Referendum costituzionale del 20-21 settembre 2020: un vademecum

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di Simone Balocco

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?

Questo sarà il quesito che troveranno sulla scheda, domenica 20 e lunedì 21 settembre, oltre 51 milioni di italiani chiamati alle urne per esprimere il loro voto in merito al referendum confermativo (di tipo costituzionale) sul taglio del numero dei parlamentari.

Si voterà domenica 20 settembre dalle 7 alle 23 e lunedì 21 settembre dalle 7 alle 15. Per accedere alle cabine, ogni elettore dovrà esibire un documento di identità in corso di validità e la tessera elettorale: chi non ce l’ha, potrà chiederne una nuova nel proprio comune di residenza, ovvero nel Comune in cui vota.

Oltre a questa scheda (di colore azzurro), si voterà anche in 1.184 comuni, per il rinnovo del Governatore e dei Consigli regionali di sei regioni a statuto ordinario (Liguria, Veneto, Marche, Toscana, Campania, Puglia), una a statuto speciale (Valle d’Aosta) ed in due collegi uninominali senatoriali (in Veneto e Sardegna). Tra i comuni con più abitanti si voterà ad Agrigento, Andria, Aosta, Arezzo, Bolzano, Chieti, Crotone, Enna, Fermo, Lecco, Macerata, Mantova, Matera, Nuoro, Reggio Calabria, Trani, Trento e Venezia.

Nel Novarese si voterà ad Arona, Bogogno, Garbagna Novarese, Invorio, Vaprio d’Agogna e Vinzaglio. In nessuno di questi Comuni ci sarà un eventuale secondo turno elettorale (ballottaggio), poiché sono tutti comuni sotto i 15mila abitanti.

Per le regionali in Toscana, ci sarà un secondo turno elettorale (doppio turno) se un candidato non supererà il 40% dei voti.

Si voterà anche in due collegi uninominali per le elezioni politiche suppletive: il motivo di queste “suppletive” è il fatto che sono morti recentemente i due senatori eletti in tali collegi il 4 marzo 2018 e devono essere sostituiti. In pratica, gli elettori di questi due collegi uninominali esprimeranno anche un voto politico, mentre altrove il voto è di tipo amministrativo.

Gli occhi però sono tutti puntati sul referendum confermativo sul taglio del numero dei parlamentari: questo referendum sarà il quarto di tipo costituzionale (dopo quelli del 2001, 2006 e 2016) della storia della nostra Repubblica.

Il referendum è di tipo confermativo: confermare (SI) o non confermare (NO) la riforma costituzionale votata dalle Camere.

Se si metterà la croce sul SI, si vorrà che il numero dei parlamentari diminuirà a partire dalla prossima legislatura, mentre se si mette la croce sul NO non si vorrà modificare la legge costituzionale ed il numero di parlamentari rimarrà uguale a oggi in base agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, ovvero gli articoli che trattano la Camera (tipo di elezione, composizione e numero di eletti all’estero), il Senato (tipo di elezione, composizione e numero di eletti all’estero, numero di senatori eletti per Regione) ed i senatori a vita.

Essendo un referendum di tipo confermativo, non è previsto il quorum della partecipazione al voto del 50%+1 degli aventi diritto (come per un referendum abrogativo): non ha rilevanza la percentuale dei votanti, ma il totale dei voti.

Dal 2 giugno 1946, quello di settimana prossima sarà il referendum numero XXII della storia italiana: il primo fu quello istituzionale del 2 giugno 1946 sulla scelta della nuova forma di governo. Poi ce ne sono stati tre di natura costituzionale (2001 “Modifica Titolo V”, 2006 “Devolution” e 2016 “Renzi-Boschi”), diciassette di tipo abrogativo e uno di indirizzo (1989).

Gli elettori italiani avrebbero dovuto recarsi alle urne domenica 29 marzo, ma, per colpa della pandemia del Covid-19, il turno elettorale è stato posticipato e si è deciso che il 21 e 22 settembre sarà Election day, ovvero si voterà lo stesso giorno per questo referendum e per le elezioni amministrative, regionali e politiche (suppletive). Molti non erano d’accordo sull’accorpamento, visto che sono due tipi di voto distinto, ma alla fine, lo scorso 14 luglio, il Governo ha deciso per l’Election day, con la firma del decreto di indizione del referendum costituzionale da parte del Presidente della Repubblica tre giorni dopo.

