglior marcatore del Descentralizado, la massima serie peruviana.
Una storia, la sua, come tanti altri calciatori nel povero Sudamerica degli anni Cinquanta: i primi calci per strada con un pallone “finto”, la trafila nelle squadrette locali con il sogno di diventare un giorno un grande calciatore e la successiva affermazione. Cubillas divenne un giocatore del Club Alianza Lima a 14 anni e ne difese i colori (salvo alcune brevi parentesi all’estero) fino ai 40 anni.
A 17 anni, dopo un anno di apprendistato, Teófilo Cubillas segnò addirittura 19 reti in campionato: va bene che il campionato peruviano era lungi dall’essere un torneo competitivo, ma 19 reti segnate a 17 anni con vittoria della classifica marcatori sono sempre 19 reti a 17 anni con vittoria della classifica marcatori.
Da allora e fino al 1973 si creò un binomio storico tra il Nene e la squadra aliancista, un legame unico ed irripetibile ed il giocatore ricambiò con un’altra classifica marcatori vinta con 22 reti nel suo anno di grazia, il 1970. Cose da vero matador dell’area di rigore.
Nel 1972 Cubillas si aggiudicò anche il titolo di capocannoniere della Copa Libertadors (con il Club Alianza Lima eliminato nel primo girone) e di miglior giocatore sudamericano, una sorta di Pallone d’oro continentale: da allora, nessun altro giocatore peruviano ha più vinto il premio. Nel mentre, vinse per tre volte consecutive il premio di miglior giocatore peruviano. Insomma, dalle parti di Machu Picchu avevano un fenomeno e se lo coccolavano amorevolmente.
Nel 1973 Cubillas prese un aereo e sbarcò in Europa, tesserato da una squadra per nulla competitiva a livello europeo come il Basilea. L’esperienza fu negativa, in quanto la Svizzera, e la sua capitale, non avevano nulla a che vedere con il Perù e Lima: anche nei peruviani, come nei brasiliani, c’era una forte saudade e dopo sei mesi il giocatore lasciò il club della capitale elvetica. Nonostante tutto, realizzò sette reti in quattordici partite, in piena “media Cubillas”.
Nel gennaio 1974 Cubillas prese un altro aereo e si spostò a Oporto per vestire la maglia di una delle grandi del Paese dei Quinas, il Porto. Lì ebbe la sfortuna di giocare nel campionato “gestito” dal Benfica (sei titoli tra il 1971 ed il 1977) anche se a livello europeo il calcio lusitano non ebbe lampi. Con la maglia dei dragões, in due stagioni, Teófilo Cubillas giocò 85 partite segnando quarantotto reti, vincendo il titolo onorifico di miglior giocatore straniero della Primeira Liga, mentre in campionato la squadra si piazzò seconda e quarta in campionato.
Nel 1977 lasciò il Portogallo e tornò in Perù per vestire i colori della “sua” Alianza, dove vinse altri due titoli nazionali consecutivi, segnando trentacinque reti. Nell’edizione 1978, raggiunse anche le semifinali di Copa Libertadores, risultato che eguagliò quello della stagione 1976 diventando la terza squadra peruviana (fino a quel momento) ad essersi spinta così avanti nella manifestazione.
Fino al 1989, Cubillas intervallò l’esperienza in Perù con tre squadre del massimo campionato americano: Fort Lauderdale Strikers, South Florida Sun e Miami Sharks. Con i primi perse la finale del titolo nazionale nel 1980 contro New York Cosmos.
Nonostante l’età che avanzava, Teófilo Cubillas, negli States, tenne una media realizzativa molto alta e nel 1989 appese le scarpe al chiodo, decidendo di aprire una serie di scuole calcio negli Stati Uniti d’America.
Fin qui la storia di un calciatore qualsiasi, un giocatore come tanti che non sembrerebbe aver fatto nulla di che. Ma la carriera di Cubillas va separata tra quella del “calciatore di club” e quella di “calciatore della Nazionale”. Perché qua emerge il mito di Teófilo Cubillas.
Innanzitutto facciamo un ripasso di storia (calcistica): il Perù ha preso parte a cinque edizioni del Mondiale (1930, 1970, 1978, 1982 e questa appena conclusa del 2018).
Partiamo con un inciso: Teófilo Cubillas è al nono posto (con dieci reti) tra i marcatori più prolifici della storia del Mondiale, nonché uno con la media gol più alta, avendo segnato queste reti in sole tredici partite, risultando il giocatore peruviano ad aver giocato più partite nelle fasi finali dei Mondiali.
Cubillas giocò la prima partita in camiseta blanquirroja il 17 giugno 1968 contro il Brasile di Pelé, il miglior giocatore dell’epoca (e del Mondo) e nelle qualificazioni al Mondiale di Messico ’70, il Perù e lo stesso Cubillas scrissero una grande pagina di calcio, eliminando l’Argentina negli spareggi: dopo quarant’anni, la blanquirroja tornava a disputare un Mondiale a discapito di una delle grandi del Continente. A venti anni, Cubillas era l’astro nascente di un intero movimento.
Inseriti con Germania Ovest, Marocco e Bulgaria, i ragazzi allenati alllora dal mito brasiliano Didì sconfissero agevolmente i maghrebini ed i balcanici, arrendendosi dinnanzi solo ai tedeschi occidentali. Teófilo Cubillas segnò una doppietta al Marocco e una rete contro Bulgaria e Germania ovest.
