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Città di Novara

Il Blog dei Cittadini

The Chronicles of Matteo Salvini, il “capitano” della politica italiana

DiSimone Balocco

Mag 31, 2019

di Simone Balocco

 

Un anno fa oggi si insediava il governo Conte, il sessantacinquesimo della storia repubblicana italiana. Davanti al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel Salone delle Feste del Quirinale, 365 giorni fa giuravano fedeltà alla Repubblica il nuovo Premier Giuseppe Conte ed i diciotto ministri di un esecutivo nato ottantanove giorni dopo le elezioni del precedente 4 marzo: un record per la nostra storia politica. Essendo costituito da ministri di Lega e Movimento Cinque Stelle, la compagine di governo è detta “gialloverde” e, mancando una parte moderata al suo interno, è considerato l’esecutivo più destrorso dal 1948 a oggi.

Oltre ai ministri, il Presidente del Consiglio Conte si accompagna a due vice-Premier (a loro volta ministri), Luigi di Maio e Matteo Salvini. Questi due politici, di diversa estrazione politica (rispettivamente di Movimento 5 Stelle e Lega), sono alla loro prima esperienza di governo, così come lo stesso Presidente del Consiglio, politicamente indipendente e noto avvocato e docente universitario di diritto privato.

A distanza di un anno, i rapporti di forza nel governo sono cambiati: Conte in molte occasioni (come dialettica) è stato superato dai suoi vice- che, in altrettante occasioni, non hanno nascosto incomprensioni, tensioni e si sono scontrati su molte tematiche, soprattutto in questi ultimi mesi. Il Premier però ha saputo fare da collante tra le anime del governo, ma sull’esecutivo e sul suo andamento pesa (e peserà come un macigno per i prossimi mesi a venire) l’esito delle elezioni europee che si sono svolte domenica scorsa: Lega con il 34,26% dei voti e primo partito nazionale (da terzo che era dopo le “politiche”), Movimento Cinque Stelle con il 17,06% dei voti e terzo partito nazionale (da primo che era dopo il 4 marzo 2018).

Salvini, rispetto allo stesso di Maio, ha ancora una maggiore dialettica, dovuta al fatto che il leader leghista ha alle spalle una lunga militanza politica ed una vita nelle istituzioni, cose che a di Maio mancano per mere ragioni anagrafiche (46 anni contro 33 anni ancora da compiere). Detto questo, Luigi di Maio, attuale Ministro dello Sviluppo economico e capo politico del movimento pentastellato, nonostante sia in politica da poco più di dieci anni, ha alle spalle una buona “palestra” nelle istituzioni essendo stato, nella scorsa legislatura politica, vice Presidente della Camera dei deputati, il più giovane della storia italiana con 26 anni di età.

Ma gli occhi sono tutti per l’uomo forte di questo esecutivo, Matteo Salvini, considerato da molti (anche da alcuni elettori della parte avversa alla sua) come uno dei migliori politici italiani degli ultimi decenni e a oggi il politico più forte della platea politica nazionale.

Salvini, classe 1973, è il Ministro degli Interni numero 28 della storia repubblicana ed è il secondo leghista ad occupare la poltrona più importante del Viminale dopo le due esperienze di Roberto Maroni (maggio 1994-gennaio 1995; maggio 2008-novembre 2011).

Nelle vene di Salvini “scorre” la politica sin dall’inizio degli anni Novanta quando, ancora diciassettenne, si iscrisse alla Lega Lombarda, una delle “costole” della Lega Nord.

Nel 1993 Salvini entrò per la prima volta in consiglio comunale a Milano, trascinato dall’inaspettata (quanto travolgente) vittoria elettorale di Marco Formentini che, il 20 giugno di quell’anno, vinse il ballottaggio contro Nando dalla Chiesa, portando a Palazzo Marino, sede del municipio meneghino, ben ventinove consiglieri comunali leghisti, ovvero tutta la maggioranza.

Da allora, Matteo Salvini ha scalato i vertici del Carroccio: leader del movimento giovanile, consigliere comunale a Milano per ventitre anni consecutivi (salvo un break tra il 2012 ed il 2016), leader della Lega Nord milanese, deputato nazionale, eurodeputato, senatore e ora Ministro degli Interni. Ed è stato eletto ancora una volta a Strasburgo con oltre 2,2 milioni di preferenze, ma si dimetterà da eurodeputato perché la carica è incompatibile con quella di ministro nazionale.

Ma il clou della carriera politica di Salvini ha una data: 7 dicembre 2013, giorno della vittoria delle “primarie” per l’elezione del nuovo segretario federale della Lega Nord, sconfiggendo lo storico leader (e fondatore del movimento) Umberto Bossi. Carica che Salvini confermò anche quattro anni dopo, sconfiggendo nettamente Giovanni Fava. Salvini è, a oggi, il terzo segretario federale del partito dopo Bossi e Maroni e, vista la forza elettorale e comunicativa che ha, è impossibile che qualcuno possa insidiarlo come capo dei lumbard.

Giornalista e “penna” dell’ex quotidiano leghista “La Padania”, nonché voce storica dell’altrettanto ex emittente radiofonica del partito, Radio Padania Libera, nel 1997, in piena epoca secessionista, Salvini era il leader della frangia dei “Comunisti padani” in seno al Parlamento del Nord, l’assemblea parlamentare “inventata” dal Carroccio.

Eletto per la prima deputato nazionale nella XVI legislatura (aprile 2008), dal 2004 è stato eurodeputato, carica che ha mantenuto fino alla nomina a Ministro degli Interni.

Cinque anni fa, alle scorse elezioni europee, candidandosi in tutte le cinque circoscrizioni nazionali, Salvini ottenne oltre 380mila preferenze: tenuto conto che il partito allora era praticamente nullo in Italia centrale, meridionale ed insulare, un successo prima di tutto personale e poi politico. Come detto, le preferenze europee totali di Salvini oggi sono superiori ai 2 milioni di voti, con un aumento del 600% in cinque anni.