L’istituto del referendum è stabilito dall’articolo 75 comma 1 della Costituzione: “E` indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”, mentre l’articolo 138 comma 1-2 recita “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [e] Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”.

In cosa consiste questa legge costituzionale che siamo chiamati a confermare o a non confermare?

A oggi, il Senato della Repubblica si compone di 315 senatori eletti su base regionale (tutte le Regioni eleggono come minimo sette senatori, tranne il Molise e la Valle d’Aosta che ne esprimono due ed uno), di cui sei eletti nella circoscrizione estera, oltre ai senatori a vita (non eletti ma nominati dal Presidente della Repubblica in base all’articolo 59 della Costituzione o sono loro stessi Presidenti della Repubblica emeriti, ovvero ex Capi dello Stato), mentre la Camera dei Deputati si compone di 630 deputati eletti su base nazionale, di cui dodici eletti nella circoscrizione estera. In caso di vittoria del SI, i senatori passeranno a 200 (di cui quattro eletti all’estero) ed i deputati a 400 (di cui otto eletti all’estero). In pratica, una riduzione del 36%. Se passasse il SI, i senatori a vita non potranno essere più di cinque, Presidenti emeriti della Repubblica compresi (oggi a Palazzo Madama ci sono il Presidente emerito Giorgio Napolitano, Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre).

Per la prima volta si decide di “mettere mano” veramente al numero di parlamentari presenti alle Camere: sono decenni che si parla di ridurre il numero degli eletti, in parte per ridurre la spese dello Stato, in parte perché secondo molti il numero di 945 parlamentari è troppo alto per un Paese come l’Italia (con 60 milioni di abitanti), anche se nel Mondo ci sono Paesi più abitati dell’Italia che hanno numero minore o maggiore di parlamentari: la Francia ha 68 milioni di abitanti e vede l’Assemblea nazionale con 577 deputati ed il Senat con 348 senatori; la Germania conta 83 milioni di abitanti e ha il Bundestag con 709 deputati ed il Bundesrat con 69 “senatori”; la Gran Bretagna conta 66 milioni di abitanti e ha la camera alta (Camera dei Lords) con 772 lords (divisi tra “temporali” e “spirituali”), mentre la House of Commons con 650 deputati; la Spagna ha 47 milioni di abitanti e vede il Congresso con 650 deputati ed il Senado con 266 elementi (eletti in via diretta ed indiretta). Poi c’è il caso particolare degli Stati Uniti d’America, dove i senatori sono 100 (due senatori per ognuno dei cinquanta Stati federali) e 435 deputati, a fronte di un Paese con 325 milioni di abitanti.

In Italia non ci sono stati sempre 630 deputati e 315 senatori: nella prima legislatura (1948-1953) furono eletti 572 deputati e 237 senatori, oltre a 107 senatori di diritto previsti dalla III disposizione transitoria (ovvero gli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri o di Assemblee legislative; gli ex membri del disciolto Senato; coloro che sono stati eletti in almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente; i dichiarati decaduti nella seduta della Camera dei deputati del 9 novembre 1926; coloro che hanno scontato la pena della reclusione non inferiore a cinque anni in seguito a condanna del Tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato). Nella seconda legislatura (1953-1958), i deputati passarono a 590 e i senatori sempre 237, mentre nella terza legislatura (1958-1963) i deputati furono 596 ed i senatori 246. Nel 1963 (con l’inizio della IV legislatura) fu approvata la legge costituzionale attuale che vede, in base agli articoli 56 57 e 59, gli attuali 630 deputati e 315 senatori.

Tra il 1979 ed oggi, in diverse occasioni si è cercato di ridurre il numero dei parlamentari: la riforma più recente di modifica del numero dei parlamentari è stata la “Renzi-Boschi”, bocciata dagli elettori con il referendum del 4 dicembre 2016, che vedeva, tra le tante modifiche, la riduzione del numero dei senatori a cento unità, non votati ma nominati dai Consigli regionali.

