“Pronto, Avvocato?”: la dichiarazione di apertura sul dibattimento

Condividi sulla tua pagina social

di Antonio Costa Barbè

Il dibattimento è la fase centrale del processo penale, nella quale si procede alla raccolta ed acquisizione delle prove, nel rispetto del contraddittorio delle parti.

L’articolo 484 del codice di procedura penale prevede che prima di dare inizio al dibattimento il Presidente controlli la regolare costituzione delle parti.

Successivamente si procede ad esaminare le questioni di carattere preliminare che, a pena di decadenza, devono essere proposte subito dopo il controllo della regolare costituzione delle parti e, in relazione alle quali, il giudice provvede con ordinanza (ex art. 491 c.p.p.).

Si tratta delle questioni relative alla:

-competenza per territorio o per connessione;

 -nullità degli atti processuali;

-costituzione della parte civile (che può avvenire non oltre questo momento);

-citazione o presenza del responsabile civile e della persona civilmente obbligata o presenza delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato.

Le questioni vengono discusse, nei limiti di tempo necessari per la loro illustrazione, dal pubblico ministero, prima, e da un difensore per ogni parte, poi. Non sono ammesse repliche.

Compiute le attività descritte sopra, il Presidente dichiara aperto dibattimento ai sensi dell’articolo 492 del codice di procedura penale. Sono dunque esattamente prestabilite dal codice di procedura penale ben precise attività da compiersi secondo un ordine prefissato, ovvero :

1)    verifica regolare costituzione delle parti

2)    disamina questioni preliminari

3)    dichiarazione di apertura del dibattimento.

Oggetti della nostra indagine sono la verifica della natura giuridica e dei limiti della dichiarazione di apertura del dibattimento e le possibili conseguenze di una errata statuizione.

Secondo l’interpretazione corrente, in dottrina ed in giurisprudenza, la dichiarazione di apertura del dibattimento non riveste carattere costitutivo : non contiene cioè una dichiarazione di volontà o un comando, ma rappresenta una enunciazione di tipo meramente ricognitivo, con la quale il Presidente riconosce “…formalmente che si inizia l’attività specificamente volta alla verifica processuale dell’ipotesi accusatoria…” (Cass. sez. I 06.06.1988).

In altre parole il dibattimento deve ritenersi in corso non in virtù della volontà o del comando espressi nell’atto-dichiarazione, ma dalla piena ed integrale effettuazione degli atti ad esso introduttivi[1]. Tant’è che la sua omissione non risulta presidiata da alcuna sanzione e la sua dichiarazione non è atto indefettibile.

Ne discende che :

1)    se gli atti di cui all’art. 484 e ss. cpp rimanessero in tutto o in parte incompiuti “…il dibattimento non sarebbe di fatto aperto malgrado la proclamazione del Presidente…”[2]

2)    se viceversa gli atti dai quali la dichiarazione di apertura dovrebbe riconoscere il compimento sono stati posti in essere “… la sua omissione non impedisce neppure la transizione al dibattimento…”[3]

E’ dunque possibile individuare la costituzione del dibattimento nel periodo di tempo intercorrente tra la chiusura della discussione sulle questioni preliminari e l’inizio delle richieste di ammissione delle prove.[4]

Questioni preliminari che a mente dell’art. 491 cpp non possono più essere sollevate dall’istante immediatamente successivo all’esaurimento degli accertamenti sulla costituzione delle parti.

Ciò anche se l’udienza si concluda senza la formale dichiarazione di apertura del dibattimento, ma vi sia rinvio ad altra data. Invero all’udienza successiva le questioni preliminari di cui all’art. 491 cpp non possono più essere sollevate (Cass. 18.12.1998, Macaveri; Cass. sez. I 11.11.1998, Cucciniello; Cass. sez. VI 13.05.1998, Ullo; Cass. sez. V 04.03.1998, Calabro).

RIASSUMENDO: si entra in fatto ed in diritto nella fase dibattimentale ove in sede di udienza, esaurita la verifica della regolare costituzione delle parti, nell’istante immediatamente successivo, non siano sollevate eccezioni relative alle questioni preliminari. Ciò che rileva è la situazione in concreto creatasi e dunque l’effettivo esaurimento della fase relativa alla verifica della regolare costituzione delle parti. Non vi può dunque essere“errore” nella dichiarazione di apertura del dibattimento, posto che non si tratta di un atto volitivo, ma di una mera enunciazione ricognitiva di una situazione che sussiste o non sussiste.

Rispetto, in particolare, alle questioni relative alla costituzione di parte civile ed alla disposizione di cui all’art. 491 cpp, la giurisprudenza ha statuito che l’eccezione deve essere posta “… subito dopo che sia per la prima volta compiuto l’accertamento della costituzione delle parti e sia decisa immediatamente, imponendo alle parti processuali interessate di prospettare il rilievo immediato delle questioni e al Giudice l’altrettanto immediata decisione delle stesse nell’istante che segue la verifica della costituzione delle parti…” (Cass. 17667/2011).