Politico molto controverso, Salvini è uno pragmatico, senza fronzoli e, soprattutto, peli sulla lingua (leggasi le polemiche che ha sempre avuto con la ex Presidente della Camera, Laura Boldrini, lo scrittore Roberto Saviano, i sindaci di Roma, Napoli e Riace, i giudici, le ONG, i vari contestatori ai suoi comizi).

I fatti (politici) però sono tutti dalla sua parte: da quando è diventato segretario della Lega, ha portato il partito dal 4,8% (elezioni XVII legislatura) al 17,35% delle “politiche” del 4 marzo 2018 (con la Lega primo partito della coalizione di centrodestra) e ora il successo di queste Europee, con il Carroccio che ha ottenuto il 34,26% e ventotto eurodeputati eletti, massimo storico del partito per l’europarlamento. Per non parlare del fatto che in Sicilia, nelle ultime comunali, ha portato due candidati locali al ballottaggio, in Basilicata ha ottenuto il 17%, in Sardegna cinque anni fa neanche esisteva ed in Abruzzo e in Calabria è il primo partito con il 26 ed il 22%. Un successo travolgente.

Però, c’è un però: è tanto amato, quanto detestato, Matteo Salvini. E’ amato dalla sua parte politica (e da molti elettori di destra nel complesso), è detestato da quella avversa. Ed il motivo è semplice: Salvini non ha mai fatto in modo di evitare questa cosa. Soprattutto sui social, dove ogni giorno posta immagini, fa “dirette”, commenti e tweet che suscitano una serie di sentiment con tantissime persone che interagiscono con lui (anche canzonandolo). Insomma, non è uno che lascia indifferenti.

La pagina Facebook ufficiale del Ministro degli Interni a oggi conta 3,6 milioni di fan, risultando quella con più “iscritti” e con più interazioni tra i politici nazionali. Più di Capi di Stato e di governo come la Merkel e Macron, fermi a 580mila (come pagina del Bundesregierung, il governo federale tedesco) e 2,4 milioni. Motivo? Innanzitutto, i primi due hanno un ruolo puramente istituzionale, mentre Salvini invece è, sì, un ministro, ma non il Primo ministro e si muove nel Mondo dei social con maggiore destrezza e libertà di azione. Non a caso, se si notano gli account del leader leghista, si nota che oltre ai post politici da campagna elettorale perenne, ce ne sono tantissimi che di politico non hanno niente. Un gesto che gli permette di entrare a stretto contatto con il popolo, mettendosi alla pari con lui ed interagire senza problemi. Un politico vicino all’italiano medio, forse però troppo dotato di un ego molto forte.

Eppure con lui la Lega (non più “Nord”, avendo tolto il tratto caratterizzante dalla sua fondazione) ha raggiunto cifre elettorali in passato impensabili. Un successo clamoroso dovuto essenzialmente a due fattori:

a) la potenza di fuoco delle sue politiche;

b) l’assenza di rivali.

Sul primo punto, il merito della Lega salviniana è stato quello di andare incontro alle persone e alle loro esigenze: dare (politicamente) alle persone ciò che le persone vogliono (politicamente). Sul secondo punto, per una Lega in ascesa ecco i rivali in difficoltà: dai pentastellati che nel giro di quattordici mesi sono passati dal 32,68% al 17,06%, perdendo sempre più consensi ad ogni tornata elettorale (salvo il successo negli scorsi ballottaggi siciliani) al Partito democratico che è passato dal 18,76% delle scorse “politiche” all’attuale 22,74%, fino agli stessi alleati della Lega nella coalizione di centrodestra (Forza Italia e Fratelli d’Italia) che in due hanno preso insieme il 15,22%, diciannove punti percentuali in meno della sola Lega. La Lega ha eroso voti a tutti i partiti, quindi.

In pratica: se tra il 2001 ed il 2008 la Lega (fu Nord) era l’anello debole della coalizione di centrodestra, garanzia delle vittorie solo al Nord, ora le parti si sono invertite perché il Carroccio ha raddoppiato i voti mentre Forza Italia sia è molto ridimensionata ed il partito di Giorgia Meloni ha raggiunto il suo massimo storico a sei anni e mezzo dalla fondazione. E le tornate elettorali amministrative locali sono vinte grazie alla presenza della Lega, anche al Sud: inimmaginabile anche solo dieci anni fa.

Salvini ha svecchiato il partito, scrollandogli di dosso la patina di cattiva gestione dell’ultima fase bossiana (leggasi i fatti Belsito, Bossi jr, i rimborsi elettorali gonfiati etc.) ed questo ha dato una marcia in più al Carroccio, portandolo ai risultati attuali. Un restyling che ha portato i suoi frutti: l’ultima volta che la Lega era al governo del Paese (2008-2011) aveva l’8,30%, oggi ha quadruplicato il suo consenso.

Per Salvini, la Lega del passato è…passata: ora il leader leghista parla e punta ad altre platee, cercando di non far passare il concetto che la sua Lega sia razzista, xenofoba e anti-meridionalista come sostengono in molti.

Eppure, nonostante queste accuse, in parlamento siede il primo deputato leghista di origine africana (il senatore Toni Iwobi, nativo di Gusau, in Nigeria, ma da oltre quarant’anni residente in Italia) e nelle regioni del Sud ci sono ben ventisei consiglieri regionali del Carroccio. E pensare che fece notizia, anche solo nove anni fa, l’elezione a senatrice di Angela Maraventano, la “pasionaria di Lampedusa” (eletta però in Emilia Romagna).

Il vero merito di Matteo Salvini è quello di andare nelle piazze, parlare semplice, ascoltare tutti cercando di risolvere le problematiche del Paese, una cosa che molti partiti non fanno. O meglio: lo fanno, ma la Lega lo fa meglio. Altrimenti non si spiegherebbe perché il Carroccio ha praticamente doppiato gli avversari. Perché è un conto se fosse tutto una cosa spot, ma la Lega sono anni che sta prendendo voti a destra e a manca, diventando il partito più votato e di riferimento.

