Social network e politica: un binomio discusso e sempre meno attendibile.

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di Alessio Marrari

Alessio Marrari - Proprietario e gestore del sito www.cittadinovara.com

Alessio Marrari – Blogger del sito www.cittadinovara.com

Ricordate i periodi che precedevano le elezioni politiche nazionali e locali fino a circa 6/7 anni fa e cioè dire nel periodo immediatamente precedente all’avvento dei social network  in Italia? Comizi di piazza, santini, volantini, cene di partito e promesse, un iter sempre uguale e tradizionale dove i candidati di turno promettevano nuovi scenari, dipingendo futuri risolutivi e convincendo il povero elettore che quella fosse “la volta buona.” Erano tempi in cui si comunicava verbalmente ed i messaggi arrivavano con le solite tecniche da marpioni, risultando persino credibili all’elettorato tutto. L’anno 2008 fu promotore di un vorticoso cambiamento che permise, in pochi mesi, a chiunque di risultare mediatico e visibile, comodamente e da un computer fisso o portatile. L’esempio fu proprio il Presidente Obama negli Stati Uniti d’America il quale, già da tempo, iniziò a veicolare i propri messaggi politici attraverso un profilo Twitter, social già diffusissimo oltre oceano, mentre in Italia dobbiamo attendere la metà dell’anno 2012 per veder crescere le iscrizioni dei nuovi account. Il primo Presidente di colore aveva intuito la via migliore, con un tweet ed un post Facebook riuscì in breve tempo ad arrivare nelle case degli elettori e per più volte al giorno. Rieletto nel 2012, mediante tecniche di diffusione completamente web, almeno la scelta del team  si orientò al grosso della campagna proprio mediante il web, vinse di misura e senza un testa a testa come spesso accade quando tra le popolazioni regna indecisione e/o incertezza. Come la storia italiana insegna, da perfetti “importatori” di novità, anche la penisola che segna il meridione d’Europa, inizia ad adottare tali tecniche addirittura da identificare gli anni 2012 e 2013 come quelli in cui tutto il mondo politico si orienta ai magici account che oggi arrivano agli smart-phone di chiunque. Su L’Espresso, lessi mesi fa articoli come QUESTO  che definivano nomi “famosi,” come quello di Gasparri un “Cyberbullo”, non perchè lo fosse realmente ma probabilmente per come ormai si affrontano le discussioni dietro un display, quasi sempre con, come la definisco io, “passione aggressiva.” Insomma, dal 2013 in poi anche i “soldati” di partito passano ore ed ore a difendere i propri “guru” sulle pagine fan, “appiccicandosi” con chi la pensa diversamente. A distanza di tre anni da questo boom mediatico improvvisato da molti, proprio perchè fare comunicazione non sia prerogativa di tutti ma solo di chi ne ha le competenze tecniche intrinseche a velleità creative, gli indici di gradimento sono visibilmente scesi ai minimi, anche se non per tutti e, l’indice di misura, si materializza nel numero di commenti partecipativi, nella quantità di “like”, di retweet, condivisioni ed aggiunte di “cinguettii” nei preferiti. Credo di averne individuato le cause sempre legate agli effetti concreti dei dati di fatto. Inizialmente era una novità vedere un candidato che sdoganava sui social fotografie con potenziali elettori, esternando meravigliosi sorrisi e spirito di vicinanza alle comunità ma, quando i risultati si materializzano continuamente in scarsi ottenimenti a discapito dei “portafogli” dei cittadini, le cose non cambiano o addirittura peggiorano, la disoccupazione tocca i massimi storici, i servizi divengono sempre più precari, ebbene le cittadinanze tornano con i pedi per terra e si interrogano sempre di più, dimostrando di non gradire e spesso sfogandosi proprio su quelle pagine politiche che vendono “piombo per oro”. Quando trasmissioni di approfondimento come “Piazzapulita”, “Report”, “La Gabbia”, mettono sul tavolo servizi dove è l’imprenditoria a parlare e fare la voce grossa, dove i lavoratori dipendenti vivono ormai galleggiando nei sempre più incerti ammortizzatori sociali, se non del tutto in picchetti fuori dalle aziende perchè licenziati, ecco, qui le promesse, gli status, le fotografie, le bugie raccontate a mezzo web fanno crollare gli indici di gradimento fino addirittura leggere commenti velenosissimi nei confronti degli attuali “venditori di fumo” della politica italiana. Il popolo del web è ormai capace di riconoscere anche attraverso un post un “incantatore di serpenti,” reagendo in modo non partecipativo. Sono molteplici le pagine “fan” in cui ormai nessuno più da consensi neppure cliccando un like. Resistono ma bisogna vedere fino a quando, plebisciti popolari come nel caso di Matteo Salvini che al momento risulta condiviso per migliaia di volte, seguito dall’attuale premier Renzi al disotto di poche migliaia di like, commenti e condivisioni. Ma, anche loro nel loro caso, se i dati di fatto riveleranno “fumo”, saremo ulteriormente spettatori di come tali figure grottesche spariranno da ambiti mediatici a portata di telefonino. Credo e sono convinto quindi che in passato, nel presente ed anche in futuro, il web era, è e sarà un aiuto, un mezzo potentissimo ma anche un’arma a doppio taglio nei confronti di quei candidati la cui pochezza tipica “italiana” sfocerà in un boomerang che si ritorcerà contro al momento giusto. Sta di fatto che il calo di gradimento è comune a moltissimi uomini di partito, i quali pontificano slogan comuni al colore dello stesso, omettendo invece ciò che l’etica ed il buon senso personale potrebbero rivelare autentici percorsi di ottimizzazione. Ma ancora niente…

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