Sperimentazione clinica: i CRC, ghostwriters della ricerca anche italiana

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di Paola Maggiora

 

In questi giorni si parla sempre più spesso della sperimentazione clinica come una fondamentale arma per arrivare ad una terapia efficace contro il Covid-19. C’è parecchio clamore sui vari farmaci che si possono sperimentare e sulle modalità di accesso a queste alternative terapeutiche. Ma si sa veramente di cosa si sta parlando?

Una sperimentazione clinica è definita come un qualsiasi studio sull’uomo finalizzato a scoprire (o verificare) gli effetti di un nuovo farmaco, o di un farmaco già esistente, testato per nuove modalità di impiego terapeutico, con l’obiettivo di accertarne la sicurezza o l’efficacia. La sperimentazione si articola in diverse fasi e viene effettuata prima in laboratorio e in modelli animali (sperimentazione preclinica) e poi sull’uomo (sperimentazione clinica)*.

Una sperimentazione clinica è condotta in un centro clinico pubblico o privato, autorizzato dal Ministero della Salute e dotato di tutte le strutture e del personale necessari.

I vari attori fondamentali in uno studio clinico sono medici, infermieri di ricerca e non, tecnici di laboratorio, biologi/biotecnologi e varie figure professionali di supporto, tra cui il Coordinatore della Ricerca Clinica (CRC), ai più sconosciuto. E chi ne ha invece già sentito parlare lo nomina spesso con il termine spurio di Data Manager, tutt’altro ruolo.

Il CRC è una figura altamente specializzata, ma un ibrido tra il settore amministrativo “puro” e la ricerca di base. il CRC sostiene, agevola e coordina le attività quotidiane della sperimentazione clinica e svolge un ruolo cruciale nella conduzione dello studio. Tale figura collabora con lo Sperimentatore Principale (responsabile della progettazione, conduzione e gestione complessiva della sperimentazione clinica), il dipartimento, lo sponsor e l’istituzione per sostenere e fornire orientamenti sulla gestione della conformità finanziaria, personale e di altri aspetti correlati dello studio clinico. Inoltre è riferimento fondamentale per i pazienti arruolati nello studio clinico, in quanto può fare da interfaccia con il medico di riferimento ed aiutare il paziente nel capire meglio la propria situazione all’interno della sperimentazione.

Il CRC è una figura che si è sviluppata nel tempo: inizialmente, più di 10 anni fa, questo ruolo era ricoperto da lavoratori di vario tipo come segretari/e, infermieri, specializzandi medici, medici, che però spesso dedicavano solo ritagli di tempo alla gestione di uno studio. I primi CRC avevano una formazione scolastica variegata, dal conseguimento della Maturità alla Laurea in varie materie. Questo era possibile perché ai tempi gli studi clinici erano molto semplici da gestire e non necessitavano di competenze specializzate oltre a quelle del medico. Man mano che la ricerca clinica è diventata sempre più presente nelle nostre strutture sanitarie, e ha dovuto rispondere a domande sempre più complicate, si è reso necessario l’apporto di figure dedicate totalmente alla sperimentazione.

All’inizio, il CRC aveva una formazione eterogenea e la persona dedicata doveva imparare il lavoro sul campo, da esperienze di altri e con il passaparola. Successivamente tale figura ha potuto usufruire di percorsi di alta formazione specifici, come Master universitari e corsi di approfondimento ad hoc.

La maggior parte dei CRC di oggi (30-40enni), al momento della scelta dell’università da frequentare, sognava la vita da laboratorio, la ricerca di base. Ma dopo la laurea si sono resi conto che l’ambiente di lavoro era cambiato. La vita del laboratorio era economicamente e contrattualmente indesiderabile.
Le prospettive quindi hanno subito un drastico cambio e molti si sono decisi ad intraprendere la strada della ricerca clinica, specializzandosi a vari livelli e imparando il lavoro sul campo. Il CRC è la scelta perfetta tra il campo biologico ed amministrativo. Purtroppo c’è da dire che durante i percorsi universitari, poco viene spiegato e divulgato su questa parte fondamentale della formazione scientifica.

Quindi, da una decina di anni a questa parte, il CRC ha una formazione universitaria scientifica, sono stati attivati negli anni svariati Master di I e II livello in tutta Italia. Questa evoluzione ha portato ad una maggiore specificità di competenze tecniche, giuridiche, gestionali e scientifiche, che forse permettono anche una velocizzazione di molti procedimenti.

Se l’eterogeneità della formazione si è quasi del tutto risolta, lo stesso non vale per gli aspetti contrattuali, perché vi sono differenze anche importanti relativamente agli stipendi ed alle tipologie di contratti (free lance, tempo pieno, tempo parziale, cococo, cocopro, borsa di studio, con variegate durate). Molto spesso la copertura economica per garantire alla struttura la presenza del CRC deriva dalle case farmaceutiche, che rimborsano le strutture per le prestazioni effettuate durante lo svolgimento della sperimentazione clinica. Da anni si sta tentando di arrivare ad un riconoscimento legislativo del ruolo del CRC, ma finora i vari passaggi nelle aule parlamentari sono sempre stati interrotti da varie vicende. Per questo esiste da anni un gruppo che riunisce gran parte dei CRC italiani e che si batte per far conoscere e riconoscere tale figura: il GIDM (Gruppo Italiano Data Manager/Coordinatori di Ricerca Clinica) ha ad oggi come presidente la dr.ssa Celeste Cagnazzo che insieme al Direttivo si interfaccia con le varie istituzioni per diffondere l’importanza del mondo delle sperimentazioni cliniche. Il Gruppo cerca di fare da punto di incontro per i colleghi presenti sul territorio ed organizzare dei momenti formativi e di confronto.

In molti ospedali che non hanno un CRC, la qualità della ricerca diminuisce fisiologicamente. I medici non sono preparati sugli aspetti amministrativi e le leggi o non hanno la pazienza di aderire a tutte le regole. Devono seguire il paziente ed altri aspetti gestionali legati alla quotidianità dell’attività clinica: c’è bisogno di un CRC se si vuole essere un centro di ricerca di eccellenza.
Per questi motivi il ruolo del CRC in Italia deve essere riconosciuto come, ad esempio, negli Stati Uniti e in Olanda, dove è stato riconosciuto molti anni fa e ha una corretta organizzazione contrattuale.

 

*https://www.aifa.gov.it/sperimentazione-clinica-dei-farmaci

 

immagine in evidenza tratta da www.farodiroma.it