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23 dicembre 1984: il Mondo scopre Alberto Tomba. E lo sci cambiò la sua aura

DiSimone Balocco

Dic 22, 2024

di Simone Balocco

 

Alberto Tomba è stato uno degli sportivi italiani più famosi al Mondo. E’ stato uno degli sciatori che ha cambiato di più questo sport, uno di quelli che fermava l’Italia per assistere alle sue discese dove tutti, per un minuto e mezzo-due minuti, erano sul divano con (metaforicamente) gli sci ai piedi con lui sperando che vincesse l’ennesima gara, l’ennesima medaglia e quella Coppa del Mondo che in carriera si è aggiudicato una volta sola. Il palmares di Alberto Tomba è stato clamoroso: una Coppa del Mondo generale, cinque medaglie olimpiche (tre ori e due argenti), quattro medaglie mondiali (due ori e due bronzi), cinquanta vittorie (quindici in “gigante”, trentacinque in “speciale”), quattro Coppe del Mondo di specialità (quattro in slalom gigante e quattro in slalom speciale), cinque volte campione italiano di slalom speciale e tre volte di “gigante” tra il 1988 ed il 1994

Un mito, un fenomeno. Il tutto partendo da…Castel de’ Britti, frazione di San Lazzaro di Savena, paese a quindici chilometri da Bologna, una zona non proprio montagnina. E invece Tomba, cresciuto sui “colli bolognesi” cantati dai (quasi) concittadini Luna Pop, è diventato sciatore sulle montagne di casa di Corno alle Scale e ha cambiato l’approccio verso questo sport: ha cambiato il modo di scendere tra i pali larghi e stretti e ha vinto tantissimo pur non disputando le discipline veloci (discesa libera e Super Gigante, anche se ad inizio carriera si era cimentato in quest’ultima disciplina smettendo nel dicembre 1989 dopo un brutto incidente in Val d’Isere) e quindi perdendo la possibilità di vincere la “coppa di cristallo”, la Coppa del Mondo, il sogno di ogni sciatore.

Ma ecco, come si è approcciato uno di pianura ad uno sport praticato da persone di montagna o che distano distanze ragionevoli dalle piste da sci? Cresciuto sciisticamente a pochi chilometri da casa sua, è diventato sciatore lontano di casa, sulle Alpi. Aveva una decina di anni e, accompagnato dai genitori Franco e Maria Grazia e dai fratelli Marco e Alessia, si era fatto notare come un ragazzo promettente sulle Dolomiti. Arrivarono le prime vittorie di categoria con la Nazionale juniores e poi a 17 anni l’ingresso nelle squadre nazionali. Pensate: uno di Bologna punta di diamante del panorama sciistico nazionale. O erano pazzi o sapevano di avere tra le mani (anzi sugli sci) un fuoriclasse.

E l’Italia scoprì la nuova stella dello sci mondiale in un posto insolito ovvero a Milano il 23 dicembre 1984. Uno penserebbe: lo sci è uno sport di montagna che si pratica dove ci sono molti metri sul livello del mare non nel capoluogo lombardo dove i metri sul mare sono appena 138. Ed è la chiusura di un cerchio: uno nato in un paese sito a 101 m.s.l. si fa conoscere in un luogo a 138 m.l.s per diventare un grande interprete dello sci mondiale di sempre.

Cosa c’entra lo sci con Milano? Innanzitutto c’è da tornare a quel 23 dicembre 1984, anti-vigilia di Natale. Da qualche tempo a ridosso di Natale (e a poche settimane dall’inizio dell’apertura degli impianti di risalita e della stagione della Coppa del Mondo) c’era una gara tradizionale che metteva sul piatto il meglio delle nostre squadre sciistiche nazionali. Un happening in diretta Rai dove si potevano mettere in competizione tra loro i campioni della Nazionale A e quelli più giovani.

L’evento in questione era il Parallelo di Natale, una gara che vedeva gareggiare su una pista in parallelo due sciatori e chi vinceva eliminava l’altro sino a decretare un vincitore finale in una finale a due manche. L’edizione 1984 si decise di farla disputare per la terza volta nell’insolita cornice del capoluogo meneghino a pochi passi dallo stadio di San Siro, ovvero sul Monte Stella, una sorta di piccola “alpe” nella città locomotiva economica della Nazione che negli anni ’80 si stava affermando come una città ricca di eventi (e di soldi da spendere) nonché capitale culturale e politica del Paese.

Tutto fu preparato per il meglio per quell’evento particolare nella città di Sant’Ambrogio con un avveniristico impianto di innevamento artificiale che in poco tempo fece diventare quella piccola parte di città degna della migliore tradizione alpina nazionale. Tra lo stupore di tutti e la consapevolezza di aver portato a Milano un qualcosa di unico.