Quali sono i tratti caratteristi del Salvini politico, personaggio del momento della politica italiana, nel bene e nel male? Salvini ha carisma, arriva al punto ed incanta le masse con il suo parlare magari poco ricercato ma molto efficace, che fa breccia. Salvini non gira intorno al problema (come fanno in molti), lo focalizzata e parla facendo intendere che lo risolverà. Come dovrebbe fare un qualunque politico o chi occupa ruoli istituzionali.

Usa parole (ed espressioni) forti come “ruspa”, “porti chiusi”, “buonista”, “professoroni”, “sinistroide” e la gente concorda con lui, lo segue, gli da credito, lo vota.

Ed è un forte accentratore, Matteo Salvini: all eyes on me. E non a caso da quando è diventato segretario della Lega, è sempre solo lui a parlare, non lasciando spazio a nessun altro esponente del Carroccio. E questa è anche colpa dei vertici del suo partito: non c’è una voce fuori dal coro, non c’è nessuno che si opponga a ciò che dica, nessuno che la pensa diversamente. Sono quindi gli stessi leghisti che danno carta bianca al loro segretario, consci del fatto che ciò che dirà sarà sicuramente giusto, confermando la Lega come un monolite come ai tempi di Bossi. Un plebiscito che neanche ai tempi d’oro della Lega bossiana c’era. E Salvini piace, sempre. E gode anche della stima di chi leghista non è (e gode dell’appoggio di molti di centrodestra e di centrosinistra).

Salvini, inoltre, ha intuito più di tutti il successo del web e dei social network in politica. Non che gli altri politici italiani non lo abbiano intuito (leggasi Matteo Renzi), ma lui è andato oltre e lo si capisce ogni volta che posta un’immagine su Facebook, su Twitter ed Instagram e sotto, come didascalia, esprime il suo pensiero, molte volte provocatorio nei confronti di chi lo critica. Per non parlare del suo presenzialismo in televisione, apparendo sempre sicuro di sé e di quello che dice, polemizzando spesso con molti conduttori (da Floris alla Gruber a Fazio).

Dal punto di vista comunicativo, addirittura, Matteo Salvini è superiore a Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è tornato candidabile giusto per queste elezioni europee (dove ha preso 594mila voti ed è sbarcato per la terza volta, a distanza di diciotto anni dal suo secondo addio, all’Europarlamento), ma pare molto lontano dai fasti (comunicativi) del passato, mentre Fratelli d’Italia, che sotto molti aspetti è molto vicino alla Lega, non ha mai davvero sfondato, anche se oggi può disporre di un “bacino” di 1,7 milioni di voti.

E a dirla tutta, superare un mostro della comunicazione come Silvio Berlusconi dimostra il talento di Salvini: tutti ricordiamo quando, durante i due mesi di stallo sulla scelta del nuovo esecutivo (marzo-giugno 2018), al Quirinale, nelle conferenze stampa, Salvini parlava e ai suoi lati c’erano Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi: mai dal 1994 qualcuno aveva tolto il posto privilegiato all’ex Premier, segno che i tempi sono cambiati. Anche come percentuali elettorali. Checche ne dica Berlusconi, Forza Italia (che ha preso l’8,7% quando cinque anni fa ne aveva preso il doppio) è troppo debole per avere un peso importante in un eventuale “governo Salvini”, anche perché i due partiti della coalizione di centrodestra (Lega e Fratelli d’Italia) hanno dimostrato in questi anni di aver cambiato rotta e guida. Cosa che il partito “azzurro” non ha mai fatto, dal 18 gennaio 1994 a oggi.

Se si uniscono i voti di Lega e Fratelli d’Italia, i due partiti sovranisti (Fratelli d’Italia starà nel gruppo Conservatori e Riformisti Europei all’Europarlamento), arrivano ad oltre il 40% e, in base alla legge elettorale vigente ora in Italia, potrebbero governare avendo la maggioranza parlamentare.

Molti vedono, dal punto di vista comunicativo, in Salvini un nuovo Matteo Renzi, soprattutto dal punto di vista della comunicazione, dell’uso dei social e la presenza sul web. Solo che l’ex Premier si è specchiato troppo e come lui il suo partito, diventando troppo distante dall’elettorato di base che, non ascoltandolo come in passato, lo ha punito nelle cabine elettorali: se alle Europee del 2014, il Partito democratico aveva ottenuto il 40,81% dei voti e trentuno eurodeputati, oggi, a cinque anni di distanza, si è fermato al 22,74 ed il gruppo “democratico” conterà solo diciannove eurodeputati nel gruppo Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. In questo ultimo anno “elettorale”, il partito guidato da Zingaretti (segretario solo da tre mesi, però) ha perso non solo tanti voti, ma anche in molti comuni che prima amministrava non ha vinto ma andrà al ballottaggio, confermandosi solo in zone feudo (Firenze, Modena e Reggio nell’Emilia) o in alcune grandi città nonostante l’onda leghista (Bergamo su tutte).

Salvini potrà piacere o non piacere, ma su una cosa tutti sono d’accordo: arriva al punto. Non gira intorno alle questioni, si butta di testa.

E l’aver radicalmente cambiato i connotati alla (fu) Lega Nord è stato un colpo da maestro: da partito secessionista a partito nazionale (e nazionalista), da partito vicino al federalismo a partito che unisce il Paese. Bossi, tanto per intenderci, nella sua lunghissima segreteria (1989-2012), non era mai sceso sotto il Po (nel vero senso della parola) a tenere comizi o a incontrare i potenziali elettori e questo lo ha sempre penalizzato. Con i se e con i ma non si fa nulla, politica compresa, ma se Salvini avesse ancorato la Lega ancora alla “pregiudiziale” nordista, sicuramente non avrebbe avuto questo exploit e magari si troverebbe con il cerino in mano e poco seguito.

