di Simone Balocco
Quando si parla di “Italia”, viene subito in mente l’espressione “terra di santi, poeti e navigatori”. Ma l’Italia è anche detto “Belpaese” per via della sua bellezza (oggettiva e soggettiva), dei suoi paesaggi e di alcune località che tutto il Mondo ci invidia: abbiamo cinquantacinque luoghi Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Compresa la dieta mediterranea, un altro nostro tratto distintivo.
E tutto il Mondo ci conosce (e ci invidia) per la nostra cucina: da Trieste in giù, ogni regione, città e paesino ha un proprio prodotto tipico. Prodotto tipico che molti magari non conoscono e che quando lo assaggiano per la prima volta, si pentono di non averlo assaggiato o scoperto prima.
Il Piemonte non è da meno tra antipasti, primi piatti, carni, vini e dolci. Una particolarità della nostra regione è la presenza del riso, con le province di Vercelli e Novara rispettivamente ai primi due posti in Europa come zone di maggiore produzione di questo cereale. E grazie a questo cereale, le due province sono note per la loro pietanza top level: il risotto. Ovviamente il riso ed i risotti sono cucinati in tutta Italia, ma sicuramente il riso usato proviene senz’altro da una riseria vercellese o novarese.
E Novara? Novara non è da meno tra rustida (un secondo a base di carne di maiale), tapulon (tipico di Borgomanero dove il fulcro è la carne di asino macinato ) e vini delle Colline novaresi (i “rossi” Ghemme, Gattinara, Boca). Ma il piatto tipico per antonomasia nel nostro territorio è una pietanza che si ricava dal riso e che è unica nel suo genere: la paniscia di Novara. Ed infatti, dal punto di vista culinario, la nostra città è legata indissolubilmente a questo piatto della tradizione. Un piatto che ha all’incirca 600 anni di vita e che è il fiore all’occhiello tra i piatti della cucina non solo locale, ma anche regionale.
Prima di spiegare nel dettagli le cinque W della paniscia, è opportuno fare un excursus di spiegazione partendo da un inciso: che differenza c’è tra “riso” e “risotto”?
Il riso è il cereale ed è la materia prima usata per fare il risotto e per farlo esistono diversi tipo di riso (Fino, Superfino, Semifino, Comune), mentre il risotto è il primo piatto che si ricava dal riso attraverso l’utilizzo di brodo, burro, olio e altre verdure (funghi, piselli, fagioli etc.).
La sua ricetta risale addirittura al XV secolo ed è il classico primo piatto domenicale, “della festa” come si dice. Ed il motivo è semplice: è un piatto molto ricco di calorie, molto “carico”, ideale per il pranzo domenicale in famiglia o da mangiare nei mesi freddi dell’anno. E pensare che invece le prime “panisce” venivano preparate per l’alimentazione dei contadini: svolgendo un lavoro molto pesante (parliamo di 1600-1700 dove non c’erano le tecnologie di oggi per l’agricoltura), questo piatto era molto calorico, caldo e li aiutava a sopperire alla fatica.
Da dove nasce il termine paniscia? Nasce come “evoluzione” della parola latina panicum, ovvero panìgo, un cereale oggi poco diffuso che veniva usato nel Medioevo per zuppe e minestroni, così come la segale e l’orzo. Tutti cereali poveri.
Con l’arrivo del riso in Europa ed in Italia (a cavallo tra 1400 e 1500), il panico è stato superato ma l’etimologia non è cambiata ed infatti ancora oggi si parla di “paniscia”. A portare il riso a Novara furono gli Sforza.
Il riso è molto nutriente come alimento, migliore di miglio e panigo e i contadini del tempo lo hanno sostituito nelle loro “diete”, arrivando fino ai giorni nostri.
Cosa caratterizza una paniscia? Per prima cosa la ricetta: non esiste una ricetta vera e propria della paniscia. Nel senso: ognuno la prepara come meglio crede, ovviamente discostandosi poco dagli ingredienti della tradizione. Per intenderci: la paniscia si può preparare come meglio si crede, ma, ad esempio, non si devono mettere (tanto per capirci), i piselli, i funghi porcini. lo zafferano o il gorgonzola.
