Te li ricordi i “paninari”?

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di Simone Balocco

Enzo Braschi è stato un attore in voga negli anni Ottanta. La sua interpretazione più nota è stata quella in cui imitava, durante le puntate del programma televisivo “Drive In”, nei modi e nello slang, un particolare tipo di personaggio molto in voga negli anni Ottanta, il “paninaro”.

Ma chi erano i “paninari”, la sottocultura italiana più nota di sempre?

Partiamo da un inciso: i “paninari” sono stati una tipicità esclusivamente italiana, in quanto in tutto il Mondo non sono mai esistiti o non c’è mai stata traccia di questo tipo di persone.

Il nome “paninaro” è la versione slang di un gruppo di giovani milanesi che si ritrovava nei pressi del bar “Al panino” in Piazza del Liberty, una piazza interna a cinquecento metri da Piazza Duomo, a Milano, per poi spostarsi non appena nella centrale Piazza San Babila aprì un fast food, una nuova tipologia di ristorazione importata allora dagli Stati Uniti d’America. Da lì in poi, ogni paninoteca o fast food vedeva la presenza massiccia di questi ragazzi di età compresa tra i 14 ed i 20 anni che stazionavano lì davanti come sorta di ritrovo.

E proprio la città che visse la fase più calda della “strategia della tensione” ha dato i “natali” ad una sottocultura che ha fatto storia e che ha segnato un’epoca del costume e della società italiana.

I “paninari” non potevano che non nascere a Milano, la capitale economica del Paese, una città che allora si diceva fosse “da bere” per via del fatto che lì era tutto bello, ricco, facile e possibile da fare senza particolari problemi. Una città sempre al centro delle cronache, spesso invidiata ed odiata dalle altre città.

Se gli anni Settanta sono stati anni duri tra contestazioni, scontri di piazza, bombe, violenze e stragi, gli anni Ottanta sono stati anni di divertimento, svago, leggiadria, benessere economico e tante cose positive. I giovani di quel tempo guardavano al passato con poca curanza e guardavano al mito americano con gli occhi degli innamorati. Per questo gli anni Ottanta sono stati gli anni delle mode, degli stili di vita American style e dell’American beauty. E i “paninari” sono stati un grande esempio. Tutto italiano, ma un grande esempio.

Sono state due le caratteristiche dei “paninari”, l’oufit e lo slang.

I maschi tendevano sempre ad essere abbronzati e a vestire abiti costosi e firmati: dai giubbotti Moncler agli scarponcini Timberland, dagli stivali Durango alle scarpe Sebago, dai giubbotti di jeans Armani e Uniform agli stessi denim Armani, Uniform e Rifle, dai bomber Avirex alle felpe Best Company e Americanino, dai giacconi Henri Lloyd ai cinturoni con la fibbia El Charro, fino alle calze Burligton.

Le ragazze si vestivano pressoché con le stesse marche, con l’aggiunta dei tipici prodotti Naj Oleari, Fiorucci e Anais Anais.

Gli abiti erano colorati con tonalità forti e vivaci, appariscenti e con poco inclinazione ai colori neutri.

Anche il modo di parlare era tipico: il maschio era il “gallo”, la femmina la “sfitizia”. Oltre a modificare alcuni termini del linguaggio parlato (dal “panozzo” da mangiare ai genitori “matusa”, dal “cuccare” le ragazze a “dissetare il gargarozzo” per indicare il bere una bibita, da “biglia” per indicare la testa a “dragata” per una cosa bella a “tosto” per indicare una persona rispettabile) che facevano capolino in ogni dialogo tra adolescenti del tempo. In pratica, disimpegno massimo e voglia di apparire alle stelle.

Cinematograficamente, i “paninari” erano amanti di tutto ciò che era “made in Usa”. Ecco quindi i vari “Rocky”, “Rambo”, “Karate Kid”, “Ritorno al futuro” e tutti i film dove c’era l’America in vetrina come “Top Gun”; con Tom Cruise nella parte del pilota “Maverick”, vero stereotipo del “paninaro” con abbronzatura di rito, giubbotto militare, occhiali da sole Ray Ban a specchio e moto potente di ordinanza.