Salvini ha anche cambiato stile allo stesso partito: un tempo c’erano le canottiere bianche, il “celodurismo” e le ampolle di Pian del Re, oggi il linguaggio è meno “rozzo” del passato e più efficace. Certo è che se i primi leghisti erano vicini alla sinistra (ricordarsi ciò che disse d’Alema, nel novembre 1995, definendo la Lega Nord “una costola della sinistra” perché a suo avviso era un partito “operaio”, oltre al fatto che gli stessi Bossi e Maroni prima di essere leghisti erano vicini al comunismo e a Democrazia proletaria), con la segreteria Salvini le politiche si sono spostate molto a destra. E questo spostamento non pare intaccare il partito: il Carroccio è passato dagli 1,6 milioni di voti del voto “europeo” del 2008 agli oltre nove milioni di domenica scorsa. Dal 6% al 34% in cinque anni, di cui raddoppiati in quattordici mesi.

Salvini ha “smeridionalizzato” la Lega prima togliendo il “Nord” e poi ha sfondato nello stesso Sud, tenendo comizi in zone dove ai tempi d’oro del bossismo neanche si pensava potesse arrivare un leghista a parlare e prendere applausi scroscianti. E l’Italia meridionale ha risposto in maniera influente sul voto leghista, basti pensare a quanti voti la Lega ha ottenuto nelle circoscrizioni elettorali “Italia meridionale” ed “Italia insulare” (rispettivamente 23,46% e 22,42%). Su venti Regioni, solo in Toscana e Trentino Alto Adige (per ovvie ragioni) la Lega non è il primo partito.

Questo perché? Perché Salvini parla alla “pancia” delle persone del Sud. I suoi discorsi sono incentrati su temi sensibili e loro lo hanno premiato. Proprio loro che fino a pochi anni fa erano il capro espiatorio (secondo i leghisti) di tutti i mali dell’Italia ed il Carroccio inneggiava a “Roma ladrona” e al Nord “gallina dalle uova d’oro”. E tanti elettori leghisti della prima ora storsero il naso con la “discesa” elettorale di Salvini sotto il Po.

Forse Salvini farà tutto ciò per puro opportunismo politico, ma è conscio del fatto che se voleva prendere voti nel Sud Italia, ha dovuto cambiare registro: accantonati i temi cari al primo leghismo (secessione, devolution, Parlamento del Nord, il rito dell’acqua del Po, il federalismo, “prima il Nord”), ora la Lega ha eletti in tutta Italia, da Bolzano (dove è il primo partito italiano con il 28% dei consensi) a Caltanissetta (dove ha preso il 12%, senza però andare al ballottaggio) passando dalla Sardegna dove oggi ha oltre il 22% (e cinque anni fa non si presentava nemmeno alle elezioni). La sua è stata una sterzata politica graduale e paziente, tanto da aver modificato il nome al partito, il colore ed i connotati (prima la nascita della lista “Noi con Salvini”, la lista leghista presente al centro e al sud e nata nel dicembre 2014 e ora il gruppo “Prima gli italiani”).

Molti italiani rinfacciano a Salvini le urla “Roma ladrona/la Lega non perdona” dei tempi d’oro. I tempi sono cambiati: la Lega a Roma è il secondo partito ed il primo della Regione Lazio. “Regione” governata da Nicola Zingaretti, attuale segretario del Partito democratico.

Non c’è che dire: Salvini è come quel pilota che, secondo in classifica, impegnato da diversi giri a sorpassare il primo, non riesce mai a trovare il varco giusto, ma quando lo trova stacca l’avversario all’ultimo giro e vola verso il traguardo in solitaria.

Salvini appare sempre al naturale, mai arrogante, mai altezzoso, vicino alle problematiche delle persone. Particolari questi che sembrano essere lontani da tanti altri politici italiani. O se lui appare al contrario di quello che è, è perché provocato e lui risponde sempre tono su tono, qualche volta magari esagerando (leggasi il riferimento agli esponenti dei centri sociali riferendosi a loro con lo spregiativo “zecche”).

Salvini è il politico più sul pezzo di tutti e lui “sfrutta” il fatto di essere sempre fuori ufficio per dimostrare che va tra la gente, che cerca di risolvere i problemi del Paese, delle periferie, dell’immigrazione uniti ai continui attacchi contro Bruxelles (vedasi la lettera che giovedì l’Italia ha ricevuto in merito al mancato rispetto della regola del debito nel 2018 ), le opposizioni, gli immigrati (o meglio, contro chi fa arrivare gli immigrati in Italia) e i delinquenti. Tutto questo rappresenta il “sale” della sua politica. E se i suoi colleghi della coalizione di centrodestra spesso lo hanno criticato (e non solo per il fatto di non far cadere il governo gialloverde per far posto alla maggioranza di centrodestra), lui non ha mai risposto male agli alleati e non ha mai posto fine all’alleanza “grillini + leghisti”. Al contrario, ha criticato di Maio & C in alcune occasioni, ma ha già fatto intendere che, nonostante il voto politico abbia “azzoppato” Conte, il Carroccio continuerà la sua strada accanto ai pentastellati in base al “contratto di governo” firmato prima del giuramento davanti a Mattarella.

Che Salvini tenga il piede in due staffe è certo, ma è conscio del fatto che se la Lega vuole raggiungere gli obiettivi che si è posta, deve proseguire su questa strada.

Un politico scafato, capace ed abile allo stesso tempo, Salvini, tanto da essere nominato come politico più importante d’Europa (tra i 28 Stati membri dell’Unione europea) dal think tankPolitico.eu”, individuando nel segretario federale della Lega il punto di riferimento per le prossime politiche europee.

That’s Matteo Salvini. Merito anche delle sue forte doti comunicative. Ancora migliori di quelle dei Movimento Cinque Stelle, il partito che più di tutti ha goduto (e ha saputo godere) di una forte campagna di comunicazione.

Il successo di Salvini è che non parla forbito e difficile. Parla affinché l’italiano (anche quello “medio”) lo capisca. Parla chiaro e tondo, in modo ruspante. Per non parlare del suo outfit: poco propenso all’uso della cravatta, se non la indossa veste in giacca e cravatta sennò le felpe con stampato il nome della cittadina dove si trova a parlare. Insomma, un politico easy.

