I grandi temi della fede, dell’umano e della vita a Novara
di Caterina Zadra
Giovedì 5 novembre è stato un giorno da ricordare. In una Aula Magna gremita, quella dell’Università Piemonte Orientale, si è approfondito il tema della speranza, della fede, del dolore dell’esistenza e lo hanno fatto relatori di alto calibro e carisma: Bertinotti, Borgna, Emanuel e Di Martino coordinati dal bravo giornalista Avveduto. L’occasione è stata la presentazione del libro di Alberto Savorana, «Vita di don Giussani» edito da Rizzoli.
L’incontro si è aperto con i saluti i Eliana Baici, Direttore del Dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa, che ha dato il benvenuto agli illustri ospiti insieme al Rettore Cesare Emanuel, il quale, autodefinendosi “cultore distratto dei temi della fede” ha fatto un escursus molto vivace del suo vissuto: da ragazzino in un collegio salesiano fino alla dialettica ai tempi dell’Università. Riprendendo la definizione di Don Giussani “tentativo ironico” parte dal suo essere geografo, dove la priorità è il sistema delle connessioni delle cose e persone che popolano il mondo. Per Don Giussani, dice, il punto di vista è molto diverso. “Questo libro è un libro non da leggere ma da studiare. Documenta e affida al lettore la tesi interpretativa. Mi sono fatto un’idea: che l’autore Savonara abbia portato nella sua opera la rappresentazione del maestro con gli occhi dell’allievo“. Emanuel focalizza un aspetto: “dietro alla missione c’è un metodo ben preciso i cui punti cardine sono gli esercizi spirituali e l’approccio metodologico, la scuola o ambiente di comunità, la carità come missione apostolica e le opere educative e cooperative di lavoro come missione sociale. Se uno legge questa missione con attenzione al contenuto di metodo allora su può capire la coerenza nella filiera formativa“. Sottolinea anche come sul concetto di liberazione ci sia un distacco netto fra la visione di sinistra che ha come obiettivo ultimo lo sradicamento del potere costituito e per Comunione e Liberazione la liberazione può esistere solo nel senso più profondo di comunione cristiana. “Oggi più che mai – conclude – abbiano bisogno di trovare un punto d’incontro fra dimensione interiore individuale e dimensione collettiva“.
Borgna, amico di lunga data di Don Giussani, incontrato nel 1987 a Novara, esordisce: “Vorrei estrapolare alcune parole che rendono immediato il valore del libro. Le parole sono tematiche, sono creature viventi. La preghiera come grido: il disperato ha un sesto senso, sa già, perché ha sperimentato quel grido. Esiste un confine di assoluto pudore dove alcune parole vanno lette nel silenzio. Tu sei me io sono te. E dunque ospitalità, accoglienza. L’ospitalità è grande se la persona sente che ogni relazione può diventare vera ospitalità. E’ un mettersi di fronte alle scelte della vita. L’ospitalità più radicale è l’adozione. Riesce a chi fa parte di questo movimento di indicibile bellezza. C’è una frase della lettera agli ebrei: alcuni hanno accolto angeli senza saperlo. L’enigma non fa parte della nostra vita ed è difficile accogliere il mistero. Altra parole importante è speranza. E’ un incontro difficile quando incontriamo persone senza speranza. E’ necessario che la speranza si faccia più intensa, profonda ed essenziale. Volti e sguardi appena bagnati di lacrime, cose non scritte e cose non dette sono comunque cose importanti: qualcuno le coglie altri no. Alcune parole sono parole da salvare dall’oblio. Tramite Don Giussani si salvano” – conclude – “lui diviene fontana vivace. O stella cadente, arcobaleno che rinasce in una dimensione profetica. Fra tutte le genti dell’universo come luce della luce come colore del colore come altro dell’altro. Queste non sono acrobazie semantiche o divagazioni retoriche ma un voler collocare la speranza, oltre che come dovere, come relazione. Concepire la speranza come treno che si ferma un istante nella stazione: in un attimo si può scegliere se salire o no.”