Pleonastico evidenziare che è onere della parte interessata sollevare la questione e pertanto “…qualora la prima udienza si concluda con l’ordine di prosecuzione ad altra udienza fissa, dopo che la parte sottoposta all’onere di sollevare la questione preliminare dell’ammissibilità della costituzione di parte civile abbia comunque svolto una qualsiasi attività processuale, senza avere sollevato la questione medesima, rimane preclusa alla parte stessa la possibilità di sollevare detta questione oltre il limite temporale segnato dalla conclusione della prima udienza …”(Cass. 17667/2011, nello stesso senso Cass. n. 89/1998).

Il sistema processuale è infatti basato sul principio dell’autoresponsabilità delle parti nel processo per ciò che fanno o non fanno, figlio del principio dispositivo, per cui “… la parte ha da sopportare le conseguenze di ciò che afferma o non afferma; di ciò che nega o ammette; di ciò che prova o non prova; di ciò che dice o tace; in breve del suo contegno processuale…”[5]

Conseguentemente il mancato compimento di un’attività processuale che si aveva l’onere di compiere entro ben precisi termini rimane, successivamente, definitivamente preclusa.

In ipotesi di sostituto processuale

Al fine di fugare eventuali dubbi nell’ipotesi in cui all’udienza prefissata per la verifica della regolare costituzione delle parti sia dato incarico ad un sostituto ex art. 102 cpp e dunque rispetto agli obblighi ed ai poteri di quest’ultimo, la Cassazione (n. 14115/1999) ha ben precisato che : “…in tema di poteri del sostituto del difensore di fiducia, l’art. 102 cpp non riconoscendo rilevanza ad eventuali limitazioni apposte dal difensore di fiducia alla designazione del suo sostituto, prevede che quest’ultimo possa esercitare tutti i diritti assumendo i doveri del difensore. Non può riconoscersi neppure in favore del sostituto processuale la facoltà di chiedere un termine per la difesa, in quanto si tratta di un soggetto che rappresenta il difensore a tutti gli effetti e per la legge ne presuppone la preparazione adeguata…”

E’ dunque evidente che ove il sostituto a ciò appositamente preposto non sollevi eccezioni in merito alle questioni preliminari -nel momento in cui le stesse ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 491 cpp debbono essere sollevate- tale facoltà è definitivamente preclusa all’udienza successiva, essendosi in concreto già entrati nella fase dibattimentale, anche ed indipendentemente da una sua formale dichiarazione di apertura.

In ipotesi di udienza calendarizzata per limitato incombente

Parimenti nell’ipotesi in cui l’udienza sia stata calendarizzata meramente e semplicemente per lo svolgimento di un incombente, al Presidente non è precluso assumere altri ed ulteriori provvedimenti, quali ad esempio la stessa definizione del processo alla prima udienza cui il dibattimento è rinviato (Cass. n. 599/2005).

Ciò in quanto la calendarizzazione delle udienze ha il mero scopo di consentire un’organizzazione programmata del processo, attraverso un governo dei tempi delle fasi di necessaria articolazione della procedura ed introducendo elementi di prevedibilità concreta del momento nel quale la causa arriverà a decisione. Tale adempimento consente altresì di evitare, per quanto possibile inutili rinvii, realizzando il principio di ragionevole durata del processo.

E’ quanto si legge nell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 216 del 18.07.2013.

Ulteriormente si consideri che nell’ambito del procedimento civile sono ben esplicitati i poteri di governo del processo in capo al Giudice, così come si evince dal combinato disposto degli art. 175 disp. att.c.c. e 81 ed 81 bis. disp. att. c.p.c. L’andamento del processo, il suo effettivo funzionamento dal punto di vista meramente formale sono affidati all’esercizio dei poteri discrezionali del Giudice.

Analoghe disposizioni non sussistono nell’ambito del procedimento penale, ma il principio può ritenersi parimenti sotteso. Tanto più nell’ipotesi oggetto della presente disamina, in punto di dichiarazione di apertura del dibattimento, posto che la stessa costituisce dichiarazione meramente ricognitiva di una situazione che di fatto già è.

Dunque il Giudice non può che limitarsi a dichiarare, ovvero può omettere di dichiarare, la formale apertura del dibattimento, in quanto  ciò che giuridicamente rileva è se la stessa, in concreto, sussista. Come già esposto, non vi può essere alcun “errore” sul punto da parte del Giudice, posto che non è situazione che da lui dipende.