Può essere preparata tutto l’anno, ma visti gli ingredienti, come detto, la paniscia è il piatto ideale durante i mesi più rigidi dell’anno poiché calorico e ricco di prodotti perfetti per le stagioni fredde.
Gli ingredienti sono (ovviamente) riso, fagioli borlotti, salam d’la duja, verza, sedano, carote, vino rosso (possibilmente delle Colline novaresi) e burro. Gli ingredienti di questo piatto non sono ricercati o di tipo gourmet: sono ingredienti poveri, facilmente reperibili e senza difficoltà di conservazione perché è un piatto contadino, della tradizione ed è il simbolo del Novarese e della novaresità.
Cosa caratterizza la vera paniscia da una imitazione? Innanzitutto il riso: il riso che si consiglia usare è il tipo Carnaroli e la differenza la fa il brodo, cucinato a lunga cottura e composto da verdure e cotenne cotte a parte rispetto al riso, in una sorta di minestrone.
Prima si parlava di “salam d’la duja”. Un lettore non novarese potrebbe chiedere “cos’è il salam d’la duja? Innanzitutto il salame della duja è un particolare tipo di salame, messo sotto grasso in un particolare contenitore detto (dialettalmente) duja (una sorta di barattolo di vetro) e conservato avvolto da uno strato di grasso per circa un anno.
Anche i fagioli sono importanti per la preparazione ed nel passato erano la carne dei poveri, perché ne hanno lo stesso apporto calorico.
Non ci sono teglie o pentole particolari, la cottura deve essere lenta e ripetuta con il mestolo che gira e rigira fino a quando non è pronto.
Non essendoci una ricetta codificata, i novaresi aggiungono più verdure, più salame, più burro, più pepe, più vino. E si aggiungono il lardo ed un po’ di conserva di pomodoro. Ma l’importante è non discostarsi troppo dalla ricetta base.
A Novara la paniscia è un culto tanto che recentemente (nonostante il Covid-19) si sono tenuti i “Paniscia days”, una tre giorni dove molti ristoranti del centro cittadino hanno creato menù ad hoc, preparando ognuno la paniscia in base alle scelte del loro chef, con l’aggiunta di altre specialità della zona con un menù fisso. Si sono tenuti il 22, 23 e 24 ottobre scorso e nonostante le varie restrizioni ha avuto un buon successo che si spera possa essere ripetuto anche il prossimo anno.
E non poteva mancare anche in questo campo il derby con la vicina Vercelli. Oltre alla rivalità sportiva (prettamente calcistica), con la città di San Eusebio c’è anche un derby sul risotto più buono: se Novara sforna la paniscia, Vercelli sforna la panissa.
La panissa è sempre un risotto, solo che a differenza della paniscia in questo piatto (altrettanto calorico e tipicamente da mesi freddi), sono cotti a parte i fagioli e non c’è il minestrone che caratterizza la paniscia. Sono usate sedano, carote, verza e cotiche e la particolarità è il particolare tipo di fagiolo usato: il fagiolo di Saluggia.
Come per i novaresi, anche i vercellesi sono gelosi di questo piatto che per chi non è di queste zone spesso sbaglia pronuncia, ingredienti e ne confonde la provenienza. Una cosa è certa: la paniscia e la panissa sono due piatti slowfood, piatti che non vanno gustati al volo ma gustati con calma, pazienza e attenzione, oltre al fatto che la loro preparazione non è immediata, ma lunga.
Paniscia significa “Novara” ed ogni novarese organizza cene tipiche invitando amici non piemontesi e si fa in quattro per trovare il miglior ristorante in città (o in provincia) dove preparano la miglior paniscia. Soprattutto per far conoscere questo piatto a chi non è novarese e che non ha la possibilità di mangiarla durante l’anno.
I novaresi sono molto gelosi della paniscia e della sua preparazione: è sempre difficile (se non impossibile) stabilire quale sia la più buona. Anche perché capita che (ad esempio) chi sta scrivendo questo articolo la prepari in un modo, chi legge questo articolo la prepara in un altro che è uguale a quella di un altro lettore a sua volta diversa rispetto a quella preparata da un altro. Ma l’importante è che sia buona e nuaresa.
Perché non ce n’è: non c’è Novara senza paniscia, non c’è paniscia senza Novara.
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