Milano era l’emblema degli anni ’80: ricchezza, spensieratezza, freschezza. E lo sci nel quartiere QT8: una cosa impensabile anche solo anni prima ma che tra il 1982 ed il 1984 fu realtà. Dopo la “Milano da bere”, ecco la “Milano da sciare”. La gara si svolgeva, come detto, al “Monte Stella”, una montagna alta 45 metri voluta da Agostino Giambelli e progettata da Piero Bottoni dopo la fine della Seconda guerra mondiale e costruita con tutti i detriti delle case di Milano bombardate.

Al Parallelo di Natale partecipano le squadre “A” e “B” di sci alpino italiano maschile e femminile: un happening dove tutti si affrontano e cercano di vincere il prestigioso trofeo. Che non è come la Coppa del Mondo o una medaglia olimpica o mondiale, ma è sempre una vittoria.

La nostra squadra “A” maschile allora contava su sciatori del calibro di Roberto Erlacher, Richard Pramotton, Michael Mair, Paolo de Chiesa, Oswald Tötsch ed Ivano Edalini. Il nostro sci era però lontano anni luce della Valanga azzurra degli anni Settanta, il team di sciatori italiani che dominò su tutte le piste del Mondo con veri fenomeni come Piero Gros, Gustav Thoeni, Erwin Stricker, Helmuth Schmalzl e Tino Pietrogiovanna ovvero i primi cinque classificati nello slalom gigante di Berchtesgader il 7 gennaio 1974, dove la nostra Nazionale piazzò cinque atleti nei primi cinque posti della classifica: una cosa mai accaduta prima a nessuna Nazionale. E gli anni Settanta sono stati la nostra golden age dello sci con sei medaglie olimpiche vinte (due ori), sei medaglie mondiali (quattro ori), cinque Coppe del Mondo generali e sei coppe di specialità (quattro in slalom gigante e due in slalom speciale). Punta di diamante: Gustav Thoeni, vincitore di quattro Coppe del Mondo tra il 1971 ed il 1975 (con quella dell’anno precedente vinta da Piero Gros). A livello femminile invece le vittorie furono meno in quel periodo, ma nacque la Valanga rosa con lo slalom dello Stelvio del 28 novembre 1978 quando a vincere fu Maria Rosa Quadrio e seconda arrivò Claudia Giordani: in quella gara si piazzarono ben sei atlete azzurre tra le prime otto. In Coppa del Mondo, fino a quel momento, i risultati erano scarsi: si distinse Claudia Giordani, ottava nel 1977 e nel 1980 in Coppa del Mondo vincendo anche la medaglia d’argento alle Olimpiadi nel 1976. Daniela Zini vinse poi il “bronzo” ai Mondiali del 1982 e l’exploit lo fece Paola Magoni vincendo la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sarajevo del 1984 in slalom speciale.

Nei primi anni ’80 il livello sciistico degli avversari e delle avversarie aumentò e le vittorie delle “Valanghe” diminuirono quasi ad azzerarsi. Era ora che la rotta cambiasse e che venisse fuori qualche nuovo interprete. E l’occasione fu, appunto, il Parallelo di Natale di Natale 1984.

La squadra “B” italiana maschile aveva uno sciatore promettente, un ragazzo bolognese di appena 18 anni (compiuti quattro giorni prima la disputa del Parallelo) che era stato promosso dalla “C”. Quel ragazzo era proprio Alberto Tomba, quello di Castel de’ Britti.

Il Parallelo “funzionava così”: chi vinceva le quattro gare della competizione avrebbe vinto il trofeo. Tomba negli ottavi eliminò Heinz Holzer; nei quarti ebbe la meglio su Paolo de Chiesa (quarto ai Mondiali di Lake Placid di due anni prima) ed in semifinale su Ivano Edalini, campione italiano di slalom speciale in carica e fresco del suo primo podio a Sestiere dieci giorni prima in “speciale”. L’ultimo atto della gara vedeva di fronte il giovane Tomba contro Robert Erlacher. Da una parte uno sconosciuto sciatore diciottenne contro il 22enne atleta di punta della nostra Nazionale e nativo della Val Badia: pura pianura contro pura montagna. Da una parte un neopromosso contro quello che era considerato il futuro del nostro sci (vincitore due settimane prima della sua prima gara di Coppa del Mondo). E a vincere fu Alberto Tomba, lasciando diversi secondi ad Erlacher. A vincere la gara femminile fu invece Daniela Zini su Nadia Bonfini.

Il giorno dopo “La Gazzetta dello Sport” uscì con il titolo “Grossa sorpresa alla Montagnetta di San Siro. Un azzurro della B beffa i grandi nel parallelo”, senza però citare il nome di Alberto Tomba.