La sfida musicale era Duran Duran vs Spandau Ballet, ma erano ascoltati anche gli Wham, i Franky Goes to Hollywood, i Simple Minds, gli A-ha, gli Europe e la prima Madonna. C’era anche la Italo dance, musica da discoteca cantata in inglese da persone italiane perché l’inglese era la lingua degli americani e quindi “paninara”. Per non parlare della musica dei Righeira.

I Pet Shop Boys, un gruppo inglese allora molto in voga e tra i massimi esperti del synth pop (il pop suonato con i sintetizzatori musicali), nel 1986, trainati dal successo italiano di questa sottocultura, pubblicarono una canzone (“Paninaro”) con un videoclip girato a Milano nelle zone centrali della città incentrato propri sulla moda “paninara”.

Mentre da noi, a mo’ di parodia, c’erano “Italian Fast Food” di Lodovico Gasperini interpretato da Braschi e da tanti attori che prendevano parte a “Drive In” (Sergio Vastano, Carlo Pistarino, i Trettré) e “Yuppies – I giovani di successo” e “Yuppies 2” di Carlo Vanzina interpretato dai principali attori comici dell’epoca come Massimo Boldi, Christian de Sica, Ezio Greggio e Jerry. Calà.

Ma il film “paninaro” per antonomasia è l’iconico “Sposerò Simon Le Bon”, tratto dall’omonimo libro scritto dall’allora studentessa 15enne Clizia Gurrado incentrato sulla love story impossibile tra lei ed il front man dei Duran Duran, idolo delle ragazzine dell’epoca e molto “paninaro” nei modi di fare.

Ovviamente non mancarono le parodie e la più celebre (che a dire il vero rafforzò ancora di più il mito dei “paninari”) fu quella del già citato Enzo Braschi a “Drive In”. L’attore comico genovese parodiava in maniera grottesca il tipico “paninaro”: piumino Moncler verde fosforescente, jeans sdruciti, sneakers, cuffie alle orecchie e uno slang tutto “paninaro” al ritmo di “Wild boys”, la canzone più famosa dei Duran Duran.

E proprio “Drive In”, ideato da Antonio Ricci, è stato lo zenith del “paninarismo” e non tanto perché andò in onda proprio in quel periodo 1983-1988), ma anche perché il locale dove era ambientato il programma era un locale stile…l’”Arnold’s” di Happy Days con all’interno le auto come i vecchi drive in americani però in chiave fast food.

E proprio questi furono la vera novità dei primi anni Ottanta, locali di ristorazione veloce dove si poteva mangiare al volo un hamburger, fare due chiacchiere ed organizzare i pomeriggi e le serate. Il fast food più famoso oggi è il McDonald’s, presente in tutte le città del Mondo, ma allora a fare da traino erano i vari Burghy, King Burger o Wendy’s, locali iconici della Milano anni Ottanta.

La velocità il punto di partenza di ogni “paninaro”: se gli anni Settanta hanno visto tanti giovani impegnati in politica o comunque avere un proprio pensiero, negli anni Ottanta i giovani, forse consci dell’esperienza tragica del decennio precedente, decisero di non impegnarsi, di prendere tutto alla leggera e vivere la propria vita rilassati e senza pensare a nulla di serio.

I “paninari” sono stati l’emblema del consumismo più esagerato: comprare, comprare, comprare per essere sempre alla moda e far parte di un gruppo incentrato tutto sull’apparenza e sul vivere bene (economicamente) la propria esistenza.

E gli stessi “paninari” sono stati l’emblema degli anni 80: un decennio caratterizzato dal celebre edonismo reaganiano (un concetto dove si prediligeva una società individualista, neoliberista e consumistica all’ennesima potenza), dall’apparire, dal fare carriera, dal viaggiare al vivere bene ed in comodità rispetto al passato.