Il 14 giugno 1970, a Guadalajara, allo stadio “Jalisco”, il Perù disputò una delle partite più entusiasmanti della sua storia calcistica, proprio contro il Brasile. Una prova epica per le condizioni climatiche e di altezza (1.500 metri) contro una delle squadre più forti della storia e solo perché davanti trovarono il Brasile di Pelé, sennò magari alla finale dell’”Azteca” contro l’Italia potevano esserci Cubillas e soci. Contro i verdeoro, Cubillas fece una partita bellissima segnando la rete del momentaneo 3-2. Pelé a fine Mondiale disse una cosa che lasciò tutti a bocca aperta: “il mio erede sarà Teófilo Cubillas”.
Teófilo Cubillas segnò cinque reti, piazzandosi al terzo posto nella classifica marcatori dietro a Gerd Müller e a Jairzinho, non proprio due sconosciuti.
Il Perù non partecipò poi al Mondiale tedesco del 1974 venendo eliminato dal Cile negli spareggia, ma l’anno dopo la blanquirroja vinse la sua seconda Copa América, sconfiggendo in finale la Colombia: erano quarant’anni che la Selezione non vinceva la “coppa continentale”. Da allora, la Nazionale andina non raggiunse più la finale, piazzandosi quattro volte terza ed una volta quarta. In quella coppa si vide il miglior Cubillas: marcatore, assist man e giocatore determinante per dare al suo paese la seconda Copa América della sua storia dopo quella del 1939.
Negli anni Settanta la nazionale peruviana vide nel giovane Teófilo Cubillas il vero traino per uscire dall’anonimato calcistico. A dire il vero erano presenti anche altri buoni giocatori come Hugo Sotil, Héctor Chumpitaz e Rubén Toribio, ma Cubillas, come si dice in gergo, “praticava un altro sport”.
Nel 1978 il Perù tornò a giocare il Mondiale, qualificandosi per l’edizione argentina, una delle edizioni più controverse della storia; Videla, la dittatura e un campionato indirizzato verso la vittoria finale della Nazionale albiceleste.
Il Perù fu inserito nel girone con Paesi Bassi (orfani di Johan Cruijff) e con le deboli Scozia e Iran. L’apporto di Teófilo Cubillas fu devastante: tre partite disputate, cinque reti segnate e, proprio grazie alla vena realizzativa del suo numero 10, Perù che vinse il girone.
Nella seconda fase a gironi, i ragazzi del Commissario tecnico Marcos Calderón furono inseriti in un girone tosto con i padroni di casa argentini, il Brasile di Rivelino e la Polonia di Grzegorz Lato. Tre partite giocate ed altrettante pesanti sconfitte tanto da non segnare neanche una rete. Sotto i riflettori ci fu la partita contro l’Argentina, giocata a Rosario il 21 giugno 1978: 6-0 per Kempes e compagni, una partita che fu tutta di marca argentina e che fece aleggiare sul Perù lo spettro della combine, tanto che il match fu ribattezzato “marmellata peruviana”. Motivo? Per superare il turno, l’Argentina doveva vincere con almeno quattro reti di scarto e la brutta prestazione del portiere peruviano (nato in Argentina) Quiroga fecero finire malamente il torneo alla Nazionale peruviana.
Il Perù e lo stesso Cubillas tornarono a disputare il Mondiale quattro anni dopo in Spagna e furono inseriti con Polonia, Italia e Camerun, al debutto mondiale. La delusione fu forte: ultimo posto con due pareggi contro Italia e Camerun e una sconfitta senza alibi (5-1) contro i biancorossi polacchi. Il match del 22 giugno 1982 contro la Polonia è stata l’ultima partita giocata dal Perù in un Mondiale prima del match contro la Danimarca dello scorso 16 giugno, nonché l’ultima in Nazionale di Cubillas.
A dire il vero, il bomber classe 1949 si era già ritirato una volta, nel 1986, ma ciò che successe al largo di Caddeo l’8 dicembre 1987 lo fece ritornare in campo. Quel giorno ci fu la tragedia del Club Alianza Lima, con la caduta dell’aereo che trasportava la squadra da Pucallpa verso la capitale dopo che la squadra aveva giocato in quella città una partita di campionato. Il charter ebbe sin da subito problemi tecnici ed i piloti si rivelarono inadeguati: persero la vita quarantatre persone, tra cui tutta la squadra, mister Calderón e lo staff tecnico.
Un duro colpo per il Paese e per il Sudamerica. Molte squadre “prestarono” elementi alla squadra di Lima per giocare e Teófilo Cubillas, come segno di riconoscenza verso la squadra che lo aveva reso grande, decise di ritornare in campo e dare il suo contributo alla causa. Un Cubillas riconoscente verso quella squadra e quella maglia.
Le nuove generazioni non sanno chi era e cosa ha dato al calcio mondiale Teófilo Cubillas: un giocatore illuminato numero 10 atipico, un po’ bomber ed un po’ spalla di sostegno verso due squadre (la Nazionale blanquirroja e l’Alianza) che grazie a lui sono uscite dell’anonimato e giustamente inserito dall’amico (ed estimatore) Pelé tra i 125 calciatori più forti della storia del calcio.
Cubillas, numero 10 per vocazione, è stato uno dei quelli per cui valeva la pena pagare il prezzo del biglietto: bomber, assist man, uomo immagine e uomo spogliatoio. Ovviamente poteva avere una carriera più ricca e non solo di gol, ma a differenza dello stesso Pelé, lui si mise in gioco scegliendo l’Europa, anche se non giocò con squadre di campionati top.
Ma Cubillas ebbe un pregio: fece conoscere calcisticamente il Perù al di fuori del Sudamerica. Per non parlare del fatto che, dopo il disastro aereo del Club Alianza Lima, ritornò a vestire i suoi colori solo come segno di riconoscenza. Un grande questo Teófilo Cubillas.
Peccato che di lui ci si ricordi ogni quattro anni. A volte però.
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