Tomba era entrato in Nazionale C dopo il quarto posto conquistato ai Mondiali juniores di quell’anno, debuttando poi in Coppa del Mondo (quindi in Nazionale A) il 16 dicembre 1985 a Madonna di Campiglio ed il 27 e il 29 novembre 1987 vinse la sue prime gare di Coppa del Mondo (uno slalom speciale ed uno slalom gigante) a Sestriere. Da allora, ne vinse altre quarantotto e oggi è al quarto posto della classifica dei più vittoriosi di tutti i tempi.

A Milano era nato un grande campione: uno che tre anni dopo porterà a casa l’unica medaglia italiana ai Mondiali di Crans Montana; uno che il 24 febbraio 1988 fermò addirittura il Festival di Sanremo per assistere alla sua discesa della seconda manche nello slalom speciale alle Olimpiadi di Calgary; uno che nel 1992 fu il portabandiera dell’Italia alle Olimpiadi di Albertville e divenne il primo sciatore a vincere due medaglie d’oro consecutive ai Giochi invernali nella stessa disciplina (lo slalom gigante); uno che quando scendeva fermava il Paese con tutti che tornavano a casa di corsa da scuola e dal lavoro per vederlo gareggiare; uno che ha scritto una grande pagina di sport. Un’icona, un mito, un fenomeno delle discipline tecniche. Uno che ha portato nelle case degli italiani lo sci e portandoli ad avvicinarsi (e ad interessarsi) a questo sport.

Tomba si è ritirato nel 1998 a 31 anni e da allora con lo sci ha chiuso, se non per fare l’opinionista, il tedoforo per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 e per promuovere la sua Emilia Romagna e l’Appennino. Alberto Tomba è stato quello che ha portato sci, attacchi e bastoncini al centro del villaggio in un’epoca dove gli sciatori azzurri non vincevano nulla dai tempi di Gustav Thoeni che, a differenza di Tomba, era di Trafoi, Provincia autonoma di Bolzano, terra montagnina per antonomasia.

Vero personaggio, istrionico e guascone, Tomba era un carro armato che quando scendeva sembrava volesse spaccare i pali e questa sua garra ha messo sempre in difficoltà gli avversari, facendoli sbagliare.

Nulla da eccepire: Alberto Tomba ha entusiasmato tutti, da Trieste in giù anche dove lo sci non è propriamente di casa. Sciava in un modo diverso rispetto agli avversari e quando non vinceva tutti dicevano “come ha fatto a non vincere visto che scia meglio di tutti e che sembra che si “mangi” le porte?”

Alberto Tomba piaceva perché era uno diretto, senza peli sulla lingua, un guascone che sugli sci sembrava un qualcosa di fuori dal Mondo. E non a caso lo chiamavano (anche se a lui non piaceva) “Tomba la bomba”. Lui che era tutto l’opposto dell’abitante della montagna: timido, riservatezza e poche parole mentre Tomba era esattamente il contrario. Un esempio? Bormio, 19 marzo 1995: da grande personaggio istrionico e guascone quale era, scese, tra le due manche, in boxer e canottiera gialla fosforescente con cravatta, occhiali da sole e cappello al contrario prima di ricevere la Coppa del Mondo generale, terzo italiano a vincerla dopo Thoeni e Gros e ultimo da allora.

C’è un “prima” ed un “dopo” Tomba. Ma c’è stato anche un “durante”: lo sci mondiale era affascinato da questo ragazzo di Bologna, un carabiniere con la vittoria nel sangue. Ha cambiato la percezione dell’italiano medio verso quello sport: tanti si avvicinarono allo sci, anche chi abitava a tanti chilometri dalle piste innevate.

Oggi uno come Tomba manca come il pane (anzi come…la neve) sia a livello italiano che Mondiale. Dopo il suo ritiro, lo sci ha conosciuto dei veri fenomeni (tre su tutti, l’austriaco Marcel Hirscher e le americane Lindsey Vonn e Mikaela Shiffrin, vincitori in tre di nove medaglie olimpiche, trentatre medaglie mondiali, diciassette Coppe del Mondo generali, quaranta coppe di specialità e oltre trecento gare complessive di Coppa del Mondo), ma mai nessuno iconicamente (e sotto tanti punti di vista) è stato e sarà come Alberto Tomba, il ragazzo che il 23 dicembre 1984, da neomaggiorenne e senza patente, sbaragliò i campioni dello sci nazionale e scrisse, da lì in avanti. una grande pagina dello sport mondiale. Alberto Tomba aveva il numero 9 quel giorno a Milano e Tomba aveva il pettorale numero 9 il 15 marzo 1998 giorno della sua ultima gara in Coppa del Mondo: quando il destino.

E pensare che a Milano, in quella fredda mattina dell’antivigilia, avrebbe dovuto avere un ruolo marginale contro i grandi del nostro sci del tempo.

 

immagine in evidenza tratta da www.ilpost.it