E’ battaglia tra chi vuole che vinca il SI e chi il NO.

Questo referendum è stato voluto fortemente dal Movimento Cinque Stelle, movimento da sempre anti-casta e anti-privilegi: meno parlamentari, meno soldi da elargire agli eletti, e meno benefici, risparmio per le casse statali a legislatura.

Ed infatti si dice che la riforma porterebbe ad un risparmio di quasi 100 milioni all’anno, tra stipendi, rimborsi e diarie: fondi spendibili, nel caso, per altri investimenti, oltre a migliorare i lavori delle Camere e ridurre la presenza di mini-partiti.

Sono a favore del SI Movimento Cinque Stelle, Partito democratico, Lega, Fratelli d’Italia, Alternativa Popolare e partiti territoriali.

Sono in favore del NO Azione, +Europa, Sinistra Italiana, LiberiEUguali e le “Sardine”.

Italia Viva ha dato ai propri iscritti e simpatizzanti libertà di voto (possono votare come credono), mentre Forza Italia è spaccata.

 C’è da notare che tra i vari partiti ci sono dei distinguo tra il SI ed il NO.

Tra chi vuole che vinca il NO, questi dicono che così facendo l’elezione dei prossimi parlamentari continuerà ad essere di tipo rappresentativa, mentre se vince il SI questa diventerà una rappresentazione delle segreterie e dei leader dei partiti.

I promotori del NO sostengono che il risparmio (netto) del taglio dei parlamentari sarebbe solo di 57 milioni di euro all’anno, il che diviso per i cittadini italiani significa che il risparmio per ciascuno è meno di un caffè al banco (95 centesimi).

Sono a favore del NO, i piccoli partiti: il motivo è il fatto che se diminuissero i parlamentari, avrebbero meno possibilità di entrare in Parlamento nella prossima legislatura (2023-2028).

Se dovesse vincere il SI, quindi i cittadini confermeranno di voler cambiare i tre articoli della Costituzione, sarebbe necessario cambiare l’attuale legge elettorale (il cosiddetto “Rosatellum”), cambiando la composizione degli collegi visto che sono designati per 618 deputati mentre in caso di vittoria del SI passerebbero a 392 (escludendo quindi gli eletti all’estero). Stessa cosa per il Senato: da 308 a 196 (sempre escludendo nei due casi gli eletti all’estero). Tra le varie proposte, si parla di una legge elettorale di tipo proporzionale (i partiti entrano in parlamento in base alla proporzione dei voti ottenuti: tanti voti, tanti rappresentanti;  pochi voti, pochi rappresentanti)

Una delle obiezioni che si fanno a chi vuole che vinca il NO è che non ha capito che l’Italia è cambiata e che il concetto di rappresentanza è cambiato in peggio, visto che con le ultime leggi elettorali, i candidati sono scelti a monte dalle segreterie di partito e non dalla base e che, soprattutto, è venuto meno negli anni, a prescindere dalla rappresentanza, la qualità dei candidati-eletti. Anzi, molti sono stati eletti senza che conoscessero il territorio in cui sono stati candidati, puntando solo all’elezione sicura e ad essere candidati in feudi elettorali del loro partito. Questo anche dovuto al disinteresse di molti elettori italiani che negli ultimi si sono sempre più allontanati dalle urne e sono stufi di sentire parlare di elezioni, voti, politici e affini, favorendo i partiti populisti.

Invece per tanti, il numero di parlamentari ridotti sarebbe un male per la democrazia: meno parlamentari significherebbe che il numero degli eletti a partire dalla prossima legislatura dovrà rispondere a più elettori, facendo venire meno la rappresentanza. Si passa, ad esempio dall’attuale “1 deputato ogni 95mila abitanti” a “1 deputato ogni 150.000 elettori”.

Molti vedono questa riforma troppo severa verso la classe politica nazionale.

La “palla” ora passerà agli elettori che hanno davanti a loro questa settimana per decidere cosa fare. L’importante è scegliere sempre in maniera ponderata, intelligente, saggia e non “di pancia” come capita a volte di fare.

foto in evidenza: archivio cittadinovara.com