Zero politica, poco impegno anche se tanti dissero che i “paninari” erano di estrema destra ed il motivo è stato, secondo alcuni, che molti quando sentivano canzoni come “Wild Boys” o “Live is life” degli Opus, nella foga, visto il ritmo sincopatico di quella musica, alzavano il braccio destro al cielo. Tanti sostennero che i “paninari” erano di estrema destra perché occuparono le stesse zone che tra il 1971 ed 1975 fu il fulcro della politica neofascista meneghina, Piazza San Babila ed i suoi “sanbabilini”, i giovani vicini alle politiche del MSI ma in dissenso con la fiamma che si ritrovarono nella piazza milanese, vicina alla “Statale”, a combattere (soprattutto violentemente) i ragazzi della loro parte politica avversa. Ma un contro erano i “sanbabilini”, un conto erano i “paninari”. Anche se questi ultimi con persone vicine alla sinistra estrema (ribattezzati “china”) non correva buon sangue.

Ma proprio perché negli anni Settanta era difficile non trovare un diciottenne/ventenne non impegnato, i “paninari” vollero proprio essere lontani anni luce dall’impegno politico e civile.

I “paninari” non erano tutti figli di papà, ma anche gente comune che magari risparmiava settimane per comprarsi la felpa Best Company o i suoi genitori dovevano tirare la cinghia affinché potessero comprare i Durango al figlio o il giubbotto Fiorucci alla figlia.

Sicuramente non tutti potevano permettersi il life style del “paninaro” e tanti, anche solo per avvicinarsi, si vestivano con delle imitazioni. Imitazioni poco simili all’originale che li portava ad essere scherniti e ridicolizzati.

I “paninari” sono stati un vera sottocultura totalmente “made in Italy”: se i metallari (persone che ascoltavano l’hard rock ed avevano i capelli lunghi), i dark (simili ai metallari ma con il fatto di vestirsi sempre di nero ed ascoltare un particolare tipo di musica) i punk sono stati importati da Stati uniti e Gran Bretagna, il fenomeno “paninaro” è stato solo ed esclusivamente italiano.

Il fenomeno si diffuse rapidamente in tutta Italia con alcune caratteristiche, ma divenne famoso per gli spot televisivi ed i passaggi sulle radio. Per non parlare delle riviste specializzate come “Il paninaro”, “Il cucador” o “Wild boys” che vendettero migliaia di copie in poco tempo e che oggi sono dei cult introvabili nei mercatini dell’usato.

I “paninari” sono stati un movimento codificato, dove per farne parte bisognava essere “paninari” sennò non si veniva accettati. E visto che l’uomo non può essere solo per natura, ecco che tutti si ammassavano nei negozi “specializzati” per comprare tutta l’oggettistica e tutti gli outfit “paninari”.

La “Milano da bere” terminò il 17 febbraio 1992, con la scoperta di un sistema corruttivo senza precedenti che scoperchiò un Mondo fatto di soldi facili, tangenti, mazzette e mal costume politico. Ma allora i “paninari” erano già stati accantonati da tempo.

Ancora oggi si fanno meeting e revival con i giovani di allora oggi magari nonni o padri e madri di famiglia vestiti come allora e con gli stessi mezzi di locomozione (la motocicletta Zundapp 125 cc). Un passaparola che è diventato molto forte con la nascita e lo sviluppo dei social network con alcune pagine dedicate interamente al mondo “paninaro”.

Oggi nel 2020 è impossibile che possano tornare i “paninari”, anche se le case di moda hanno fatto tornare in auge alcuni capi di abbigliamento tipici, ma un conto è vestirsi così oggi, un conto allora. E’ cambiata anche la mentalità e oggi non siamo (chi dice per fortuna, chi invece se ne dispiace) più nei mitici anni Ottanta.

Ma quando una persona (giovane o anziana che sia) vede in un negozio una marca “paninara” o legge sul web dei raduni e di quell’epoca non può non dire “Wild boys/wild boys”.

foto in evidenza tratta da www.masterx.iulm.it