Avveduto incalza citando Don Giussani: “Per fortuna che la vita è triste, se no sarebbe disperata” e dà la parola a Bertinotti, Presidente della Fondazione Cercare Ancora. Autodefinendosi un sereno non-credente, Bertinotti affronta alcuni temi centrali: “C’è un bisogno di dialogo fra credenti e non. Io appartengo a quella generazione di non credenti contagiati dal Concilio Vaticano II e dal famoso Discorso alla luna dove concludeva: “Pace agli uomini di buona volontà”. Questo concetto ha segnato un intero cammino di vita, anche politico. Più di 50 anni fa sulla rivista Proposta parlavo del dialogo fra marxisti e cattolici. E’ stato un cammino partito da un’esperienza. La differenza forse sta nel dire che se faccio la carità sono un buon cristiano, se indago le cause mi dicono che sono comunista. Penso che quel mondo collettivo e individuale sia finito. Oggi siamo dopo il diluvio. Per far rinascere questa speranza è obbligo che uomini di buona volontà ricomincino daccapo. Siamo davanti a una grande sconfitta sul terreno dell’ umano e davanti a una desertificazione del pensiero critico. Il capitalismo crea ricchezza e povertà. Povertà imposta e subita da un meccanismo dell’esclusione. Oltre agli episodi di sofferenza, dobbiamo riflettere sul fatto che 83 persone nel mondo hanno la ricchezza equivalente alla ricchezza complessiva di più di tre miliardi di persone. Abbiamo dinnanzi una sfida antropologica: la necessità di un nuovo uomo. Individualismo consumista penetra tutto come potenza invasiva e intrusiva che macina tutto e riduce tutto a mercificazione. E lo scarto sistematico diviene parte essenziale del sistema: si espelle e si accumula. La Politica è morta in Europa, se per politica si intende una libera intenzionalità di progettualità. Pensare al post-domani è impossibile. Ha perduto la memoria ed è incapace di futuro. In questo scenario – conclude – posso proporre una tesi che spiega l’interesse in Don Giussani: se la politica è morta e si basa su un processo di cosificazione come lo definirebbe Sartre, insieme alla lotta di classe come rovesciamento del conflitto di classe allora urge un bisogno di profezia. Quando non hai più lo stato, la monarchia o qualunque potere di governo subentra la profezia. Concetto necessario allora diventa la radicalità: sia nel senso di andare alla radice che proporre, individuare e leggere un pensatore estremo. Radicale estremo in Cristo. Il binomio Croce e Risurrezione non concede dilazioni, fa parte della tua vita. Produce un elemento che Camus chiamava resistere all’aria del tempo: saper agire, comunicare, esistere sottraendoti dal ruolo di inerte pezzo di ingranaggio, tanto più plasmabile e adattativo. Oggi è richiesto questo“.
Il Prof. De Martino inizia il su intervento condividendo il pensiero di tutti i relatori precedenti. “Occorre iniziare daccapo. Viviamo in un’epoca del crollo della speranza. Don Giussani con spirito profetico avvertiva i germi del crollo nelle chiese piene. Aveva un giudizio sulla situazione come modo di affrontare la vita. La circostanza non è secondaria. Il cristianesimo non può essere ridotto a dottrina o etica e dunque intendere la realtà cristiana come agenzia etica. E’ necessario sfidare il crollo della speranza vivente attraverso parole che bucano l’oblio. Don Giussani parla di Avvenimento: spesso citava una poesia di Montale “Prima del viaggio” nella quale gli ultimi versi indicano nell’imprevisto l’unica speranza, qualcosa che irrompe. Ritrovare Cristo, non come dottrina amministrata ma come fatto, avvenimento, presenza. Si ripropone nella sua forma originale. Nessuno ha mai guardato l’uomo in questo modo. Il bisogno di profezia coincide con un avvenimento. Dunque Cristo non come oggetto nè di culto nè di pietà ma un fatto. Perciò investe la tua realtà e la cambia. Ridestare l’umano minacciato e cambiare la vita. Cristo come cambio della vita intera. E cambio della storia. L’uomo attende inconsapevolmente l’esperienza di un incontro con persone così cambiate da avviare un percorso di approfondimento e di conoscenza che si possa chiamare speranza. Concludo prendendo spunto dalle parole di Borgna: siamo tutti folli. Non facciamo fatica a comprendere che l’equilibrio perfetto non ce l’ha nessuno. Abbiamo tutti dentro un desiderio zoppicante e sconquassato. Ma affinché possiamo non scandalizzarci di questa follia dobbiamo essere accolti, abbracciati. Diventare il protagonista nella storia. Non siamo fatti per la morte siamo fatti per la vita: è l’abbraccio che ci crea. Come una goccia di rugiada mentre il sè nasce. Tu sei me io sono te. Con la fisionomia di questo abbraccio, un andare incontro, uno sguardo che si rinnova qui e ora. L’imprevisto di un incontro che irrompe“.
E’ stato un incontro affascinante e articolato quello della presentazione di questo libro, ottiche diverse ma profondamente riflessive. Don Giussani smuove ancora le coscienze. Concludo con le ultime parole di De Martino: “Tutto quello che è decisivo nella vita degli uomini si chiama incontro. Per imparare davvero non ci basta leggere ma vivere quello che sarà disponibile all’esperienza.”