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Città di Novara

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Libertà di stampa a pezzi: Italia sprofondata al 49° posto, la verità fa paura.

DiAlessio Marrari

Mag 2, 2025

di Alessio Marrari

“Chi scrive questo articolo non si piegherà mai alle intimidazioni dei poteri forti, siano minacce fisiche o legali. È pronto, come lo è stato in passato, a combattere senza paura, affrontando ogni singolo aggressore, che siano politici, criminali o qualsiasi altro intento a soffocare la libertà. Perché la lotta non è solo per se stessi, ma per il bene comune, per una libertà che non si limita alla propria persona, ma che abbraccia quella di tutti. E chiunque cerchi di minare questa libertà, troverà sempre un muro di resistenza pronto a sfidare l’oscurità, difendendo con ogni mezzo il diritto di esprimersi, di informare, e di vivere in una società libera.”

Può una democrazia definirsi tale se la libertà di stampa è ostacolata, anche senza censure ufficiali? La realtà è che l’Italia, pur rimanendo una democrazia costituzionale, è al 49° posto nella classifica globale della libertà di stampa, segnando un campanello d’allarme per la salute del sistema democratico. Non siamo sotto una dittatura esplicita, ma sotto una “dittatura silenziosa” mascherata da democrazia, in cui il giornalismo libero è costantemente minacciato. L’erosione della libertà di stampa non avviene attraverso il controllo diretto dei media, ma attraverso pratiche sistemiche che ne limitano l’indipendenza e l’efficacia: intimidazioni, abusi legali, censura indiretta. In questo scenario, la democrazia non è completamente estinta, ma è fragile, vulnerabile, e sempre più esposta a forze che minano la capacità della società di informarsi, dibattere e evolversi. L’articolo 21 della Costituzione Italiana stabilisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, e che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, ma può essere sequestrata solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria in caso di delitti espressamente previsti dalla legge. Tuttavia, la protezione costituzionale si scontra spesso con pratiche che, pur rimanendo formalmente nei limiti della legalità, finiscono per ostacolare l’esercizio effettivo della libertà di stampa. Nel rapporto 2025 di Reporter Senza Frontiere, l’Italia arretra di tre posizioni nella classifica mondiale della libertà di stampa, rivelando un contesto sempre più ostile per i professionisti dell’informazione, esposti a minacce da parte della criminalità organizzata, soprattutto nel Sud del Paese, e a intimidazioni da gruppi estremisti. A peggiorare il quadro si aggiungono i tentativi legislativi di comprimere l’autonomia della stampa, come il dibattito sulla cosiddetta “legge bavaglio”, che secondo molti osservatori rischia di limitare il diritto di cronaca e di rendere più difficile l’accesso a documenti e informazioni su procedimenti giudiziari di interesse pubblico. Il diritto di cronaca è considerato una diretta applicazione dell’articolo 21, ma la sua legittimità viene precisata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ne delinea i confini attraverso tre condizioni fondamentali: verità dei fatti riportati, interesse pubblico alla divulgazione della notizia e continenza, ossia esposizione corretta e rispettosa. Quando questi criteri sono rispettati, il giornalismo d’inchiesta gode di una forte tutela. Tuttavia, in molti casi i giornalisti si trovano a dover affrontare azioni legali pretestuose: sono le cosiddette SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation), denunce e querele finalizzate non a ottenere giustizia, ma a intimidire e scoraggiare la pubblicazione di inchieste scomode. Il riferimento penale più frequente in questi casi è l’articolo 595 del Codice Penale, che punisce la diffamazione. Nella sua forma aggravata, quando l’offesa è veicolata attraverso la stampa o altri mezzi di pubblicità, le pene possono arrivare fino a tre anni di reclusione, oltre a sanzioni pecuniarie. Questo strumento, sebbene concepito per proteggere l’onore e la reputazione, viene talvolta impiegato in modo strumentale per colpire giornalisti e blogger impegnati in inchieste di interesse pubblico. Tutti i cittadini possono scrivere e diffondere liberamente il proprio pensiero, secondo quanto stabilito dall’articolo 21 della Costituzione Italiana. Questo diritto non è riservato ai soli giornalisti, ma è garantito a chiunque, purché nel rispetto della legge. Tuttavia, esistono dei limiti a questa libertà, pensati per bilanciare il diritto di espressione con altri diritti fondamentali, come la tutela della reputazione altrui, la protezione della privacy, il divieto di incitamento all’odio o alla violenza, e il rispetto del buon costume. Inoltre, chi esercita attività giornalistica in forma professionale è soggetto a regole deontologiche specifiche come quelle dell’Ordine dei Giornalisti e ha responsabilità legali maggiori, ma anche forme di tutela più forti quando opera nel rispetto del diritto di cronaca. Quindi sì, tutti possono scrivere e pubblicare liberamente, ma devono farlo responsabilmente e nel rispetto dei diritti degli altri. Il paradosso italiano è evidente: a fronte di una solida cornice costituzionale, la pratica quotidiana del giornalismo si scontra con minacce concrete, pressioni politiche e ostacoli giudiziari. La caduta nella classifica RSF non è solo un dato simbolico, ma un campanello d’allarme che impone una riflessione seria sulle misure necessarie a tutelare davvero la libertà di stampa. Difendere questo diritto significa non solo garantire la sopravvivenza del giornalismo, ma salvaguardare le basi stesse della democrazia. Eppure, in questo contesto, non pochi giornalisti e blogger scelgono la strada della rassegnazione. Lungi dall’alzare la voce contro un sistema che li minaccia, molti cedono al conformismo, si autocensurano, evitano di affrontare temi scomodi o preferiscono rimanere in silenzio per paura delle conseguenze. Questa rassegnazione, purtroppo, non fa altro che alimentare il ciclo di intimidazioni, legittimando i poteri forti che, nell’ombra, continuano a esercitare il loro controllo e a minare la libertà di espressione. Invece di contrastare, molti preferiscono tacere, accontentandosi di piccoli spazi di libertà che, alla lunga, non sono altro che il riflesso di una libertà che si sta spegnendo.