In merito alle conseguenze di una erronea ri-apertura del dibattimento

Seguendo il filo logico delle argomentazioni sopra esposte l’eventuale provvedimento del Giudice il quale, ritenendo dichiarata erroneamentel’apertura del dibattimento disponesse nuova udienza per l’esame delle questioni preliminari, sarebbe da ritenersi abnorme, secondo il concetto di“abnormità” elaborato dalla giurisprudenza.

La categoria dell’abnormità non è codificata, ma è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in stretto collegamento con il tema della tassatività, che, come è noto, pervade il regime delle impugnazioni, in genere, e del ricorso per cassazione in specie. Rimedio, quest’ultimo, che, significativamente, racchiude in sé l’esigenza di approntare uno strumento – eventualmente alternativo e residuale rispetto a tutti gli altri rimedi – che assicuri il controllo sulla legalità del procedere della giurisdizione.

L’abnormità, quindi, più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra – sempre e comunque – uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento (SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE PENALI Sentenza 26 marzo 2009 – 22 giugno 2009, n. 25957).

Tanto che si tratti di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli positivamente disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, ciò che è segnale di abnormità è proprio l’esistenza o meno del “potere” di adottarlo.

In questa prospettiva, dunque, abnormità strutturale e funzionale si saldano all’interno di un “fenomeno” unitario.

Se all’Autorità Giudiziaria può riconoscersi l’”attribuzione” circa l’adottabilità di un determinato provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge a prescindere dal fatto che da essi derivino effetti regressivi del processo.

Ove, invece, sia proprio l’”attribuzione” a far difetto -e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale- la conclusione non potrà essere altra che quella dell’abnormità, a cui consegue l’esigenza di rimozione. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno tracciato le caratteristiche della categoria dell’abnormità (S.U. 18-6-1993, P.M. in proc. Garonzi; S.U 24-3-1995, P.M. in proc. Cirulli; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Balzan; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Quarantelli; S.U. 10-12-1997, Di Battista; S.U. 24-11-1999, Magnani; S.U. 24-11-1999 confl. giur. in proc. Di Dona; S.U. 22-11-2.000, P.M. in proc. Boniotti; S.U. 31-1-2001, P.M. in proc. Romano; S.U. 11-7-2001, P.G. in proc. Chirico ; S.U. 29-5-2002, Manca; S.U. 25-2-2004, P.M. in proc. Lustri).

Al riguardo, si è affermato che è affetto da vizio di abnormità :

  1. sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite.
  2. Sotto altro profilo, si è detto che l’abnormità può discendere da ragioni di struttura allorché l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, ovvero può riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo.

    RIASSUMENDO: In ipotesi di dichiarazione di apertura del dibattimento, successivamente ritrattata, con inevitabile regressione del procedimento penale, l’atto si rileva abnorme sotto un duplice profilo:

  3. in quanto, come si è visto, l’apertura del dibattimento non è espressione di un potere del Giudice, il cui atto formale non ha natura costitutiva
  4. in quanto causa una irregolare regressione del procedimento.

Rispetto alla retrocessione del procedimento

La regressione del procedimento di per sé non costituisce elemento decisivo ed esclusivo ai fini dell’individuazione dell’atto abnorme.

Il regresso non rappresenta una causa autonoma di abnormità ed al riguardo deve distinguersi tra regresso tipico (consentito dalla legge),regresso illegittimo (compiuto nell’esercizio di un potere non correttamente esercitato), regresso fonte di abnormità in quanto atipico e conseguente ad atto compiuto in carenza di potere.

Secondo le sentenze della Cassazione a Sezioni Unite sopra richiamate il regresso del procedimento è atipico e comporta l’abnormità del relativo provvedimento se consegua ad un atto adottato dal giudice in carenza di potere; invece, non è abnorme il provvedimento con cui il giudice, sebbene a seguito di errore ponga in essere un atto che è nei suoi poteri, quando l’ atto rientri nella sfera di competenza del giudice e comporti tipicamente la regressione. Insomma, se l’atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli dall’ordinamento, si è in presenza di un regresso “consentito”, anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato. Non importa che il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme. Tra le più recenti statuizioni delle Sezioni Unite va fatto riferimento alla decisione 26-6-2008, Corna, che, come già espressamente avevano fatto le sentenze S.U.10-12-1997, Di Battista e S.U. 24-11-1999, Magnani, fa richiamo all’abnormità c.d. funzionale, la quale comporta una crisi di funzionamento (stasi o indebita regressione) del processo. Parimenti a mente della Cass. pen. Sez. I, 23/03/2017, n. 23347 (rv. 270273) l’atto non è abnorme “… trattandosi di provvedimento che, pur provocando una regressione del procedimento, rientra nell’ambito dei poteri riconosciuti al giudice e che non determina una stasi processuale non altrimenti rimovibile…” Così non sono abnormi “…i provvedimenti del GIP che determinano una regressione del procedimento, anche se basati su un giudizio errato, costituiscono espressione tipica del suo potere e non producono alcuna stasi processuale, risultando sempre possibile alla pubblica accusa rinnovare l’atto…” Cass. pen. Sez. V, 14/11/2016, n. 1399 (rv. 269080).