Parafrasando Nanni Moretti nel celebre film “Aprile”, Salvini dice “qualcosa di sinistra” ed è forse anche per questo che la parte left del Paese ha oltre dodici punti elettorali in meno (oltre tre milioni di voti) della Lega e tanti elettori di sinistra non hanno mai nascosto di aver votato (in questi anni) per il Carroccio, poiché i loro partiti di riferimento sono stati immobili su tante tematiche sentendosi bistrattati, accusando i loro punti di riferimento elettorali di riferimento di essere stati troppo distanti dalla popolazione e dalle varie problematiche.

Se uno non lo sapesse o venisse da un altro pianeta, direbbe che il vero Premier è Salvini: è sempre in tv, è sempre connesso, detta l’andamento dell’esecutivo (o così pensano in tanti), viaggia in lungo e in largo l’Italia, viaggia in lungo e in largo l’Europa, si confronta con politici politicamente discutibili ed è il politico più attivo, tra i 27/28 Stati membri, sul tema caldo dell’immigrazione. Invece è “solo” un vice-Premier, anche se tanti lo vorrebbero a capo di Palazzo Chigi, sede dell’esecutivo. E Salvini di suo (e grazie alla sua squadra della comunicazione), gode anche indirettamente del fatto che nel Paese si parla sempre e solo di lui, attaccandolo anche solo sul personale e non sul suo operato. Peccato perché parlare sempre di una persona solo sul personale e non sui fatti significa, nel caso di Salvini, fare il suo gioco: “bene o male, purché se ne parli”, come dice il detto.

Salvini non si è mai nascosto: punta un giorno a diventare davvero il leader del centrodestra e il Presidente del Consiglio: un ruolo che potrà avere solo se il suo partito viaggerà sempre su queste quote percentuali (magari anche di più) ed il definitivo passaggio di mano di Berlusconi.

Se Berlusconi è sempre apparso brillante, abile destreggiatore e uomo di potere, Salvini alla figura di macho non è mai stato interessato, anzi. Salvini è sempre parso vicino alla popolazione, quasi sempre (come detto in precedenza), senza cravatta, dedito ad indossare maglie celebrative o divise delle forze dell’ordine. O twittando/postando mentre mangiava qualche alimento tipico.

Ancora di più rispetto a Berlusconi (soprattutto del periodo 1994-2005), Salvini è stato definito “capitano”, il leader più rappresentativo di tutti (anche senza avere la fascia al braccio), una sorta di “liberatore”, una sorta di “capo supremo” cui tutti danno credito perché è abile ad andare incontro ai desideri degli elettori. E a cavallo dello scorso 1° maggio fece scalpore l’immagine di un candidato leghista in un capoluogo di provincia del Nord inginocchiato davanti a lui con Salvini che si è visto prendere anche la mano, come un fedele con il Papa. Certamente un’immagine ironica, ma che molti hanno inteso su come Salvini faccia breccia tra candidati, elettori e persone comuni. Per non parlare del solito “balletto” delle cifre sulle persone presenti ai suoi comizi.

Le idee leghiste degli anni Novanta-inizio Duemila sono superate e ora la Lega si interfaccia (e non da poco tempo) con i vari Le Pen, Orban, Geers e il duo a capo di Alternativa per la Germania, Jörg Meuthen e Alexander Gauland. Ovvero con partiti molto di destra, xenofobi molti esponenti sono vicini all’estrema destra rispetto alla natura della prima Lega e che non riconoscono il 27 gennaio come la Giornata della memoria. Alla faccia dello stesso Umberto Bossi che nel gennaio 1994, ai prodromi della nascita del Polo delle Libertà, non voleva che la Lega Nord si alleasse con il MSI-AN, con lo stesso leader leghista che non voleva avere niente a che fare con i fascisti e con un partito che guardava più alle vicende del Sud che del Nord Italia.

Tanti definiscono oggi la Lega fascista, xenofoba, razzista e assimilabile all’estrema destra, una cosa che fa impensierire gli alleati pentastellati che sono, sì, sovranisti, ma per nulla vicini al gruppo europeo Europa delle Nazioni e della Libertà (dove sta la Lega a Strasburgo), la “famiglia” europea formata dai nazionalisti più estremi e di cui il Carroccio è stato il partito più votato domenica. Salvini ha sempre fatto spallucce in merito a queste accuse, rimandando al mittente le critiche dicendo ai contestatori di vedere sempre del male ovunque. Questo eurogruppo, sempre poco considerato dai vertici comunitari perché contro il concetto di Unione europea e di integrazione, ora potrebbe diventare abbastanza “pesante” e non si potrà non tenere conto della sua esistenza. Sulla carta ovviamente, perché sicuramente la nuova Commissione europea non vorrà avere nulla a che fare con lui.

Le forze sovraniste hanno vinto in Italia (come detto, Lega al 34%), Francia (il Rassemblement National di Marine Le Pen ha gagné il 23,43%), Polonia (Diritto e Giustizia ha ottenuto il 43,10%), Ungheria (il partito Fidesz di Orban, che parte del PPE, ha ottenuto il 52%) e Gran Bretagna (con il Brexit Party di Farange al 31,6%), con Londra che a breve uscirà dall’Unione europea.

Il voto di domenica porterà al voto anticipato Grecia e Austria, guidate da forze molto poco europeiste (Syriza di Alexīs Tsipras, l’ÖVP di Sebastian Kurz): in Grecia i conservatori popolari di Nuova democrazia hanno preso oltre dieci punti in più del partito del premier dell’estrema sinistra ellenica ed in Austria il governo Kurz è sfiduciato dopo lo scandalo che ha colpito il vice-Cancelliere Strache del Partito della Libertà Austriaco.

