di Alessio Marrari
L’ostentazione delle ferie, oggi più che mai, rappresenta un fenomeno sociale diffuso e rilevante. Non si tratta più solo di concedersi un periodo di riposo, ma di trasformare le vacanze in strumenti di comunicazione del proprio status, del proprio gusto e della propria identità. Questo comportamento si colloca nel più ampio contesto del consumo ostentativo, secondo cui le persone non acquistano beni o servizi solo per utilità, ma anche per ciò che questi rappresentano agli occhi degli altri. Nel caso delle ferie, questa dinamica si manifesta nell’esibizione di viaggi in luoghi esclusivi, esperienze lussuose e contenuti esteticamente curati destinati alla condivisione online. L’utilizzo intensivo dei social media ha rafforzato e amplificato questo fenomeno. La Fear of Missing Out (FoMO), particolarmente diffusa tra Millennials e Gen Z, spinge molti utenti a programmare vacanze pensate ad hoc per essere condivise. Il confronto sociale, alimentato dalla continua esposizione a immagini di viaggio perfette, genera insoddisfazione e desiderio di emulazione. Il contenuto generato dagli utenti ha assunto un ruolo guida nel determinare le mete desiderabili: una foto virale può rendere celebre una destinazione anche sconosciuta. Tutto ciò ha portato a un cambiamento profondo nel modo di vivere e raccontare le ferie, trasformandole in performance pubbliche della propria vita ideale. Questo meccanismo però comporta un aumento generalizzato dello stress, perché il viaggio smette di essere un’occasione di rilassamento per diventare una missione ansiogena, pianificata nei minimi dettagli per essere all’altezza delle aspettative altrui, spesso più che delle proprie. Dal punto di vista economico, l’ostentazione delle ferie ha prodotto un significativo impatto sul settore turistico. Le esperienze di lusso e su misura, come resort esclusivi, crociere private, ristorazione gourmet e benessere olistico, registrano una forte crescita. Piattaforme come Airbnb hanno lanciato servizi premium per attrarre una clientela desiderosa di unicità e visibilità. Le destinazioni si adattano a questa richiesta offrendo scenari pensati per essere fotografati, come infinity pool, terrazze panoramiche o tour privati. Le strutture ricettive intercettano questa nuova dipendenza del turista dall’apparire, e spesso ne approfittano per gonfiare i prezzi in modo smisurato, puntando su esperienze che più che autentiche risultano costruite a misura di algoritmo. Questo trend, pur vantaggioso per l’indotto economico, comporta una trasformazione del tessuto turistico, talvolta a scapito dell’autenticità, della sostenibilità e dell’accessibilità. A livello psicologico e culturale, le implicazioni sono profonde. Le ferie diventano parte integrante del processo di costruzione identitaria: mostrarsi in vacanza significa raccontare chi si è o chi si vorrebbe essere. Tuttavia, questa narrazione pubblica genera una pressione sociale costante, in cui il valore dell’esperienza reale passa in secondo piano rispetto alla sua rappresentazione. L’imperativo di apparire felici e realizzati durante le vacanze può condurre a una fruizione ansiosa e a un paradossale senso di vuoto. Il desiderio mimetico, descritto da autori come René Girard, si traduce qui nel voler ciò che gli altri desiderano, alimentando una spirale continua di aspirazioni visive e simboliche. Ne consegue anche un abbassamento del livello culturale complessivo delle esperienze vacanziere: al posto della scoperta, dell’approfondimento, dell’incontro autentico con una realtà diversa, si predilige il colpo d’occhio, lo sfondo perfetto, il cliché visivo. Le vacanze diventano così spettacolo per gli altri, spesso prive di contenuto reale, con un impoverimento del senso stesso del viaggio. Il fenomeno tocca in modo particolare i giovani adulti, tra i 22 e i 37 anni, che considerano il viaggio come un’estensione naturale della propria personalità. In risposta, si sviluppano offerte di micro-lusso accessibili, pensate per permettere anche a chi non appartiene alle fasce più abbienti di vivere esperienze esclusive. Emergono nuove destinazioni, spesso promosse da influencer o tendenze social, che diventano mete ambite non per la loro storia o cultura, ma per la loro estetica. Il turismo diventa così sempre più legato alla capacità di produrre immagini e narrazioni ad alto impatto emotivo e visivo. In questo contesto, è necessario guardare al futuro con spirito critico e costruttivo. Gli operatori turistici sono chiamati a ideare esperienze autentiche, sostenibili e culturalmente rispettose, puntando su storytelling efficace e contenuti condivisibili ma non artefatti. Il consumatore, da parte sua, può sviluppare una maggiore consapevolezza, scegliendo di vivere le vacanze come momenti di vero benessere, senza l’obbligo della rappresentazione continua. Un possibile sviluppo positivo potrebbe essere quello verso esperienze più intime, locali e significative, capaci di coniugare estetica, etica e piacere. Solo così le ferie potranno tornare ad essere ciò che realmente dovrebbero: un tempo dedicato a sé stessi, alla scoperta e alla rigenerazione, senza la necessità di esibirle per validarne il valore. In molte località balneari italiane si è assistito inoltre a un’esplosione dei costi legati all’accesso alle spiagge: in alcune zone si paga l’ingresso anche per le spiagge non attrezzate, mentre nei lidi organizzati il prezzo per un solo giorno può arrivare dai 70 euro a oltre 1.000 per un ombrellone e due lettini. Questo ha spinto molte famiglie a riorganizzarsi in modo radicale, portando con sé veri e propri trolley da spiaggia in cui vengono incastrati ombrelloni, lettini pieghevoli, seggiole, tende da campeggio e teloni, nel tentativo di difendere il proprio diritto al mare senza cedere all’imposizione economica. Un’immagine che restituisce un’umanità ingegnosa ma anche provata, sempre più compressa tra desiderio di vacanza e crescente pressione finanziaria.