Secondo i principi vigenti in materia e l’interpretazione corrente infatti “… il sistema è complessivamente improntato, per esigenze di speditezza e di economia, al principio di non regressione del procedimento … “(v. Corte Costit. Ord. 22-6-2005 N° 236).

Rimedi avverso l’abnormità

A mente della giurisprudenza l’atto abnorme è immediatamente ricorribile per Cassazione e non soggiace al termine di cui all’art. 586 c.p.p. In particolare : “… Anche contro l’ordinanza emessa nel corso degli atti preliminari al dibattimento ovvero nel dibattimento, per la quale l’art. 586 c.p.p. consente l’impugnazione solo congiuntamente alla sentenza, è proponibile autonomo ricorso per cassazione allorché essa si configuri come abnorme…” [6] Ed ulteriormente : “… In base al codice di rito, le ordinanze emesse in fase dibattimentale sono impugnabili soltanto unitamente alla sentenza che chiuda tale fase (art. 586 c.p.p.)  ciò imponendolo del resto anche il principio della tassatività delle impugnazioni (art. 568 c.p.p.) che parimenti esclude la possibilità di impugnare, in via autonoma e diretta, le ordinanze dibattimentali. L’unica eccezione a tale regola è ravvisabile nel caso si verta in ipotesi di provvedimento cosiddetto abnorme che è passibile di immediato ricorso per cassazione: ciò che si verifica allorché l’atto per la sua singolarità e stranezza risulti avulso dal sistema processuale vigente ovvero quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo…”.[7]

Così le disposizioni del codice di rito concernenti i termini per la proposizione dell’impugnazione operano anche con riferimento al ricorso per cassazione avverso gli atti abnormi.
Attenzione, però! Fanno eccezione le ipotesi di gravame proposto nei confronti di quei provvedimenti affetti da un’anomalia genetica così radicale che, determinandone l’inesistenza materiale o giuridica e rendendoli inidonei a passare in giudicato, può essere denunciata in qualsiasi momento[8].

Giova precisare, che per giurisprudenza costante e consolidata il termine per proporre l’impugnazione decorre dal momento in cui l’interessato ha avuto effettiva conoscenza dell’atto[9].

                                  Antonio Costa Barbé 

                            (con la imprescindibile collaborazione di Monica Guastamacchia)

[1] L. IAFISCO “Gli atti preliminari al dibattimento penale di primo grado” Torino, 2009 pag. 23.

[2] F. CORDERO, Procedura penale, Milano, p. 697 nota 3; Cass. pen. Sez. III 14.02.1986 Franchino)

[3] F. CORDERO, Procedura penale cit. T; A. GHIARA, Le formalità d’apertura dei dibattimenti penali, Milano, p. 48-49; G. SPANGHER, Considerazioni in tema di apertura del dibattimento, Giur. Italiana, 1969, II, p. 620)

[4] L. IAFISCO “Gli atti preliminari al dibattimento penale di primo grado” cit. pag. 25.

 [5] FURNO, Contributo alla teoria della prova legale, Padova, 1940, p. 46 e ss.

[6] Cass. sez. I  12 gennaio 2005 n. 2877

[7] Cass. sez. V n. 25006/2005

[8] Cass. Sez. Un. 31-7-1997, n. 11. «Le disposizioni del codice di rito concernenti i termini per la proposizione dell’impugnazione operano anche con riferimento al ricorso per cassazione avverso gli atti abnormi; con la sola eccezione delle ipotesi di gravame proposto nei confronti di quei provvedimenti affetti da un’anomalia genetica così radicale che, determinandone l’inesistenza materiale o giuridica e rendendoli inidonei a passare in giudicato, può essere denunciata in qualsiasi momento. (In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato inammissibile perché tardivo il ricorso del pubblico ministero il quale aveva denunciato l’abnormità del provvedimento del pretore che, ritenuta la nullità del decreto di citazione per omessa citazione della persona offesa, aveva restituito gli atti al titolare dell’azione penale, osservando come dall’anomalia da cui era affetto detto provvedimento non potesse comunque conseguirne l’inesistenza giuridica)»

[9] Cass. Sez. Un. 24-9-2001, n. 34536 «Il termine per proporre ricorso per cassazione avverso provvedimento abnorme decorre dal momento in cui l’interessato ne abbia avuto effettiva conoscenza e che, in difetto di prova contraria, va identificato in quello indicato dal ricorrente. (Fattispecie concernente ricorso del Procuratore Generale della Repubblica contro provvedimento, non comunicato, di diretta trasmissione in archivio, da parte del P.M., di atti ritenuti penalmente irrilevanti)».