Il sovranismo di Salvini ha due veri nemici: Jean-Claude Juncker ed Angela Merkel, il vero guru dell’Unione europea, quella che ha comandato “da dietro le quinte” in questi quattordici anni (da quando è diventata Cancelliera per la prima volta). Colei che è stata la causa della difficoltà di molti Paesi di risalire la china dopo la crisi economica del 2008 grazie all’imposizione di una austerity che ha causato più danni che benefici. Domenica addirittura la Lega ha superato elettoralmente la CDU-CSU, il partito di frau Angela: va da sé che non non può paragonare un partito come la Lega con un partito da tre lustri al governo di un altro Paese e caratterizzato da una forte matrice cristiano-social-democratica nonché molto europeista, ma la Merkel ha preso il 28,90%, sette punti in meno rispetto alla scorse Europee ed il suo “uomo”, Manfred Weber, candidato alla guida della Commissione europea per il Partito Popolare Europeo, pare non riscontrare grande successo tra i vari gruppi politici parlamentari che nelle prossime settimane dovranno rinnovare la carica di Presidente.

Salvini, in questi ultimi tempi, ha cambiato idea sull’euro, passando da una forte opposizione ad un approccio più freddo che in passato (merito forse del suo arrivo al governo?), ma non ha mai cambiato opinione in merito ai matrimoni fra le persone omosessuali e l’adozione di bambini da parte loro. E sull’affidamento Salvini, in un comizio la settimana dopo Pasqua, aveva detto alle famiglie italiane di non adottare bambini “confezionati” provenienti da altri Paesi ma di fare figli. Posizione questa che ha creato molte polemiche. Ma lui, come sempre, ha fatto spalluce e via “a lavorare”.

E sul discorso “razzismo”, ha creato altrettante polemiche l’uscita del libro-intervista sullo stesso Salvini della giornalista Chiara Giannini de “il Giornale” pubblicato da una casa editrice il cui direttore si è dichiarato fascista e che non riconosce l’antifascismo come un valore. Si è parlato di escludere lo spazio riservato alla casa editrice al Salone del Libro di Torino. Salvini al Salone non si è presentato dicendo che lui è antifascista e anti- tutto, solo che lui in questi anni non ha mai preso le distanze dal partito dei “fascisti del Terzo millennio” (CasaPound). E visto che lui si definisce “antifascista”, non dovrebbe avere rapporti con il partito della “tartaruga frecciata”.

Sul discorso “sicurezza”, oltre che sulla lotta all’immigrazione clandestina, Salvini si è giocato anche una buona fetta di voti. Ma alcuni dati forniti dallo stesso Ministero stridono con le promesse che lo stesso leader leghist aveva fatto lo scorso anno in campagna elettorale: i reati sono diminuiti del 15%, ma sulla questione “rimpatri” questi sono molto meno di quelli che ha sempre detto. Nonostante questo, l’onda (elettorale) leghista ha rotto gli “argini” e si è imposta ovunque: a Roma è il secondo partito cittadino, il primo nel Lazio e nelle cittadine di Riace (in Calabria) e Lampedusa il partito con raffigurato l’Alberto da Giussano ha preso il 36% ed il 45%.

Salvini e la Lega, inoltre, sono stati in prima linea sulla questione “periferie”, cavalcando l’onda dell’emotività e la disperazione della gente. Come quasi sempre accade, il tema delle periferie è centrale durante le campagne elettorali, passando in secondo (o terzo) piano dopo il voto. Quindi le periferie sono lasciate a loro stesse con tutti i problemi che ne derivano (degrado, abbandono, insicurezza) e queste problematiche portano ad episodi come quelli di Torre Maura, Foggia, Viterbo, Napoli e Casal Bruciato. Perché l’italiano (in generale) vuole bene al suo Paese, ma non è un razzista: l’italiano vuole certezze e queste certezze fanno rima con “sicurezza”. Onde evitare che si possano ripetere drammi visti in primavera. Ed il voto di domenica ha sancito che il Partito Democratico è forte nei centri cittadini, mentre la Lega nei quartieri lontani dagli stessi centri cittadini.

Le opposizioni di sinistra hanno accusato Salvini, in questi quattordici mesi, di parlare troppo e fare poco, tante che nel Paese c’è un aumento del sentore di insicurezza. Come dire che colui che deve garantire la sicurezza al Paese pare lontano dalla realtà usando anche espressioni errate (come sul caso dei fatti di Napoli dello scorso 4 maggio quando venne ferita la piccola Noemi, dicendo poi che i malavitosi dovrebbero spararsi tra di loro senza coinvolgere persone terze alle loro faide). Eppure dai voti singoli che ha preso Salvini, queste “incomprensioni” sono passate inosservate.

Salvini però cavalca da sempre la “paura dell’immigrato”. In Italia c’è un problema immigrazione come nel resto degli altri Paesi dell’Ue, ma il vice-Premier (anche prima di diventare tale) ha sempre cavalcato l’onda populista-sovranista dell’”Italia invasa” e della paura dello straniero. Peccato che (così dicono i dati), il nostro Paese non sia invaso da immigrati e clandestini: ce ne sono come ce ne sono nel resto d’Europa, ma non da creare problemi di ordine pubblico.

La lotta all’immigrazione però è un cavallo di battaglia della Lega di Salvini. Non che prima questa tematica fosse inesistente (vedasi la legge “Bossi-Fini”), ma ora è al centro del progetto politico del leader del Carroccio e grazie a questo oggi il partito guarda tutti dall’altro del suo 34%. Rispetto ad allora (luglio 2002), sono aumentati gli immigrati nel nostro Paese e Salvini ha sempre posto l’accento contro l’immigrazione clandestina, gli scafisti, le ONG che aiutano chi non dovrebbero (a suo modo di vedere) aiutare.

Salvini e la Lega per “vivere” hanno bisogno di un problema, di un capro espiatorio cui riversare le colpe: dai governi precedenti agli immigrati irregolari, dai burocrati di Bruxelles ai centri sociali, dagli amministratori incapaci alla “sinistra” in generale. E in queste ultime settimane, lo stesso Salvini ha detto che i suoi “nemici” (non l’ha detto, ma lo ha fatto intendere) sono i centri sociali, le droghe leggere, il PD e…Fabio Fazio.

