di Antonio Costa Barbé
Una sentenza della Corte di Cassazione del 2015, la n. 14.250, ha affrontato il caso più comune di abbandono (spesso riportato dalle pagine dei giornali): chiudere il cane in macchina e allontanarsi lasciandolo dentro l’autovettura. Nel caso di specie i Giudici della Corte hanno stabilito come questo comportamento configuri un vero e proprio abbandono se il cane viene lasciato chiuso per troppo tempo in auto. Ma è possibile incorrere nel reato di abbandono anche se si lascia il cane per troppo tempo da solo in un giardino, o peggio in qualche luogo lontano dalla propria abitazione. Di recente si è iniziato a parlare del cosiddetto “diritto all’affetto” per gli animali, con il quale si intende il diritto a ricevere le cure del padrone e a non essere abbandonato, e l’ambito non va ristretto al solo caso in cui l’animale venga lasciato per strada, ma anche a quel comportamento più subdolo che priva il medesimo delle dovute attenzioni e dell’affetto del proprio compagno umano.
Secondo la Corte di Cassazione infatti va punito non solo l’abbandono inteso come il venir meno delle condizioni fisiche (cibo e acqua), ma anche quello che determina la mancanza «di condizioni morali della vicinanza e consuetudine comune di vita, non meno importanti per la psicologia degli animali domestici», in quanto gli animali sono «dotati di sensibilità psico-fisica, capaci di sentire il dolore, soprattutto quello della mancanza di attenzione ed amore legato all’abbandono». La mancanza di un contatto frequente tra uomo e animale è stata censurata penalmente dalla Suprema Corte in riferimento ad un individuo che lasciava il proprio cane da solo in appartamento durante le ore diurne. Il Supremo Collegio ha motivato la sua decisione sostenendo che la solitudine e l’assenza del proprietario, a cui il cane è profondamente legato, procurava all’animale stress e stati depressivi tali da configurare il reato di maltrattamento.
Passando ad altra fattispecie, la sentenza n. 36866 del 28 giugno 2016 ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Vicenza ad un uomo imputato non solo di aver abbandonato il proprio cane, un pastore tedesco, in un giardino lontano dalla propria abitazione, ma di averlo anche lasciato vivere in pessime condizioni causandogli sofferenze. I testimoni hanno riferito che l’animale -quando venne ritrovato- non riusciva a stare in posizione eretta, era lordo di sangue, con piaghe da decubito sulla pancia. Il proprietario si era difeso -incredibilmente!- sostenendo che non essendo egli veterinario non aveva percepito che il cane stesse male. La Cassazione ha riconosciuto nella condotta dell’uomo non solo la concretizzazione dell’ abbandono ma anche della omessa prestazione di cura e assistenza dovuta ad un comportamento di trascuratezza colposa, ed essendo l’articolo 727 in discorso un reato contravvenzione e quindi punibile sia a titolo di colpa sia a titolo di dolo, lo ha condannato alla pena di 2.000 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Infine, sebbene l’art. 727 non preveda la confisca dell’animale in caso di condanna dell’imputato o di patteggiamento della pena -come invece prevede espressamente l’art. 544 sexies del codice penale per la condanna o il patteggiamento di un soggetto a seguito della violazione degli articoli: 544 ter (maltrattamento di animali), 544 quater (spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali) e 544 quinquies (combattimento tra animali)- la evoluzione giurisprudenziale ha nel tempo affermato che la confisca vada disposta anche per questa fattispecie di reato, ai sensi del generale disposto dell’art. 240, comma 2, n. 2 del Codice Penale, ovvero in relazione al divieto di detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura. Naturalmente anche in questo caso la confisca non può essere disposta se l’animale appartiene ad una persona estranea al reato.