Nel cuore del conclave, tra fede e ombre, il caso Becciu riapre il sipario sulle battaglie segrete per la tiara papale.
di Alessio Marrari
Ci sono luoghi dove il silenzio pesa più delle parole, dove ogni sguardo ha il peso di una preghiera e ogni passo risuona come una decisione eterna. Il conclave è uno di questi luoghi. Da secoli, nella penombra della Cappella Sistina, si consuma il mistero più solenne della Chiesa: la scelta di un Papa. Si chiudono le porte, si spegne il mondo, ma non si spengono le passioni, le paure, le ambizioni. Là dentro non entrano solo cardinali: entrano uomini, con tutta la loro umanità. È da questa consapevolezza che si deve partire per comprendere il caso Angelo Becciu, una vicenda che non è solo giudiziaria o ecclesiastica, ma profondamente umana, tragicamente simbolica, e per certi versi quasi cinematografica. Becciu era un uomo di potere, rispettato, ascoltato, una figura centrale nei corridoi vaticani. Poi, la caduta: le accuse di peculato, la condanna a cinque anni e mezzo di reclusione, la perdita di incarichi, la fine dell’aura d’intoccabilità. Ma il punto di rottura non è stato solo giudiziario. È arrivato quando, alla vigilia del conclave del 2025, si è posta una domanda che ha fatto tremare le mura di San Pietro: può un cardinale condannato sedere tra coloro che scelgono il Papa? Becciu ha resistito, ha rivendicato il suo diritto, si è appellato al fatto che formalmente era ancora elettore. Ma la Chiesa, attraverso due lettere firmate da Papa Francesco, ha parlato in modo chiaro, anche se sussurrando: non devi entrare. Ed è così che, forse per la prima volta davvero da cardinale, Becciu ha agito con abbandono, lasciando che il peso della storia gli scorresse addosso. Ha rinunciato, “per il bene della Chiesa”. Una frase semplice, eppure carica di tutto: di pentimento? Di obbedienza? Di strategia? Di fede? Nessuno può dirlo con certezza, ma ognuno vi leggerà qualcosa di sé. In questa realtà carica di tensioni e simboli, la mente corre al cinema. Non per spettacolarizzare, ma perché a volte la finzione aiuta a vedere più chiaramente la verità. Nel film Conclave di Edward Berger, tratto dal romanzo di Robert Harris, il cardinale Lawrence (Ralph Fiennes) si muove tra le stanze del potere sacro cercando di tenere insieme coscienza e fedeltà. Anche lì, nel cuore di un conclave, esplodono segreti, veleni, pressioni. E il protagonista capisce che dietro la facciata del rito si cela l’inquietudine dell’animo umano. Non è solo fiction: è una lente su ciò che davvero può accadere sotto l’affresco del Giudizio Universale. Il parallelismo con Becciu è più che suggestivo, è disarmante. Entrambi, il personaggio e l’uomo reale, si trovano di fronte al peso di qualcosa che li supera. E in entrambi i casi, la domanda non è solo “chi sarà Papa?”, ma “che Chiesa vogliamo essere?” E la storia ci insegna che queste lotte non sono un’eccezione, ma spesso la regola nei conclavi. Nel 1550, durante il conclave che avrebbe portato all’elezione di Giulio III, i cardinali si scontrarono con tale ferocia che fu necessario l’intervento armato per riportare l’ordine. Nel conclave del 1644, che vide l’elezione di Innocenzo X, gli spagnoli e i francesi si fronteggiarono con pesanti accuse reciproche, e non mancarono minacce e intimidazioni. Alcuni cardinali furono addirittura fisicamente impediti di entrare in conclave per ostacolare i voti di una fazione. Nel 1903, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe inviò il famoso jus exclusivae (diritto di veto) per bloccare l’elezione del cardinale Rampolla del Tindaro, considerato troppo filo-francese: un atto che suscitò scandalo e portò Pio X a bandire per sempre le ingerenze laiche nei conclavi. E più vicino a noi, nel conclave del 1978 che portò all’elezione di Giovanni Paolo II, i resoconti postumi parlano di divisioni fortissime tra chi voleva un papa “di riforma” e chi temeva un cambiamento troppo profondo: ci furono ostruzioni, manovre, e tentativi di far “bruciare” i candidati più forti a suon di voti strategici. La grande lezione che emerge da tutto questo è che il conclave non è solo una liturgia: è un crocevia di anime. E se la fumata bianca annuncia al mondo un nuovo successore di Pietro, ciò che accade prima è spesso un tumulto invisibile, dove si mescolano santità e miseria, idealismo e compromesso. Il caso Becciu, con la sua ambiguità e la sua forza drammatica, ci costringe a guardare oltre la veste cardinalizia, dentro l’uomo. Un uomo che ha conosciuto l’ascesa, il potere, la caduta, e infine il silenzio. Forse, in quel silenzio, c’è più verità che in mille dichiarazioni. Ed è questo che rende oggi il conclave non solo un evento ecclesiale, ma uno specchio del nostro tempo. Perché anche nelle navate antiche, anche dietro porte chiuse, anche tra i canti latini, risuona una domanda profondamente umana: possiamo davvero scegliere il bene, quando tutto intorno ci spinge al contrario? Forse la Chiesa, con le sue crisi e le sue resurrezioni, non è altro che il racconto millenario di questo eterno interrogativo.