Il nemico di Salvini è il “centro sociale”, luogo di violenze ed illegalità secondo lui. E pensare che quando lo stesso Salvini era uno studente, era di casa al centro sociale “Leoncavallo” di Milano e hanno sollevato polemiche le parole del vice-Premier leghista quando parlava di una stretta contro i negozi che vendono legalmente cannabis, lui che quando era giovane, da militante del CSA meneghino, era a favore della liberalizzazione delle droghe leggere.

Ma i problemi (e le polemiche) per il Ministro degli Interni non finiscono qua: dalla questione della sottrazione di 49 milioni di euro verso lo Stato da parte della Lega e la “spalmazione” dello stesso in ottant’anni (anche se le accuse sono precedenti alla sua nomina come leader) al fatto di aver disertato per scelta le celebrazioni del governo per il 25 aprile, andando ad inaugurare (legittimamente, va da sé) un commissariato di polizia a Corleone, di pensare più al suo ego invece che del bene degli italiani e di usare termini che non si addicono ad un ministro dell’Interno.

Per non parlare dei comizi al Sud o quando parla del Sud, contestato e anche duramente: quando Salvini è andato in Sicilia per la campagna elettorale dello scorso 28 aprile, molti siciliani si sono radunati indossando una felpa con scritto “Sicilia is not Padania”, asserendo al fatto che loro non dimenticavano quando la Lega (allora “Nord”) insultava e dileggiava tutti coloro che non erano del Sud, accusando lo stesso Meridione di essere una zavorra del Nord ricco, prosperoso e che pagava le tasse. E molti cittadini delle regioni del Sud contestano i loro corregionali che votano per la Lega e si presentano ai comizi di Salvini con la bandiera del partito, accusandoli di aver dimenticato l’odio e l’astio dei leghisti di allora nei loro confronti. I dati sono stati significativi però: Lega primo partito in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sardegna.

Per non parlare della legge sulla legittima difesa, cavallo di battaglia del centrodestra e dello stesso Salvini, considerata troppo “violenta”, oppure del fatto che lo stesso Salvini pecchi di assenteismo. Non nel senso “fantozziano” del termine, ma nel senso che il leader leghista ha saltato tantissime sedute dell’europarlamento quando era a Strasburgo e da quando è ministro non è sempre presente negli uffici del Viminale (si parla di soli diciassette giorni di presenza complessivi e presente solo per il 37% delle votazioni al Parlamento europeo nella scorsa legislatura). Le opposizioni dicono che Salvini fa bene a perlustrare il Paese, ma secondo loro un ministro non può essere sempre in giro a fare comizi o scattare selfie con i (potenziali) elettori.

In queste ultimo mese si è parlato anche del fatto che Salvini abbia potuto avere un calo nell’indice delle preferenze personali per via di alcune situazioni che lo hanno messo sulla graticola: dal “caso Siri” ai selfie provocatori di alcune persone, dalla campagna elettorale in luoghi “storici” (leggasi il comizio dal balcone di Forlì dove Mussolini arringava la folla) alle proteste durante i suoi comizi con le persone che lo fischiavano cantando la canzone “Bella ciao!”. Per non parlare dell’inchiesta che ha portato in carcere alcuni pseudo politici, le parole del capo della Polizia dello Stato, Gabrielli, che ha detto che i suoi uomini non sono al servizio di nessun ministro ed il caso degli striscioni tolti dai balconi dove Salvini sarebbe passato o avrebbe tenuto un comizio (da Salerno a Brembate). Per non parlare del comizio del leader leghista lo scorso 18 maggio con alcuni leader sovranisti europei quando dai balconi di tante case di Milano sono stati esposti tanti striscioni/lenzuola contro Salvini e la sua presenza nella città di Sant’Ambrogio. E da piazza Duomo ha fatto capolino (creando tanti sorrisi) anche un uomo vestito da Zorro, schernendo il leader del Carroccio per un passaggio del suo “libro-intervista”.

E le tensioni con i grillini stanno toccando cime mai viste prima, con di Maio che ha accusato la Lega di aver voluto un “decreto sicurezza bis” solo per distogliere l’attenzione del Paese dal caso di Armando Siri, l’ex sottosegretario leghista ai Trasporti accusato di corruzione. E con quel decreto (non ancora entrato in discussione in commissione), al Ministero degli Interni passerebbero alcune competenze che erano del Ministero della Difesa e dei Trasporti. Peccato che il deludente 17,06% (e sei milioni di voti persi) dei grillini pone lo stesso capo politico del movimento pentastellato nella condizione di doversi leccare le ferite e ripartire da capo per cercare di riguadagnare quei tanti (troppi) voti persi in un anno e due mesi.

Salvini si è sentito accerchiato e ha temuto per un complotto contro di lui ed il suo partito. E l’arma dei selfie, la forza mediatica dello stesso ministro, gli si sta ritorcendo contro per via di alcune foto fatte da ragazzi che si sono fatti immortalare con lui solo per dirgliene quattro subito dopo, oppure alle due ragazze che si baciate, creando imbarazzo nello stesso leader leghista.

Le polemiche sull’operato di Salvini (ma anche sulla sua forza politica) risalgono a quando, per la prima volta, usò il pugno di ferro contro le “baracche del mare” e tutti quelli che hanno un guadagno sfruttando l’immigrazione clandestina. L’Italia conobbe l’espressione “chiusura dei porti”, riferendosi alle vicende delle tante navi che attraccano nei porti italiani per portare in salvo i migranti salvati sulle “baracche del mare” che partono dall’Africa verso l’Europa.

Salvini ha usato il pugno di ferro e il clou lo si ha avuto con il caso della “Diciotti”, quando lo stesso ministro ha rischiato di andare a processo per i fatti della nave della guardia costiera. Processo evitato perché il 19 febbraio, tra tante polemiche, la giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, la Camera di appartenenza di Salvini, ha negato l’autorizzazione a procedere contro di lui. Ad evitargli il processo, leghisti e grillini, i cui iscritti avevano votato contro Salvini tramite la piattaforma Rousseau, il “luogo” dove loro votano e si esprimono.

Si pensava che potesse finire prima del previsto la luna di miele di Salvini con le piazze, il suo punto di riferimento e dove lui sapeva che non avrebbe mai trovato problemi o prese in giro. Salvini ha ottenuto oltre 2,2 milioni di preferenze personali: le piazze, quindi, gli sono state amiche.

Il leader leghista ha anche un merito che molti (politicamente) non hanno: cadere sempre in piedi ed uscire a testa alta da ogni problematica. E, soprattutto, non rimanendo mai senza parole, ma ribadendo sempre il concetto. Basta vedere il caso Siri con Salvini che, incalzato dai cronisti sulla situazione dell’allora ex Sottosegretario ai Trasporti, ha detto di non voler perdere tempo perché l’Italia deve andare avanti e che c’è da “lavorare”. La “questione Siri” ha rischiato anche di compromettere i rapporti fra le forze di governo: pentastellati che chiedevano un passo indietro del sottosegretario, con i leghisti arrabbiati perché il loro esponente era stato scaricato dal governo. Si pensava che la “questione Siri” e l’azzeramento della giunta leghista di Legnano potesse causare dei problemi di voti al partito, ma così non è stato.

Salvini sfrutta anche alcune incertezze degli alleati del M5S, un partito che dopo il boom elettorale del 4 marzo 2018, ad ogni tornata elettorale amministrativa, ha visto diminuire i propri voti. Se non proprio durante i ballottaggi di domenica 12 maggio, dove i pentastellati hanno vinto ai ballottaggi e la Lega (che per la prima volta è arrivata a dei ballottaggi in Sicilia) ha perso e non di pochi voti. Ed il voto di domenica potrebbe portare ad un “tagliando” della compagine governativa, anche se lo stesso Salvini, nella prima conferenza stampa post voto, ha detto che non per lui cambierà nulla e non chiederà “poltrone”.

Salvini non ha parlato di un “ribaltone” di governo anche se si dice (voce poi smentita) che di Maio abbia detto ai suoi, durante una riunione tenutasi tra i suoi lunedì, di chiedere se staccare la spina al governo o meno: mai in Italia un partito di governo era passato nel giro di un anno dall’essere la prima forza nazionale alla terza.

Il crollo grillino pone fine (almeno per ora), dopo sei anni, all’anomalia del tripolarismo: si torna al passato, con la classica sfida tra centrodestra e centrosinistra, grazie anche al +4% del Partito Democratico queste elezioni che lo hanno portato a quasi il 23% dei voti. Il Partito Democratico a oggi è il partito left più forte tra quelli di Germania, Francia e Gran Bretagna ma non come i “cugini” spagnoli e portoghesi: un buon margine per fare una buona opposizione al Carroccio che mette i dem nella posizione forse migliore, ovvero far pesare al partito leghista le promesse elettorali fatte fino ad oggi e provare a lavorargli i fianchi.

Molti dicono che in Italia sia stia vivendo un clima da 1919-1921: crisi politica, crisi economica, crisi dei valori, crisi sociale e tanti temono che possa arrivare un nuovo fascismo con tutti i problemi del caso. Fatto sta che all’orizzonte non c’è nessun pericolo “fascismo” anche perché è fuorviante (e antistorico) dire che fra poco si tornerà al fascismo perché il fascismo è morto e sepolto con il 25 aprile 1945.

C’è comunque un periodo di crisi duratura che nessun governo sembra poter arginare e sconfiggere. E il tasso di crescita del nostro Paese ci relega all’ultimo posto su scala europea, per non parlare della disoccupazione: l’Italia era fanalino di coda prima dell’arrivo al governo di Salvini e lo è ancora. Per migliorare la situazione, il governo Conte dovrà studiare delle mosse appropriate altrimenti il nostro Paese rimarrà al palo per sempre.

Salvini dal palco di Milano aveva pronosticato in un successo dei sovranisti domenica 26 maggio, parlando anche del suo gruppo, Europa delle Nazioni e della Libertà, che si sarebbe posizionato al secondo posto, scavalcando i socialisti e mettendo i popolari nella condizione di scendere a compromessi. Invece il gruppo che raggruppa i partiti (e il politici) più estremi e anti-Ue è ora il quinto (dopo popolari, socialisti, ALDE e Verdi) e sarà isolato dalla nuova Commissione europea. Al contrario, hanno avuto tantissimi voti i Verdi, con punte del 25% in Germania (dove sono il secondo partito federale) e del 13% in Francia, Paesi dove il partito ecologista-ambientalisti ha sempre raccolto tantissimi consensi elettorali a differenza dei Paesi dell’Europa mediterranea.

La vittoria leghista alle Europee pone l’Italia distante dalle politiche di Bruxelles proprio quando sono da nominare il nuovo Presidente della Commissione ed il successore di Mario Draghi alla guida della Banca Centrale Europea. L’Italia rischia di essere “tagliata” fuori dalle scelte decisive suo futuro dell’Unione europea, anche perché non avrà il peso che ha avuto negli ultimi cinque anni (Antonio Tajani Presidente del Parlamento europeo per due anni e mezzo, Federica Mogherini Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Mario Draghi governatore della BCE).

L’Italia però ha bisogno di certezze, di un rilancio politico, economico e sociale. Il popolo vuole risposte e vuole arrivare senza problemi a fine mese e dare un futuro ai propri figli.

La composizione del Parlamento europeo ha mostrato che la quasi totalità degli abitanti dell’Unione europea crede ancora nel progetto comunitario e Salvini, il vero vincitore di questa tornata elettorale (e non solo in Italia), avrà un ruolo molto arduo: tenere l’Italia il più vicino possibile all’Europa visto che con l’esito del voto, e la possibile alleanza popolare-socialisti-liberali-verdi, potrebbe essere lontana da Bruxelles e Strasburgo.

L’Italia sta vivendo tempi duri e la palla passa quindi (anche) a Salvini che, da buon “capitano” quale dovrebbe essere, dovrà prendere il Belpaese e tirarlo fuori dai guai.

Facendo qualche selfie in meno e qualche politica condivisa di più.

foto in evidenza tratta da www.societacivile.it